Un breve confronto tra le caratteristiche dei libri e dei videogiochi: quali di questi due medium è più propenso a favorire l’instaurazione del ricordo nella nostra memoria?
Vi è mai capitato di riaccendere un videogioco con cui giocavate da bambini e di sorprendervi per quanto riusciate a ricordare soluzioni, mappe, trappole e altro? Se vi siete sempre chiesti il perché, troverete conforto nel leggere il seguente articolo. Prima di cominciare però, facciamo un ulteriore esperimento: pensate al primo libro che avete letto a scuola, poi al primo videogioco a cui avete giocato e domandatevi: quale ricordo meglio? Noterete che è molto più facile ricordare il secondo. Incredibile vero? A volte si fatica a imparare elenchi e concetti varie dai libri di scuola, ma le conoscenze sui videogames è molto più raro perderle. Ma come mai accade ciò? Perché certe procedure restano impresse nella nostra memoria a distanza di anni, mentre altre vengono cancellate con una facilità impressionante?
LA MEMORIA – Prima di poter entrare nel merito dei videogiochi, andiamo a scoprire come il nostro cervello immagazzina e cancella le informazioni. Secondo i più accreditati studi, la memoria può essere considerata come un processo, che si struttura in quattro fasi: codifica delle informazioni (le informazioni sono percepite dai nostri organi sensoriali e interpretate dal cervello), archiviazione (queste informazioni vengono poi inserite in specifici magazzini di memoria), conservazione (ritenzione dell’informazione) e rievocazione (recupero). Aggiungiamo a questa teoria anche l’oblio, ovvero la fase di cancellazione di un’informazione. Ora, in merito all’archiviazione, ci sono diverse teorie a riguardo: Atkinson e Shriffin (1977), in una delle più classiche teorizzazioni sui processi mnemonici, sostengono che vi siano tre diversi tipi di memoria: 1) la memoria sensoriale: che comprenderebbe tutte le informazioni percepite dai nostri sensi, ma che durerebbero solo pochi millisecondi, prima di entrare nell’oblio 2) la memoria a breve termine (MBT): consiste nella capacità di trattenere i dati per circa 20-30 secondi (ad esempio quando imparate un numero di telefono). Ovviamente questa capacità è molto limitata. 3) la memoria a lungo termine (MLT): i ricordi che immagazziniamo in maniera più duratura. Da quest’ultimo punto poi, le informazioni giudicate irrilevanti col tempo vengono cancellate per mezzo dell’oblio. La cancellazione delle memorie tuttavia non è solo questione inerente a quest’ultimo, ma anche di interferenza retroattiva: i ricordi sostanzialmente, talvolta possono non essere più accessibili a causa di una sovrapposizione di informazioni nuove. Per fare in modo che un’informazione passi dalla MBT alla MLT, e che quindi ci resti impressa invece di essere cancellata, è necessario che essa sia reiterata, ma soprattutto che le sia data un’attribuzione di senso coerente. Come saprete infatti è molto più facile ricordare una storia lineare (quindi organizzata in maniera sensata) piuttosto che una serie di fatti scollegati tra loro (ne sono l’esempio i sogni: quante volte non riusciamo a ricordarli perché privi di senso?). Inseriamo ora un’ulteriore distinzione utile a spiegare ciò che ci siamo prefissi all’inizio: la MLT infatti comprenderebbe al suo interno anche due differenti tipi di memoria, quella episodica e quella semantica. La prima sarebbe quella riferita al fatti e avvenimenti come pure a conoscenze, concetti, categorie, ecc; mentre la seconda comprende le procedure inerenti a come si fanno le cose.
VIDEOGIOCHI VS LIBRI, COSA MEMORIZZIAMO PIÙ FACILMENTE? – A questo punto, applichiamo al mondo videoludico e a quello cartaceo quanto teorizzato poco sopra. Iniziamo riprendendo che i ricordi sono fortemente correlati con l’attribuzione di senso, e che quest’ultima è in stretta relazione con la valenza edonica (piacevolezza e spiacevolezza dell’informazione da ricordare), con la pertinenza e con la salienza. In altre parole ricordiamo meglio ciò che ci piace e ciò che ci interessa. Chiaramente sarà più facile ricordare un gioco (perché tendenzialmente percepito come più piacevole per diverse ragioni, quali il rilassamento, il divertimento, ecc.) piuttosto che materiali di studio. Tuttavia l’effetto facilitatore dei videogiochi non è dovuto solo ad un fattore di interesse, in quanto quest’ultimo è strettamente soggettivo. Il medium utilizzato infatti, è sostanzialmente più attrattivo: i videogiochi utilizzano un approccio intermodale, stimolando più sensi (udito, vista, tatto), rispetto ai libri, che invece richiedono l’uso della sola vista (approccio modale). Ne deriva che l’informazione che il soggetto si trova a decifrare dovrà essere considerata su più fronti nel primo caso (il cervello dovrà codificare quanto rilevato dagli occhi, dalle orecchie, ecc.), mentre nel secondo dovrà analizzare semplicemente quanto prodotto da uno di questi. Ciò comporta che l’informazione proveniente dal primo medium sarà più articolata, sarà oggetto di più attenzioni e dunque sarà più facilmente immagazzinata. Inoltre la possibilità di agire all’interno della narrazione rende il gioco oltre che più stimolante, anche più “personale”. A mio avviso infatti, il poter agire consente al soggetto di non dover pensare cosa una terza persona o il libro “ha fatto o detto”, dovrà semplicemente pensare cosa lui ha fatto. La possibilità di inserirsi nella narrazione potrebbe renderla appunto più personale e quindi più accessibile. Infine, sottolineiamo anche come probabilmente le informazioni derivanti da videogiochi e quelle derivanti da libri vengono immagazzinate in strutture differenti: sebbene probabilmente rientrino entrambe nella memoria semantica, le prime sono più legate al “saper fare” (o anche alla sfera episodica qualora riguardassero ciò che il giocatore ha fatto) mentre le seconde al “sapere” più teorico e generale. Per cui potrebbe esservi anche una differenza nella facilita di richiamare un’informazione di un magazzino rispetto all’altro. In queste ultime righe ovviamente il condizionale è d’obbligo, poiché esistono pochissime ricerche in merito.
VIDEOGIOCHI COME FACILITATORI DELL’APPRENDIMENTO – La prospettiva è altamente suggestiva: visto il potenziale che i videogames vantano come facilitatori dei processi mnestici, perché non utilizzarli come mezzi per l’apprendimento? In parte questo viene fatto già da tempo, basti pensare alle simulazioni di volo o di guida; d’altro canto sarebbe interessante cercare di estendere il dominio dell’“apprendimento da videogioco” non solo alle attività strettamente pratiche, ma bensì anche a quelle teoriche. Pensiamo ad esempio ai noiosissimi testi di storia o di letteratura, antagonisti di molti studenti: sarebbero percepiti cosi negativamente anche se fossero concepiti come videogiochi? E la matematica? Spesso incomprensibile, sarebbe altrettanto insensata se inserita all’interno delle dovute matrici di senso di un videogame?