In articoli precedenti si è trattata l’importanza delle strategie che ciascun giocatore mette in atto nel contesto virtuale, a partire dalle informazioni che l’ambiente virtuale stesso propone e sulla base di come queste informazioni sono colte e interpretate dal giocatore.
Come già detto il significato attribuito all’informazione indirizza verso una particolare azione piuttosto che un’altra; estendendo il concetto di azione ad un insieme di azioni otteniamo la definizione di pattern (in termini psicologici) ovvero un insieme di comportamenti che concorrono a costruire un significato.
Nei videogame il significato è spesso chiaro e immediatamente comprensibile: è facile cogliere l’aspetto saliente dell’informazione e rispondere in modo appropriato; risulta quindi più corretto parlare di scopo piuttosto che di significato per concentrare l’attenzione su come si genera la risposta per raggiunger l’obiettivo. Spesso è necessario coordinare azioni concorrenti anche tra più utenti, lì la cosa si fa interessante.
In questo senso è più corretto trattare l’insieme di azioni come strategia, ovvero quel processo che si fonda, in termini cognitivi, sulla capacità di pianificazione della mente umana, in correlazione con i vincoli e le opportunità che l’ambiente virtuale propone, con la presenza o meno di intelligenze che possano prevedere queste scelte, con l’obiettivo finale, come già detto, e con la possibilità di competere o cooperare tra le intelligenze umane coinvolte nel gioco, anche in base alla tipologia del titolo.
Processare questi elementi e molti altri è un passaggio che la nostra mente svolge automaticamente pianificando diversi piani d’azione alcuni mutualmente esclusivi (se non riesco a… allora…), altri più consolidati e che vengono utilizzati con più frequenza ( faccio così perchè…). Al giocatore poi spetta la scelta di una strategia piuttosto che un’altra, laddove la definizione di questa stessa pianificazione è già stata effettuata in modo automatico per gli elementi che si possono prevedere e spesso viene ipotizzata anche per reazioni ad imprevisti.
Da qui si nota come sia rapido e dettagliato il procedimento che porta la mente dal cogliere l’informazione fino al produrre una risposta, passando attraverso la selezione degli aspetti salienti e “l’unione degli indizi” che porta ad elaborare la strategia migliore rispetto alla richiesta dell’ambiente virtuale e degli obiettivi dichiarati.
Questa breve spiegazione oltre a riconfermare l’incredibile potere di calcolo che ha la nostra mente, ci permette di chiarire un punto che forse è più importante della quantità di informazioni che il cervello può calcolare simultaneamente: la sua flessibilità. L’abilità infatti di modificare strategia “in itinere” si ricollega al discorso sugli imprevisti di cui sopra e dimostra come l’elaborazione sia continua e ripetuta ad ogni cambiamento del contesto; parlare di problem posing e di problem solving è indispensabile.
Questa capacità della mente letteralmente di porsi un problema e di ricercare una soluzione per risolverlo è conosciuta a livello teorico e pratico, ma in pochi hanno pensato alla varietà di “problemi” a cui sono sottoposti i giocatori, in particolare quelli online, e alla velocità con cui è richiesto loro di produrre una risposta per “restare in gioco” o per raggiungere l’obiettivo. La possibilità di generalizzare strategie specifiche di un gioco ad un altro è un passaggio che ogni giocatore esegue più o meno consapevolmente, se e quando messo nella posizione di farlo, per ampliare il proprio orizzonte di azioni possibili. Questo implica lo sviluppo di una sorta di “coping virtuale” che coincide in parte con l’esperienza accumulata dal giocatore e in parte rimanda a quello stesso concetto di flessibilità, intrinseco nella mente umana, ma che varia in base all’accumularsi e al relazionarsi di un’esperienza di gioco con quella successiva. Anche per il videogiocatore è corretto parlare di mente interattiva, anzi probabilmente “l’elasticità mentale” che deriva dall’uso dei videogames è maggiore di quella che si riscontra in una situazione naturalistica, sfortunatamente non esistono ricerche a riguardo.