I Pokèmon sono stati uno dei più grandi successi video-ludici di sempre, ma quali sono i meccanismi psicologici che hanno mediato tale successo?
Negli scorsi articoli abbiamo trattato principalmente i videogiochi e la rispettiva dimensione psicosociale prettamente da un punto di vista teorico. Ora è giunta l’ora di applicare quanto teorizzato fin’ora attraverso all’analisi di alcuni videogiochi. Il primo che testeremo sarà “I Pokèmon”, un successo epocale che ha tenuto incollati ai rispettivi Game Boy milioni di giovani videogiocatori.
UN SUCCESSO SENZA PRECEDENTI – Come anticipato andremo ad analizzare i meccanismi psicosociali che hanno reso questo gioco uno dei più popolari di tutti i tempi. Per fare ciò però, è utile inserirsi nel contesto dell’epoca. Corre l’anno 1996, i giochi più emozionanti del tempo per dispositivi portatili sono una versione molto semplice di Super Mario e Pacman, anche se su console come il Nitendo 64 e la Playstation 1 sono già usciti giochi di ruolo particolarmente interessanti. Insomma, quantomeno per il mondo “portatile” (cioè del Game Boy al tempo) non c’erano certo giochi irresistibili se paragonati a quanto stava per essere messo sul mercato. Ecco che allora il 27 febbraio la Nintendo presenta “Pokèmon Rosso e Pokèmon Blu”, un gioco nuovo che garantisce una possibilità d’azione sulla realtà virtuale totalmente nuova. Il gioco, presentato in Giappone, ottiene subito un successo incredibile e viene dunque velocemente esportato in tutto il globo.
CARATTERISTICHE E OBIETTIVI – Il gioco di per sé è abbastanza semplice: il protagonista è un ragazzino, che girando per il mondo (composto da 10 città e diverse aree selvagge) deve catturare delle particolari specie di “animali”: i Pokèmon, che poi usa per combattere contro altri allenatori. Nella prima versione di questo gioco esistevano 151 specie di creature (complessivamente, unendo le due cassette blu e rossa) entro cui l’allenatore poteva organizzare la sua squadra, rigorosamente di sei Pokèmon. Tuttavia era anche possibile collezionarli, in quanto qualora il giocatore dovesse averne posseduti più di sei, poteva depositarli in un box, nel quale poteva poi accumularli tutti. Lo scopo del gioco infatti, oltre a sconfiggere gli altri allenatori e nella fattispecie “la lega Pokèmon”, ove si trovavano gli allenatori più forti del gioco, era quello di completare il Pokèdex, una piccola enciclopedia portatile che raccoglieva tutti i Pokèmon visti e catturati.
SEMPLICITÀ, IDENTIFICAZIONE E POSSIBILITÀ AZIONE: I MOTIVI DEL SUCCESSO – Le cause del successo di questo gioco sono molteplici e complesse, tuttavia in termini psicologici sono riconducibili principalmente a determinate caratteristiche. Un primo punto di forza è sicuramente la semplicità del gioco, aspetto da non sottovalutare poiché consente anche ai più piccoli e alle persone con limitate risorse cognitive di giocarci efficacemente (e in termini economici quindi di ricercarlo ed acquistarlo). Questo gioco infatti non richiedeva particolari abilità intellettive e neanche conoscenze specifiche. I suoi dialoghi e le sue dinamiche molto semplici lo rendevano infatti fruibile da chiunque. La facilità di fruizione garantiva quindi un maggior numero di utenti possibili con conseguente aumento del successo sociale. Un altro aspetto che ha sicuramente veicolato la sua affermazione nel mondo dei videogiochi è l’identificazione. Il soggetto che inizia il gioco sceglie un personaggio totalmente stereotipato (di cui può scegliere solo il sesso), che nomina a suo piacimento e che può personalizzare soprattutto attraverso alla scelta dei Pokèmon da utilizzare. È chiaro come queste scelte facilitino l’immedesimazione dell’utente con il protagonista, mettendo il primo nella condizione psicologica di vivere direttamente l’esperienza. Quante volte infatti ci è capitato di dire o sentirci dire “ieri giocando ai Pokèmon ho catturato…”. Questa frase è la testimone perfetta di un’identificazione riuscita: non è il protagonista a catturare i Pokèmon, ma sono io, perché io sono il protagonista che vive l’avventura. Il terzo aspetto si collega al discorso dell’identificazione e consiste nella possibilità d’azione. Se “io sono il protagonista” allora io ho la possibilità di agire sull’ambiente circostante. Questo senso di presenza nel gioco comporta diverse conseguenze: oltre ad un’identificazione molto forte, aumenta infatti la fruibilità del gioco e la gradevolezza di esso. Tale aspetto, veicolato come già detto dalla capacità d’azione, era possibile grazie alla personalizzazione della squadra, ma anche grazie ad una mappa molto vasta, farcita di missioni secondarie e di aree da esplorare, che rendevano la realtà virtuale particolarmente attrattiva.
ASPETTI COGNITIVI E VALORIALI – Giocare ai Pokèmon però, non era solamente un passatempo di moda tra ragazzini e adolescenti, almeno non in termini cognitivi. Il gioco infatti, attraverso ai suoi contenuti presentava diversi vantaggi per il suo fruitore. Per prima cosa gli consentiva di aumentare la sua capacità di problem solving attraverso a problemi come il dover usare determinati Pokèmon a causa delle loro caratteristiche per sconfiggerne altri, o organizzare la squadra nella maniera più efficacie e completa possibile. Inoltre questo gioco permetteva anche di apprendere valori quali il lavorare per raggiungere i propri scopi o quanto mento per migliorarsi (i Pokèmon andavano allenati duramente per poter migliorare e diventare più forti) e l’aiutare gli altri (nel gioco vi erano diverse missioni in cui l’utente doveva aiutare altre entità virtuali).
IL RITARDATO AVVENTO DELL’ONLINE – I moderni giochi di Pokèmon contengono ovviamente la piattaforma online. Sebbene questi siano sempre tra i più venduti a livello mondiale, al giorno d’oggi hanno perso un po’ di smalto, vuoi per la mancanza di novità o per l’avvento di molti altri giochi simili. Il fascino che avevano negli anni 90’ insomma, è andato perduto con l’avvento del nuovo secolo. Ma immaginate cosa sarebbe stato se già i giochi del tempo avessero avuto la possibilità di giocare online. Il successo sarebbe stato probabilmente ancora più grande, in quanto avrebbero introdotto ad un videogioco già di per sé rivoluzionario, anche la dimensione sociale (che al tempo poteva essere tenuta viva solo attraverso al raccontarsi le proprie “eroiche” gesta, giocando vicini, o interagendo attraverso al cavo, che permetteva lotte e scambi).