Ricordo come fosse ieri una delle mie prime lezioni all’università. Ad essere precisi non era nemmeno una lezione vera e propria. Era una delle tre giornate introduttive alla facoltà, quel tipo di occasioni che gli studenti adorano con tutto il cuore. Mentre quelle otto ore giornaliere scorrevano alla velocità della fame il mio cervello si premurava di registrare le numerosissime informazioni salienti che di tanto in tanto turbavano la mia lobotomia intermittente. Di quel giorno ricordo: il nome della ragazza che avevo davanti, che c’era il sole, che la scoperta dell’assenza del bar in quella sede mi scosse nel profondo, ed infine ricordo delle scimmie.
Anzi un esperimento con delle scimmie. Si parlava dei meccanismi della memoria ed il video che ci mostrò la professoressa finì per catturare totalmente la mia attenzione. Toccando uno schermo i primati dovevano ricostruire sequenze numeriche e la rapidità con cui gli Scimpanzè eseguivano i test mi lasciò stupefatto. Ero affascinato da due aspetti: l’uso della tecnologia per misurare i costrutti Psicologici e da quella scimmia, più umana che mai. Di sicuro più precisa e veloce. Gli anni universitari sono trascorsi ma quella fu l’ultima volta che vidi un primate in Cattolica. Questo lo riconduco al fatto che il video era abbastanza vecchio e che la Psicologia ha fatto enormi passi in avanti nell’ultimo ventennio, permettendo alla ricerca di dedicarsi in toto alla complessità delle strutture umane.
Io ho seguito una delle mie passioni ed ora ho la possibilità di fare ricerca su argomenti che trovo stimolanti come le nuove tecnologie ed i videogiochi. Ricerche interessanti e ricche di contenuto. Disparate nelle metodologia e nelle ipotesi, nel campione e nel setting. Ma ancora nessuna scimmia (fatto molto positivo visto il mio amore per gli animali).
Tuttavia la Psicologia ha diverse branche, condivise con altre discipline, e c’è chi ha necessità di osservare strutture più semplici per poter comprendere meccanismi e strutture complesse. La Neuropsicologia ad esempio. Le neuroscienze in generale devono seguire diverse strade per poter rispondere a quesiti estremamente intricati.
Allora inizia la mia rapida escursione alla ricerca delle “scimmie perdute” nel mondo accademico e magari esce fuori che qualcuno le ha fatte giocare ai videogiochi. Questa persona esiste, e si chiama Atsushi Iriki. Laureato alla Tokyo Medical and Dental University ha conseguito un dottorato di ricerca in neuroscienze nella stessa sede; ha poi vinto un assegno di ricerca alla Rockefeller University di New York e conduce il Laboratory for Symbolic Cognitive Development al Riken Brain Institute di Tokyo. A lui si devono molte scoperte nell’ambito neurologico come l’esistenza del «generatore di ritmo», un dispositivo biologico situato nel tronco encefalico adibito al controllo dei movimenti di masticazione, e l’identificazione dei neuroni visuo-tattili, che rispondono contemporaneamente a segnali visivi e tattili. Questi sarebbero confinati in una stessa area somatica, identificabile nella corteccia somatosensoriale delle scimmie. Da qui l’impiego dei primati nelle sue ricerche e poi il passo successivo: i videogiochi. Perchè?
Quando giochiamo ai videogame ci impersonifichiamo con l’immagine proiettata sullo schermo. Creiamo una nostra rappresentazione virtuale che identifichiamo come una nostra estensione. Iriki si è chiesto se le scimmie fossero capaci di una simile astrazione e per far ciò ha insegnato ai macachi a giocare a un videogame. Dovevano usare le immagini delle loro mani proiettate in un monitor, manipolare dei rastrelli e raggiungere il cibo. “I macachi sono stati velocissimi a imparare questo compito, capivano che l’immagine proiettata nel monitor era una guida per la missione di raggiungere il cibo. Abbiamo registrato la loro attività neuronale mentre giocavano, e in questo modo abbiamo scoperto che i neuroni visuo-tattili della corteccia somatosensoriale si erano espansi, arrivando a codificare tutta l’area del rastrello virtuale proiettato sul monitor e non più solo la loro mano. Il loro cervello stava trattando anche l’immagine virtuale come equivalente al corpo”
Le scoperte del neuroscienziato giapponese possono fare chiarezza sul funzionamento di alcuni meccanismi del cervello attraverso lo studio dei neuroni multimodali delle scimmie.
Ho trovato molto interessante questa ricerca poichè fornisce un ottimo esempio di sperimentazione alternativa. Integrare nella metodologia una componente innovativa come i videogiochi ed adattarla al mondo cognitivo di un primate rappresenta solo uno dei tantissimi utilizzi che i videogiochi possono ricoprire in diversi ambiti della ricerca. Inoltre, aspetto ancora più positivo, ho appena ho trovato un pretesto per inserire una scimmia nell’inventario della prossima ricerca.