Quel computer mi ha convinto! Lineamenti di captologia

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La capacità dei computer di gestire grandi quantità di informazioni ha permesso a quelle che chiamiamo forse impropriamente “nuove tecnologie” una maggiore interattività rispetto ai media tradizionali nonché la fusione di canali e modalità comunicative differenti. Ma sono proprio queste caratteristiche a renderle ideali ad agire sull’utente: i dispositivi che utilizziamo possono influenzare le nostre azioni e atteggiamenti in modo non sempre consapevole. Questo incontro fra tecnologia e persuasione è studiato dalla “Captologia”, disciplina così battezzata dal suo pioniere BJ Fogg.

Una tecnologia può essere persuasiva attraverso la sua funzione più basilare, quella di strumento in grado di rendere più semplice un’azione. Immaginiamo di stare navigando in internet in cerca di informazioni su un oggetto, del quale alla fine decidiamo di non aver poi così bisogno. Ecco però che un banner pubblicitario ce lo mostra in vendita e come per acquistarlo basti un click, molto più facile che andare in un negozio e aprire il portafogli. La nostra tendenza ad economizzare le azioni puntando al raggiungimento del risultato con il minimo sforzo ci porta a preferire soluzioni poco costose dal punto di vista delle risorse cognitive. Fondamentale in questo caso è anche la personalizzazione del suggerimento che ci viene fornito, grazie all’ormai onnipresente profilazione.
Come possiamo invece ottenere l’effetto contrario, motivarci ad un’azione costosa in termini di tempo ed energia? La strategia della ricompensa si rivela semplice ed efficace: strumenti in grado di associarla a gesti quotidiani possono essere formidabili motori di cambiamento. Per qualcuno i 150 minuti di attività fisica settimanale raccomandati dall’OMS saranno sembrati utopia irraggiungibile, salvo poi ritrovarsi a macinare chilometri con Pokémon Go. Lo spostarsi a piedi è percepito come avente un miglior rapporto costo/benefici poiché maggiori sono i vantaggi che ne ricaviamo, rendendone più probabile la messa in atto.

Altre potenzialità, sicuramente familiari ai videogiocatori, sono quelle delle tecnologie in grado di simulare esperienze alle quali reagiamo “come se” fossero reali. Possiamo quindi sperimentare azioni senza dover subire direttamente le conseguenze negative, ma facendoci un’idea più chiara dei rischi che corriamo. Al tempo stesso una buona simulazione può anche incoraggiare comportamenti nella vita reale: pensiamo all’uso della realtà virtuale per affrontare gradualmente le proprie fobie o ai successi dei giochi educativi nel dare informazioni e confidenza ai bambini nella gestione delle malattie croniche. Tecnologie adeguate possono anche far vivere esperienze reali da un altro punto di vista, come nel caso di questo “simulatore di ebbrezza”

Ma il fenomeno più complesso e psicologicamente affascinante è quello delle tecnologie come attori sociali: proprio perchè così interattive ci ritroviamo a interagire con loro come fossero esseri viventi, dotati di una loro personalità. Quella delle interfacce “sociali” è una storia di grandi successi come i Tamagotchi o i Furby, ma anche di clamorosi flop: ancora oggi si studia cosa rendesse tanto odioso Clippy, l’assistente virtuale di Microsoft Office. Questi effetti sono legati alla riproduzione di dinamiche relazionali attraverso un uso del linguaggio che “personalizza” la nostra interazione rievocando le regole non scritte dello stare assieme agli altri. Non a caso i siti di e-commerce ci accolgono per nome proprio come farebbe il negoziante di fiducia, mentre l’opzione per non ricevere la newsletter di una pagina di fitness sarà qualcosa come “no, ho già un fisico perfetto”.

L’idea di macchine progettate per convincerci può sembrare inquietante, ma rivela aspetti sottovalutati della nostra interazione con tecnologie che consideriamo spesso “neutre”, ponendo le basi di un discorso su interazioni che vada oltre il semplice uso/abuso o a reazioni binarie di causa/effetto. E la distinzione fra tecnologie come strumenti, simulazioni e attori sociali può essere un utile punto di partenza.

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