Come abbiamo visto parlando di tecnologie persuasive, le persone trattano facilmente i computer come attori sociali, applicano cioè a “loro” le stesse regole usate nell’interazione fra umani. Deve essere stato questo fenomeno, evidente già nelle prime interazioni uomo-macchina, ad ispirare negli anni ’90 l’uso di interfacce antropomorfe
volte a rendere più semplice l’uso dei vari programmi.
Il fatto che le nostre applicazioni attuali non siano piene di simpatici (?) personaggi pronti a dispensare consigli è anche eredità del clamoroso fallimento di Clippit/Clippy, l’interfaccia animata di Microsoft Office. Dal suo debutto nel ’97 alla sua completa dipartita dieci anni dopo la graffetta più detestata di sempre è entrata negativamente nella cultura popolare, ma perchè tanto odio?
Già nel 2003 Luke Swartz dedicò la sua tesi di dottorato ad analizzare questa vaga ma diffusa avversione riconducendola proprio alla natura di attore sociale del personaggio: sottolineata dai fumetti che suggerivano l’uso della parola e dagli occhi in movimento, portava gli utenti ad attribuirgli intenzioni e aspettative
Una delle caratteristiche fondamentali di clippy era ad esempio quella di essere estremamente proattivo: iniziavi a scrivere “Caro Bill Gates” ed eccolo proporti il layout preimpostato per una lettera. Clippy non sembrava volto a migliorare l’esperienza dell’utente ma piuttosto a ribadire la sua incompetenza, venendo presto percepito come giudicante. Le persone sentivano insidiato il proprio status, volevano poter decidere quando e come ottenere aiuto.
Al tempo stesso le animazioni suggerivano che l’interfaccia fosse in realtà un agente, dato che in esse Clippy si muoveva o svolgeva azioni come ne fosse lui il responsabile. Il locus of control (la percezione di controllo che le persone hanno sul risultato degli eventi) veniva quindi spostato verso l’esterno, ovvero la persona sentiva le sue azioni come ininfluenti rispetto a quelle dell’assistente che voleva “fare tutto lui”.
L’aspetto vagamente umanoide di Clippy, che suggeriva espressioni facciali, non contribuiva a migliorare la situazione. Si parla in questi casi di “dissonanza antropomorfica”: l’aspetto fa si che io mi aspetti dall’interfaccia più di quanto sia effettivamente capace nella regolazione dei suoi feedback.
Di fatto Clippy ti guardava come una persona, ma non rispettava le basilari regole di interazioni sociale: il suo sguardo era descritto come disturbante, addirittura malizioso nel caso dell’utenza femminile. Inoltre era sempre presente, come se qualcuno ti stesse fissando mentre scrivevi o volesse attirare la tua attenzione distraendoti: tutto insomma fuorchè un buon aiutante.
Il culmine dell’insoddisfazione si raggiungeva poi nei rari momenti in cui gli si “chiedeva” qualcosa: di fatto Clippy era poco più di una estensione del manuale d’uso, la sua animata presenza sullo schermo non corrispondeva ad altrettanta flessibilità. Insomma: invadente e pure stupido.
Quest’anno è l’ideale decennale della “morte” di Clippy, dopo essere stato detestato e deriso persino dalla casa produttrice. Vogliamo ricordarlo per quello che ci ha insegnato:non è un caso se gli attuali “assistenti virtuali” come Siri e Cortana (che ha però comunque una rappresentazione umanoide), pur essendo molto più versatili e interattivi, abbiano abbandonato l’uso di questa tipologia di interfaccia in quanto inefficiente.
Il fatto che sia Clippy a suo tempo che Cortana attualmente siano stati oggetti di parodie e umorismo ci ricorda però come dare un’anima e un volto ai programmi informatici stimoli non poco la nostra fantasia. Ci piacerà anche prenderli in giro, insultarli, metterli alla prova: ma ci troviamo comunque a relazionarci con loro.