Il Videogioco nasce come strumento di intrattenimento, di svago per l’appunto, ma come in ogni cosa pensata per divertire qualcuno, può non risultare così per qualcun altro.
Le emozioni sono una componente universale e costante nella vita di ciascuna persona sin dalla nascita, nel campo della psicologia sono largamente studiate ancora adesso e i loro effetti vengono analizzati nei più disparati contesti e ricerche di varia natura.
Quando una persona che si cimenta in un videogioco, si presume che le emozioni e lo stato d’animo da lui provate debbano essere tutte di valenza positiva; l’obbiettivo principale per cui si gioca è appunto rilassarsi, svagarsi e divertirsi, ma come ben sappiamo l’uomo non possiede esclusivamente queste emozioni e non reagisce solamente con quelle positive in situazioni di sfida.
I videogiochi sono questo, ossia sfide, enigmi e compiti; essi si fondano sulle ricompense e sui premi, meccanismi che influiscono sui neuro-recettori del cervello, i quali rilasciano nel sistema nervoso sostanze (o meglio neurotrasmettitori) quali la dopamina, l’endorfina e la serotonina che influiscono sul nostro umore.
Come in ogni gioco la sfida e la presenza di ostacoli sono necessari, altrimenti l’assenza di tali fattori causerebbe un rilascio minore di tali sostanze provocando un senso di abitudine, in più il rilascio dopo un lasso di tempo di privazione fa aumentare le sensazioni di piacere provate.
Per tale motivo però la ricompensa deve accompagnare e non sostituire una prestazione, tuttavia tale meccanismo poggia le basi anche delle dipendenze: la ludopatia infatti, la quale sfrutta le ricompense (anche misere) per attrarre e soggiogare gli utenti.
Una questione importante da rimarcare quando si parla di videogiochi è la distinzione tra l’uso e l’abuso di essi, quando qualcosa interferisce con tutte o la maggior parte delle attività di una persona, si riscontra in tal senso un danno e un pericolo, non più un mezzo di svago.
Viviamo in un’epoca a stretto contatto con tali realtà che sfociano in problemi e disturbi sociali, dall’isolamento all’estraniamento, oppure il distaccamento dalla realtà, la perdita di interesse per tutto ciò che sta all’infuori dei videogiochi, fino all’agorafobia e l’incapacità di comunicare e sapersi rapportare con persone del sesso opposto o simili se non attraverso uno schermo (si vedano i casi più eclatanti sugli hikikomori o gli otaku, due fenomeni giapponesi).
I videogiochi possono causare non necessariamente tali disturbi, ma possono provocare reazioni eccessive quali rabbia e frustrazione, oppure possono privare di molto tempo una persona, poiché si incaponisce sul voler riuscire a superare un determinato livello o risolvere una determinata incognita.
Dati utili che forniscono informazioni importanti su come non incombere in tali situazioni ci vengono fornite solitamente già dai giochi, come ad esempio l’età consigliata (PEGI) e il contenuto che può essere consigliato o sconsigliato a un determinato pubblico.
Molto spesso infatti la frustrazione data dai videogiochi è dovuta al fatto che possono contenere livelli di sfida troppo alti per un pubblico di soggetti troppo giovani, così come i contenuti possono definirsi troppo “influenzabili” per determinate persone.
In conclusione, il videogioco è uno strumento utile per mettersi alla prova e svagarsi, esso è un passatempo corretto e non malsano come lo si vuol dipingere in molti servizi e articoli, tuttavia come per ogni attività e hobby quando vengono oltrepassati certi limiti si sfocia nell’abuso rischiando la salute sia fisica che psichica.
Tale rischio è arginabile solo se si diventa in grado e consapevoli dei propri limiti, discernendo il divertimento e il gusto della sfida dall’esasperazione e la frustrazione, oppure se non si è in grado perché troppo giovani o perché ci si infervorisce facilmente, si consiglia sempre la supervisione da parte di qualcuno o meglio ancora la scelta di optare a titoli più in linea col proprio carattere.