Scrivo questo articolo, che magari dal titolo potrebbe sembrar banale, per la forte carenza di nozioni tecniche legate ai videogiochi. Perché proviamo a pensarci: cosa rende un videogioco bello oppure brutto? Che domanda scontata, vero? Eppure una buona porzione di giocatori non saprebbe rispondere in maniera esauriente, soffermandosi principalmente sugli aspetti scenici del gioco in questione.
Esatto, perché a rendere un gioco bello, non sono semplicemente la grafica, o la trama; sebbene siano i principali metri di giudizio utilizzarti per valutare un prodotto videoludico. E per dar forza a quest’affermazione citerò degli esempi:
- Star Wars Battlefront: Grafica eccellente, ma mal valutato dai giocatori, che in poco tempo lo hanno abbandonato.
- No Man’s Sky: idea intrigante, ma realizzazione pessima, soprattutto dal punto di vista della gestione degli obbiettivi, che anche qui ne ha causato l’abbandono.
- Rocket League: titolo tra i più giocati al mondo, totalmente privo di trama.
Insomma, come suggerito da questi esempi semplicistici, la risposta alla domanda posta ad inizio articolo non può essere trovata riferendosi ad una di queste banali etichette, ma bensì in un’insieme di queste ultime, unite ad altre meno note. Questo mix di parametri è detto user experience.
Ad essere precisi, il termine user experience è utilizzato in riferimento a tutte le innovazioni tecnologiche e fa riferimento all’insieme di sensazioni e di percezioni che l’utente sviluppa attraverso la fruizione di queste ultime. Per quanto riguarda il gaming invece, esiste un termine ancora più tecnico, ovvero la player experience, l’esperienza fruita dal giocatore durante lo svolgersi del gioco.
È proprio quest’ultima variabile che ci porta poi a classificare i giochi come belli o brutti. Ma complessivamente, cosa orienta la nostra player experience?
- Aspetti scenici: di cui sono un esempio perfetto grafica e trama. La prima ci permette di sviluppare l’impressione di essere realmente nel mondo in cui si ambienta il gioco; la seconda, se presente, aiuta ad immergersi nella storia, nei vissuti, nei ruoli e così via che il videogame prevede.
- Aspetti di usabilità: strettamente dipendenti dalla costruzione, in termini di programmazione del gioco. L’usabilità, nei videogame è detta giocabilità, e fa riferimento alla capacità di tradurre le intenzioni del giocatore direttamente nella realtà digitale, al fine di aumentarne il coinvolgimento il livello di immersione.
- Vissuto emotivo: comprende tutta la gamma di emozioni suscitate e sviluppate nel corso del gioco. Un videogame può avere una trama magnifica, che se emotivamente non ci coinvolge, può comunque non sortire gli effetti desiderati. Senza contare che un gioco dev’essere sfidante, ma non frustrante; emozionante, ma non travolgente; giocabili, ma non facile…
- Immersione: fa riferimento alla dimensione di flusso (o flow) di cui ho già parlato in quest’articolo. Sostanzialmente, consiste nella capacità del gioco di far insorgere una sensazione di benessere e automatismo nell’utente, trasportandolo dalla realtà effettiva a quella digitale.
- Dinamiche sociali: da non dimenticare l’aspetto social, anche qui non fondamentale, ma presente (e importante) in moltissimi giochi. La presenza di dinamiche sociali quali cooperazione, competizione, aggregazione online (gilde o community) eccetera sono un aspetto fondamentale nella valutazione di un videogame, in quanto fanno insorgere nell’utente tutta una serie di sentimenti di ingroup e outgroup che lo portano a vivere un esperienza di gioco molto singolare.
Dunque, riprendendo le domande iniziali, cosa rende un gioco bello o brutto? La media di Player experience provata dalla popolazione di giocatori che prova il videogame in questione. Che poi sia una dimensione fortemente soggettiva è vero, ma d’altronde alcune cose non si possono spiegare per forza con dati oggettivi, sono pur sempre questione di cuore.