Quando avete tra le mani la custodia di un videogioco, guardando la copertina noterete un rettangolo, in basso a sinistra, raffigurante un numero seguito sempre da un “+”. Si tratta della classificazione PEGI, ovvero un’indicazione circa quali fasce d’età siano generalmente congrue con i contenuti del gioco in questione. In altre parole, viene indicata l’età a partire dalla quale gli elementi di un videogioco sono adeguati. Alcuni di voi conosceranno questa classificazione per esperienza, magari dopo aver sfogliato le prime pagine del libretto di presentazione all’interno della custodia di un gioco appena comprato, dove sono riportate spesso delle informazioni utili sul PEGI. Altri, magari, hanno avuto paura che il cassiere non gli permettesse di comprare quel videogame in cui l’età consigliata da PEGI non coincidesse con i loro anni effettivi. I nostri lettori abituali, probabilmente, hanno trovato citazioni sul PEGI in qualche articolo in cui si parlava del rapporto tra videogiochi violenti e aggressività, apprendendo, tra l’altro, che i videogame non hanno effetti così catastrofici sul comportamento come si è sempre creduto e insinuato.
Ma che cosa è effettivamente il PEGI? Con quali criteri viene stabilito e, soprattutto, è vincolante? Siamo proprio sicuri di sapere ogni cosa al riguardo? Mi chiedo questo perché molti videogiocatori ne hanno una conoscenza superficiale, e spesso non è visto di buon occhio perché viene considerato una sorta di prudenza eccessiva, talvolta esclusivamente moralistica, nonostante sia un alleato a tutti gli effetti di qualunque videogiocatore. Per comprendere meglio l’utilità delle classificazioni effettuate da PEGI, abbiamo visitato il suo sito ufficiale in italiano per voi (consultabile qui). Eccovi dunque una lista delle otto cose da sapere sul PEGI e che potranno chiarirvi le idee su un argomento poco approfondito.
1. PEGI sta per Pan-European Game Information ed è che un sistema classificatorio basato sull’età intento ad aiutare i consumatori nella scelta consapevole di un videogioco – ma questo lo sapevate già!
2. È attivo dal 2003 ed è usato in ben 30 paesi europei ed è stato creato dall’ISFE (International Software Federation of Europe).
3. Le fasce d’età individuate da PEGI sono 5:
• Dai 3 anni in poi, ovvero adatto a tutte le età: in questa classificazione è tollerata una violenza “alla Super Mario”, ovvero su uno sfondo comico e irreale e associata a personaggi inverosimili, in modo che non sia associata alla vita reale. Inoltre, rientrano in questa categoria anche alcune simulazioni sportive.
• Dai 7 anni in poi: il contenuto violento è praticamente identico alla classificazione 3+, ma in aggiunta sono tollerati anche rumori o scene che potrebbero spaventare i bambini più piccoli, inseriti comunque in un contesto di fantasia.
• Dai 12 anni in poi: violenza di livello medio e leggermente più esplicita attribuita a personaggi più realistici, turpiloquio non volgare e, soprattutto, NON a sfondo sessuale, e talvolta è possibile trovare personaggi meno vestiti del solito, ma non è presente nudità.
• Dai 16 anni in poi: presenta scene di violenza decisamente reali, ed è consono ad un pubblico capace di gestire parole offensive e concetti come la criminalità, l’uso di tabacco o droghe.
• Dai 18 anni in poi, ovvero solo per adulti: presenta una violenza definita “grave”, ovvero capace di inorridire o far suscitare sentimenti contrastanti, come il disgusto, o scene capaci di spaventare, angosciare e sottoporre ad un alto stato di stress (Dead Space, ad esempio); il linguaggio può essere molto volgare e connotato esplicitamente.
4. PEGI ha anche prodotto una lista di simboli raffiguranti i vari contenuti presenti in un gioco (indicatori di contenuto) che vengono così segnalati in anticipo al consumatore, come la paura, il linguaggio esplicito, l’uso di droghe, gioco d’azzardo e, infine, la violenza.
5. Circa il 93% degli utenti riconosce le fasce d’età indicate da PEGI, poco più della metà (62%) riconosce gli indicatori di contenuto quando sono mostrati sul retro di un gioco.
6. Le indicazioni di PEGI non si riferiscono al livello di difficoltà del gioco, ma esclusivamente ai suoi contenuti, per cui no, non significa che più alta è l’età classificata e più difficile sarà il gioco.
7. Un gioco viene classificato in questo modo: i produttori, che conoscono il videogame in lungo e in largo, compilano un modulo in cui dichiarano le caratteristiche del loro prodotto, in modo da informare chi fa le classifiche, che poi si appresterà a esaminare il gioco in prima persona. Si fa quindi un “bilanciamento” tra quanto dichiarato dai produttori e dall’esame diretto, e finito il processo si procede alla valutazione ufficiale.
8. Fino ad oggi, sono quasi 10.000 i giochi marchiati dal PEGI. È curioso notare che le classificazioni 18+ sono la minoranza di tutte quelle in circolazione (4%), mentre i picchi più alti si rilevano nei giochi con classificazione 3+ (50%) e 12+ (24%). Per cui non diteci che i giochi sono soltanto violenti e scurrili, perché non è vero!
Concludiamo dicendovi che, secondo noi, la classificazione per età non è moralismo, né ipocrisia, nonostante viviamo in una società abituata a qualunque nefandezza, ma uno strumento utile a tutelare le fasce d’età più sensibili. Molti genitori probabilmente fanno il possibile per evitare di comprare ai loro figli giochi con presenza di sangue, ma basta che questi accendano la televisione su un canale qualunque per mandare tutto all’aria. Personalmente, non ha senso usare queste premure esclusivamente con i videogiochi. Vi ricordiamo, inoltre, che la maturità e l’autocontrollo dei bambini sono differenti, variano in base a ciascuno, non sono statici, per cui sta al genitore valutare il contenuto di un gioco e la sua fruibilità rispetto all’età di suo figlio, magari guardandolo mentre gioca e spiegandogli il significato di alcune scene, o ammonendolo qualora stesse assumendo dei comportamenti non appropriati in relazione all’attività videoludica (dicasi anche media education). Ergo, è importante saper valutare le situazioni caso per caso, in base a quanto un ragazzino è suscettibile o impressionabile. “Non ti compro il gioco di Zelda dove interpreti il ruolo di un elfo che salva una principessa in un mondo fatato perché hai 11 anni e 364 giorni mentre questo è classificato 12+” non è un esempio di valutazione caso per caso che prenda in considerazione le caratteristiche del proprio figlio.