La creazione dei nostri alter ego virtuali è per molti parte importante dell’esperienza di gioco ed facile immaginarla come un processo a senso unico con il giocatore impegnato a realizzare un sè alternativo in cui sperimentarsi.
Negli studi di laboratorio emerge però un’influenza in direzione opposta, con utenti che si conformano a comportamenti culturalmente associati all’aspetto dell’avatar a loro assegnato: ad esempio coloro che giocavano un personaggio vestito di nero piuttosto che di bianco riferivano un maggior desiderio di comportamenti antisociali.
Questo fenomeno, detto appunto “Effetto Proteus” viene spiegato facendo riferimento alla teoria della deindividuazione: gli stimoli fisici perderebbero enfasi a favore di quelli virtuali.
Vi sono però interessanti eccezioni: quando infatti gli stimoli virtuali vengono resi particolarmente salienti, specialmente perchè contrastanti con le caratteristiche fisiche dell’utente, diventa più facile riconoscere e filtrare consapevolmente l’azione degli stereotipi fino ad annullare l’influenza degli stimoli virtuali.
Viene da chiedersi se quest’ultimo processo di compensazione si manifesti anche quando, come più comunemente accade, è il giocatore a scegliere le caratteristiche del proprio avatar. La più saliente di queste è sicuramente il sesso (inteso come distinzione biologica maschio/femmina), a partire dal quale si sviluppano quegli aspetti culturali che definiamo genere.
Sono proprio questi ultimi alla base del “gender swapping” ovvero del farsi attribuire online un sesso diverso da quello biologico sperimentando quindi norme e aspettative dell’altro genere: pensiamo a giocatrici con avatar maschili per evitare approcci indesiderati.
Il conflitto fra genere del giocatore e dell’avatar è stato studiato da un gruppo di ricercatori prendendo come campione l’utenza del popolarissimo MMORPG “World of Warcraft“. Dato che l’effetto Proteus opera su stereotipi socialmente condivisi hanno per prima cosa chiesto ai giocatori di indicare quando cinque attività fossero preferite da donne, uomini o indifferenti: fra le attività più “maschili” è incluso il “player vs player” mentre il curare gli alleati è vista come attività tipicamente femminile.
Nella fase successiva hanno reclutato più di mille giocatori di WoW e raccolto i loro dati demografici chiedendo loro di indicare fino sei personaggi che stavano attualmente usando, per poi monitorare la loro attività mediante il registro online WoW Armory.
I risultati hanno confermato l’effetto Proteus per quanto riguarda l’attività di cura: giocatori maschi e femmine non differivano nel tempo dedicato a questa azione considerata tipicamente femminile, ma al contrario era significativamente più comune nei personaggi femminili a prescindere da chi li stesse usando.
Lo scontro con altri giocatori invece risultava effettivamente più frequente per i giocatori maschi, ma non tanto da essere statisticamente significativo. Anche in questo caso però il genere dell’avatar risultava influente, rendendo il pVp più frequente per gli utenti di personaggi maschili.
Come sottolineano gli autori l’effetto proteo ci mostra in azione la costruzione sociale del genere: la comunità di WoW condivide lo stereotipo delle donne come “healer”, che i dati mostrano essere privo di fondamento, al punto tale che i giocatori si adeguano ad esso nei loro personaggi femminili risutlando in un ambiente di gioco che conferma lo stereotipo.
Dati a sostegno dell’effetto Proteus vengono anche da uno studio analogo del 2012 che è però partito dai ruoli di genere nel mondo reale. E’ noto come in molte culture il ruolo sociale maschile incoraggi forza ed indipendenza, rendendo così particolarmente difficile ammettere di aver bisogno di aiuto. Questa tendenza sembra mantenersi anche in un ambiente multiplayer oggetto dello studio: malgrado i giocatori fossero in gran parte maschi era presente un numero superiore alle aspettative di avatar femminili, segno di gender-swapping in atto, ed erano inevitabilmente questi a richiedere aiuto in modo più diretto ed efficace. Viene quindi confermato come questa inibizione sia legata ai ruoli di genere.
Che dire invece dei casi, seppur minoritari sicuramente presenti, di giocatori che creano personaggi femminili estremamente agressivi e votati al corpo a copo oppure serafici guaritori di sesso maschile? Potrebbe essere in atto un processo di ipercompensazione: se si cerca consapevolmente di non attenersi a uno stereotipo è una strategia comune incarnarne l’esatto opposto o comunque sottolineare i tratti ad esso più distanti.
Non guarderei comunque all’effetto Proteus come qualcosa di totalmente passivo: la scelta dell’avatar può essere un modo per sperimentare identità possibili lasciandoci “guidare” da esse o decostruendole in maniera più o meno radicale. Rispetto al tema preso in considerazione il gioco in quanto tale è uno spazio dove possono convivere sia gli stereotipi del femminile e del mascolino che un’infinita gamma di sfumature.
Fonti:
Do Men Heal More When in Drag? Conflicting Identity Cues Between User and Avatar-Nick Yee, Nicolas Ducheneaut, Mike Yao, Les Nelson-2011
The Stoic Male: How Avatar Gender Affects Help-Seeking Behavior in an Online Game-Mika Lehdonvirta, Yosuke Nagashima,Vili Lehdonvirta, Akira Baba-2012