Un viaggio. Niente di più e niente di meno. Questo è quello che troverai installando sulla tua console, o rispettivamente sul tuo pc, Hellblade: Senua’s Sacrifice. La peculiarità sta però nel tipo di viaggio. Se nelle avventure classiche si esplorano mondi o universi, questa volta il viaggio è introspettivo: è nella mente, o quantomeno nel mondo, di Senua, la protagonista del gioco.
UNA TRAMA SINGOLARE – Ma andiamo per gradi. Non appena avrai ultimato l’installazione e inizierai il gioco, ti ritroverai nei panni di Senua, una guerriera celtica che, pagaiando, si avvicina ad Hel, quello che è considerato l’inferno, crossover di religioni permettendo, della mitologia nordica. La storia viene motivata dalla stessa eroina dicendo che Dillion, il suo amato, è stato ucciso e lei è giunta lì per riprenderselo. Presupposto che potrà sembrare un po’ ambizioso, ma se hai giocato a God of War non c’è divinità che tenga, dunque avanti tutta e “tiratemi fuori sti dei normanni che li tiriamo giù uno ad uno”. Questo è quello che mi è passato per la mia mente non appena sentita la trama base del gioco, pensando di essere di fronte ad una sorta di Dante’s Inferno per nordici.
Ma ecco che qualcosa distrugge le mie aspettative. Già il prologo non è raccontato dalla protagonista, ma bensì da delle voci, che sembrano commentare l’avvicinamento della guerriera ad Hel, spiegando appunto cosa l’ha spinta in questa landa maledetta. Rapidamente, ci si accorge che queste non sono voci fuori campo a caso, ma bensì voci che la protagonista sente nella sua testa e con le quali ogni tanto battibecca. La trama assorbe improvvisamente tinte psico, che si tratti di psicosi?
TRA VOCI E ALLUCINAZIONI, FACCIA A FACCIA CON LA PSICOSI – Alla psicosi siamo rimasti e da questa ripartiamo, perché all’occhio di qualsiasi laureando, laureato, amante, interessato, amico (e chi più ne ha più ne metta) della psicologia i sintomi sono più che chiari. Giocando infatti ci si renderà conto che non solo Senua sente diverse voci (alcune che identifica, altre invece ignote), ma che cade spesso preda di allucinazioni. Gli altri sintomi frequenti sono ricordi intrusivi, deliri di vario genere e il fatto che giri con la testa del fidanzato morto appesa alla cintura. Come? Questo non c’é nel DSM-5? Allora, lo inseriamo tra i forse. In ogni caso la sintomatologia è completa e ben studiata, tanto da far insorgere nel giocatore (più volte) il dubbio che tutto ciò che sta giocando in realtà non esista. Ma come ben sappiamo la realtà è un concetto difficilmente definibile e dunque tutte le ombre che Senua vede, sente e percepisce ci tocca combatterle, facendo attenzione a non morire troppe volte, rischio il reset del gioco.
Proprio l’attenzione posta sulla malattia e la scelta di un protagonista che ne soffre rendono Hellblade primo nel suo genere. Pare infatti che il gioco sia stato commissionato alla Ninja Theory proprio per sensibilizzare sul tema della psicosi, rendendo di per sé il titolo un vero e proprio Serious Game. Come spiega poi Tameem Antoniades, direttore artistico del gioco, per poter adempiere a tale scopo gli sviluppatori hanno parlato con professionisti tra cui psichiatri, psicologi e neurologi, al fine di rendere l’esperienza di gioco il più simile possibile a quella di una persona affetta da tale patologia.
IL VIAGGIO DI SENUA – Come detto, la malattia della protagonista mette in discussione la reale portata della sua avventura: sta realmente combattendo le divinità che hanno imprigionato il suo amato o sta combattendo le sue paure? Ad ognuno la sua interpretazione, sicuramente Hel come metafora della prigione che rappresenta la sua mente è una teoria fortemente accreditata in rete. Indipendentemente da ciò, quello che si può dire con certezza è che nel suo viaggio la protagonista matura, affrontando, oltre alle sue “ombre”, anche il difficile viaggio nel lutto, causato dalla perdita di Dillion.
Più che la psicosi della ragazza infatti, sembra essere quest’ultimo il filo conduttore della trama. Un viaggio attraverso alla propria mente, caratterizzata dai propri traumi e dalle proprie debolezze, per riuscire in quello che è uno dei compiti emotivamente più dolorosi con cui si interfaccia l’essere umano: l’elaborazione della perdita di un proprio caro.
Traumi, appunto. Quella parola non è posta lì a caso, perché nel viaggio di Senua c’è anche molto della sua infanzia, che spesso e volentieri si fa avanti, un po’ per mezzo dei ricordi intrusivi accennati sopra e un po’ grazie alle voci che accompagnano la ragazza. Ricordi dolorosi, talvolta cacciati nell’oblio della memoria a forza di negazione, nei quali è possibile rintracciare una parziale causa della malattia della guerriera. Dico una parte, perché spesso e volentieri si parla della madre della ragazza e del fatto che anche lei vedesse queste “ombre”, come per suggerire una predisposizione genetica alla malattia. Non aggiungerò altro sull’argomento, non voglio fare spoiler su cosa Senua possa aver vissuto per portarla a sviluppare una psicosi così marcata, questo lo lascerò a te e alla tua curiosità.
TRA UN IDEA INNOVATIVA E QUALCHE PECCA DI GAMEPLAY – Se il progetto è da 10, bisogna però apportare qualche critica al sistema di gioco.
Innanzitutto, per quanto riguarda l’ambientazione, c’è poco da dire. Sia a livello grafico, che narrativo essa dipinge al meglio la realtà nella quale si immerge, offrendo anche delle pietre (con le quali è possibile interagire) che raccontano dei miti nordici, permettendo a giocatore di calarsi nella cultura di riferimento, soprattutto per coloro che, come me, di underworld nordico sapevano ben poco. Inoltre, il clima un po’ thriller e un po’ horror, aiuta ad empatizzare con l’eroina e la sua malattia, mettendo il giocatore in una sorta di stato che potremmo definire tra l’agitato e il confuso: non capisco bene cosa mi succede ma vado avanti. Insomma fino a qui tutto bene.
Per quanto riguarda la giocabilità invece il discorso è un altro. Inizialmente si parlava di viaggio, e infatti il gioco ricalca assolutamente questo termine, non permettendo al giocatore di scostarsi in alcun modo dalla trama. Non me ne vogliate, capisco la proprietà della storia e della malattia in un titolo del genere, e non mi aspettavo certo un Open Wold stile The Witcher, ma l’assenza di alternative e il contesto poco esplorabile spesso accompagnano eccessivamente il giocatore verso la soluzione. Non è possibile scalare quasi nulla, né arretrare più di tanto, né niente. O si avanza o si muore tentando di avanzare. Questo aspetto, a mio modestissimo parere, poteva essere gestito meglio.
Infine, per quanto riguarda il sistema di combattimento, è veloce e facilmente gestibile. Nulla di strutturato e complesso, semplicemente un misto tra evitamenti, attacchi e qualche combo. Ho letto recensioni che lo hanno criticato per la troppa semplicità, ma a mio parere andava benissimo così. Non giochiamo per craftare spade magiche o per lanciare onde energetiche; si combatte per arrivare in fondo, con le abilità di una guerriera celtica che sfida le sue stesse paure.
In conclusione Hellblade Senua’s Sacrifice è un viaggio. Niente di più e niente di meno. Come tutti i viaggi può essere adrenalinico in alcuni frangenti e noioso in altri. Questo non si discute, ma non è un viaggio come gli altri. È il percorso di una persona affetta da una patologia mentale, che combatte per ottenere un briciolo di pace.
Quanti sono disposti ad affrontarlo?