Non è vero ma ci credo! Messaggi subliminali fra mito e realtà

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Le innovazioni suscitano spesso in noi reazioni estreme, fra la paura del nuovo e aspettative irrealistiche. Non stupisce dunque che si diffondano credenze più o meno fondate su come la tecnologia influenzerebbe le nostre menti. Come spesso accade la realtà è meno sensazionale ma non per questo poco interessante.

È il caso  una delle leggendo metropolitane più diffuse: la Coca-Cola avrebbe inserito il proprio logo nei fotogrammi di film destinati ai cinema allo scopo di influenzare le scelte dei consumatori. Il pubblico non si accorgerebbe di nulla, dato che la scritta comparirebbe solo per un brevissimo istante mentre la loro attenzione è rivolta alle vicende sullo schermo. Lo stimolo pur restando al di fuori dalla soglia della consapevolezza (essendo quindi sub-liminale),  sarebbe sufficiente ad indurre gli spettatori a scegliere proprio quella bibita al distributore automatico fuori dalla sala.

Quanto c’è di vero in questi racconto?

 

Perchè sia plausibile dovremmo innanzitutto essere in grado di percepire uno stimolo anche senza esserne consapevoli e mantenerlo nella memoria. Questa a sua volta influenzerebbe il nostro comportamento in una situazione concettualmente legata: non devo solo ricordare in modo non cosciente il marchio della coca cola, deve anche influenzare le mie azioni successive verso quello specifico prodotto.

 

Una situazione simile è quella che viene riprodotta sperimentalmente attraverso la procedura del priming subliminale.

I soggetti sperimentali sono posti davanti a uno schermo dove viene presentato loro per pochi millisecondi uno stimolo attivatore (il prime), preceduto e seguito da configurazioni senza senso che lo mascherano ulteriormente. Dopo un tempo che può essere molto breve ma anche decine di minuti, viene presentato uno stimolo bersaglio rispetto al quale il soggetto deve svolgere un compito, come ad esempio dire il nome o la categoria dell’oggetto rappresentato. L’esperimento continua presentato diverse coppie di stimoli attivatori e di stimoli bersaglio, registrando i tempi di svolgimento del compito. Alla fine si presenta ai partecipanti l’intera sequenza di stimoli chiedendo esplicitamente di indicare gli stimoli prime per verificare se essi siano stati percepiti coscientemente, cosa che generalmente non avviene.

 

Cruciale al fine dei risultati, emerge dalla letteratura, è proprio la stessa relazione concettuale suggerita dalla leggenda: gli stimoli bersaglio associati agli stimoli prime, come ad esempio l’immagine di un cane dopo quella di un osso come attivatore, mostrano tempi di reazione più brevi nonostante lo stimolo attivatore non venga comunque riconosciuto consapevolmente. Abbiamo quindi dimostrato in modo misurabile che il nostro comportamento, in questo caso di identificazione, è influenzabile da stimoli non coscienti.

 

Perchè questo avviene, se non ricordiamo nemmeno lo stimolo attivatore, nel caso della leggenda la scritta “Coca Cola”? Si ipotizza che la rappresentazione sensoriale, troppo breve e disturbata, non possa essere consolidata nella memoria a breve termine. Al tempo stesso risulterebbe sufficiente ad innescare l’attivazione delle informazioni associate nella memoria a lungo termine (il nostro “magazzino” di conoscenze ed esperienze) in un processo di propagazione.

Notiamo però come vedere ad esempio l’immagine di un osso (stimolo attivatore) senza ricordarla ma riconoscere più facilmente lo stimolo bersaglio “cane” da essa attivato è cosa ben diversa dall’essere indotti a scegliere cosa bere. Non abbiamo prove sufficienti a sostenere che una azione così complessa possa essere influenzata da stimoli non coscienti.

Torniamo quindi all’inizio, e alla leggenda della coca-cola. Possiamo far risalire le sue origini a James Vicary, ricercatore di marketing  che negli anni 50′ sostenne per primo di aver incrementato le vendite della bibita inserendo i famigerati fotogrammi. Malgrado i suoi risultati non siano stati replicati e le circostanze del presunto esperimento siano fin troppo vaghe le sue dichiarazioni fecero scalpore muovendo addirittura iniziative legali a difesa dei consumatori. Il fatto che questi mito siano giunto fino a noi ci porta a riflettere su quanto facilmente attribuiamo effetti rischi alle tecnologie, magari con il classico non è vero ma ci credo a metà fra fascino e inquietudine.

 

Bibliografia:

Attenzione e percezione: i processi cognitivi tra psicologia e neuroscienze – Massimo Turatto, Roberto Dell’Acqua

 

 

 

 

 

 

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