L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto la dipendenza da videogiochi come disturbo. Ma si può davvero diventare dipendenti di un videogame?
L’uso eccessivo, compulsivo e irrefrenabile dei videogiochi d’ora in poi verrà considerato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come un disturbo psichico a tutti gli effetti. La notizia non è assolutamente scioccante, così come non dovrebbe intaccare la serenità dei videogiocatori e amanti dei videogame sparsi in tutto il mondo, anche di quelli che, ogni tanto, ci giocano un po’ troppo. È noto, infatti, che un uso malsano dei videogame si associ, talvolta, ad un funzionamento patologico in alcune persone in momenti delicati della loro vita, proprio come nel caso degli hikikomori (per saperne di più, leggi qui).
Per questo motivo, non ci disturba il fatto che l’OMS riconosca tutto ciò, ma che decida di classificare un disagio relativo ad un uso patologico dei videogiochi come una “dipendenza”, accostando, dunque, i videogame a sostanze tossiche capaci di rovinare la vita delle persone, quali le droghe, e danneggiarne irrimediabilmente il corpo e le sinapsi. La nostra paura, in particolare, è che la scelta dell’OMS confonda le persone, diffondendo nel senso comune l’assioma sbagliatissimo per cui l’uso di videogiochi equivalga all’uso di droghe, con annessi i relativi effetti collaterali. In altre parole, non vorremmo che si creda che videogiocare abbia effetti collaterali, che siano dannosi, o che regalare al proprio figlio un videogioco significhi gettarlo in una spirale dalla quale non potrà mai più uscire.
Per chi si fosse perso i dettagli, ecco un riassunto. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, un’agenzia speciale dell’ONU il cui obiettivo consiste nel raggiungimento del livello migliore di salute in tutta la popolazione mondiale, ha deciso di inserire nella prossima edizione dell’ICD (International Classification of Deseases – attualmente alla sua decima edizione, pubblicata nel 1990) quello che sul suo sito internet viene definito come “gaming disorder”, che in italiano viene tradotto come “dipendenza da videogiochi”. Le indiscrezioni di dicembre sono state confermate proprio a gennaio, pochi giorni fa.
Per quanto riguarda questa notizia, i commenti sui social network si dividono tra chi sostiene la legittimità della scelta dell’OMS, affermando che si tratterebbe di una decisione tardiva, siccome era “scontato” e “si sapeva da sempre” degli effetti negativi dei videogame sulle persone, e tra chi cerca di difendersi da queste tesi infondate in maniera più razionale. Certi commenti lasciano il segno anche a noi di Horizon, che da sempre ci siamo impegnati a diffondere un’informazione scientificamente fondata sui videogame e sui loro effetti – i quali, in realtà, sono soprattutto benefici! Sono numerosi, ormai, i nostri articoli che mostrano le conseguenze positive dei videogame sulle abilità cognitive riscontrate da numerose ricerche (per saperne di più, leggi qui), così come quelli in cui riportiamo le prove della totale infondatezza della credenza per cui i videogiochi farebbero male al cervello (per saperne di più, leggi qui). Come è possibile, dunque, che l’OMS comunichi di voler inserire nell’ICD-11 un disturbo legato ai videogiochi? Significa forse che i videogiochi in realtà facciano più male che bene, contrariamente a quanto da noi sostenuto, e che tutta la ricerca scientifica sui benefici dei videogame non abbia fatto altro che un buco nell’acqua? Significa forse che quelli ad avere realmente ragione siano proprio i detrattori dei videogiochi? La nostra risposta è laconica: no! La decisione dell’OMS non si oppone ad una visione positiva dei videogiochi, in cui questi siano soprattutto uno strumento di crescita cognitiva e miglioramento personale.
Innanzitutto, è bene fare chiarezza su vari aspetti: la cosiddetta dipendenza da videogiochi è stata definita dalla stessa OMS come caratterizzata da: controllo alterato/indebolito sull’attività di gioco, che diventa la principale occupazione della propria vita a discapito delle altre, e che non riesce ad essere frenata nonostante la persona si accorga che le stia apportando un danno. Tutti questi aspetti devono presentarsi per almeno 12 mesi e devono essere ritenuti abbastanza gravi da compromettere la vita quotidiana nelle sue aree principali, come il lavoro, la vita sociale, familiare, lavorativa e amorosa, ma anche altre aree importanti per l’individuo. L’attuale posizione dell’OMS non fu condivisa, tuttavia, dall’APA (American Psychiatric Associacion) quando, nel 2013, fu redatta la quinta edizione del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders): infatti, proprio in questo testo – per chi non lo sapesse, si tratta del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – emerse che non esistono prove sufficienti per inserire un eventuale disturbo di dipendenza da videogiochi tra gli altri disturbi presenti nel manuale; piuttosto, gli stessi autori preferirono inserire un eventuale “Disturbo da gioco su internet” nella sezione “Condizioni che necessitano di ulteriori studi”, al fine di sollecitare i vari ricercatori ad indagare meglio sull’argomento.
Si tratta, in quest’ultimo caso, di attivare la ricerca scientifica in casi di persone particolarmente ossessionate dal gioco on-line, che pur di giocare perdono interesse in qualunque altro campo della loro vita, come gli hobby, la vita amorosa e sociale, fino al punto di rinunciare di andare al lavoro pur di continuare a giocare; provano inoltre ansia, tristezza e irritabilità estreme in assenza della loro attività ludica. Si tratta, ad ogni modo, di casi estremi che non hanno prodotto abbastanza dati per una generalizzazione. Perché l’APA non aveva voluto inserire l’uso sfrenato di videogiochi tra i vari disturbi da addiction (dipendenza), così come le altre sospette dipendenze comportamentali, quali dipendenza da shopping, o dipendenza da serie tv? Innanzitutto perché manca un corpus significativo di dati clinici statistici, e, soprattutto, per il semplice fatto che un videogame, così come un comportamento più in generale, non è paragonabile ad uno stupefacente: le droghe, infatti, tendono a sollecitare nel cervello una produzione di dopamina superiore di circa dieci volte rispetto ad un videogioco! In altre parole, i videogame sono sì progettati per essere attraenti ed utilizzati volentieri, ma il loro uso non ha assolutamente le stesse conseguenze di una sostanza stupefacente. Infatti non esistono prove che l’uso di videogiochi possa indurre gli stessi sintomi di una droga, come le gravi crisi di astinenza.
È proprio questo, essenzialmente, il nocciolo in cui risiede il dibattito relativo alla scelta dell’OMS. Si tratta di una questione molto tecnica e settoriale per gli operatori della salute mentale, ma, soprattutto, una questione di chiarezza per noi di Horizon: un videogioco non è paragonabile ad una droga perché non è responsabile diretto di alcuna dipendenza. Non si tratta di chiedersi quand’è che il gioco diventa una droga, ma quando una persona non riesce più a fare a meno di smettere di giocare nel tentativo disperato di estraniarsi dal dolore della propria vita, da quella sofferenza che non riesce ad affrontare perché sprovvisto dei mezzi necessari per farlo. Spostare l’attenzione dalla persona che soffre verso le caratteristiche del determinato oggetto di cui è dipendente potrebbe essere il riflesso della perdita di interesse della nostra società verso i suoi cittadini e i legami sociali. Infatti, come insegna la psicoanalisi, ogni disagio personale, quale la dipendenza – da qualunque cosa -, getta sempre le sue radici in un disagio sociale. Non si bada più alle sofferenze intrapsichiche, ma si attribuisce la colpa ad una sostanza, ad un videogame, ad un’attività. Il rischio della nostra società è che non curi più né gli individui, né se stessa, ma che si limiti, piuttosto, a censurare ciò che le si presenta come compromettente, demonizzandolo. Certamente, non credo sia questo il caso della scelta compiuta dall’OMS, che ha voluto sensibilizzare la comunità scientifica su un fenomeno che soprattutto in Asia si sta diffondendo più che in Europa; forse è anche per questo motivo che non sentiamo questo nuovo “disturbo” particolarmente vicino alla nostra realtà. Ribadisco, ciò che ci preme sottolineare è che nessun videogioco susciterà direttamente in voi alcuna sorta di dipendenza, non vi renderà degli emarginati, non brucerà il vostro cervello e non peggiorerà la vostra vita, semplicemente perché non ha abbastanza potere per farlo. Un’eventuale dipendenza da videogioco, infatti, come tutte le altre dipendenze, sarebbe causata dall’insorgenza di più fattori: le vere cause di una dipendenza sono quelle difficoltà psichiche e personali ad essa sottostanti, piuttosto che il suo oggetto. Videogiocate e divertitevi!
Fonti
https://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_mondiale_della_sanità
http://www.who.int/features/qa/gaming-disorder/en/
https://en.wikipedia.org/wiki/Video_game_addiction
http://www.ilsole24ore.com/art/tecnologie/2018-01-10/videogiochi-cosa-parliamo-quando-parliamo-dipendenza-163035.shtml?uuid=AEGBTDfD&refresh_ce=1
https://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_mondiale_della_sanità
American Psychiatric Association, Ed. it. Massimo Biondi (a cura di), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014.