L’idea di analizzare la storia del visore per la realtà virtuale mi è venuta per tre motivi, diversi tra loro, ma comunque importanti per la stesura di questo articolo.
In primis gli studi di psicofisica che sto approfondendo, in secondo luogo il mio desiderio morboso verso il Playstation VR e la futura possibilità di giocare a Skyrim su di esso e, per ultimo, il fatto che ho notato una sorta svendita di visori per smartphone ovunque: dai negozi di elettronica, alle tabaccherie, perfino agli Autogrill. E mi sono chiesto il come mai di questa diffusione, e da dove nascono i visori su cui sia io che altri bramiamo di mettere le mani.
Il primo dispositivo VR è stato inventato attorno al 1850. So che può sembrare strano, ma in quegli anni lo scienziato scozzese David Brewster e il medico americano Oliver Wendell, entrambi studiosi anche di psicofisica, inventarono un primo visore in grado di sorreggere un’immagine su cui erano raffigurate due immagini che differivano di soli due gradi di angolatura. In pratica la stessa immagine era vista da due punti di vista diversi di soli due gradi. E perché questo strumento denominato “macchina stereoscopica” dovrebbe essere il pronipote del nostro Playstation VR o del nostro costosissimo HTC Vive? Non mi dilungherò in discorsi di psicofisica sulla visione stereoscopica e sul punto di fusione di due immagini, basti sapere che grazie alla visione binoculare, le due fotografie si fondono e danno un senso di profondità simile alla visione tridimensionale (per approfondire capitolo 6 del testo Sensation & Perception, Wolfe et al.).
La storia del nostro visore passa poi dalla fredda Scozia alla città di Louisville, Kentucky, dove negli anni 30’ del 1900 lo scrittore fantascientifico Weinbaum pubblica il breve racconto “Gli occhiali di Pigmalione” dove l’autore auspica un futuro in cui i visori non solo avrebbero stimolato il senso della vista, ma anche l’olfatto, il gusto, il tatto. Questa visione può sembrare prematura per quei tempi, invece con la fine della guerra tra gli anni 50’ e gli anni 60’ iniziano a circolare i primi “Sensorama”, dei dispositivi in grado di simulare al loro interno varie sensazioni: immagini stereo 3D, vibrazioni, vento, profumi, un audio stereofonico, sensazioni tattili di movimento e grazie al suo sguardo rivolto al futuro, il genio del regista Heilig gli fece inserire nella macchina anche un feedback motorio ovvero la rotazione di un manubrio. Purtroppo questo progetto non fu finanziato dati gli alti costi e venne messo da parte dalle industrie cinematografiche.
La realtà virtuale che finora abbiamo descritto per ora ha avuto un fine prettamente ludico, realtivo principalmente all’ambito cinematografico, e fine a sé stesso. Ma dal 1966 questa tecnologia fu sfruttata a fini militari e per questo lautamente finanziata. Infatti da questo momento in poi la velocità con cui si sviluppano le tecnologie riguardati la realtà virtuale aumenta a dismisura: nel 1968 viene infatti creato il primo visore VR da indossare; un visore così pesante da dover essere sostenuto da numerosi supporti. Nel 1977 viene rilasciato l’Aspen Movie Map, un dispositivo che permetteva a chi lo utilizzava di poter camminare tra le strade della città di Aspen, Colorado.
Finalmente però la realtà virtuale sbarca nel mondo videoludico, nel 1982 la casa Atari comincia a finanziare progetti riguardanti questa tecnologia e nel 1993 la Sega realizza il suo Sega VR, un piccolo visore che non viene purtroppo mai commercializzato. Ma passano pochi anni prima che un primo visore possa passare nelle mani degli utenti: infatti nel 1995 la Nintendo rilascia il suo visore Virtual Boy e la casa Forte Technologies rilascia il VFX1, un visore che ci ha permesso di giocare a giochi come Quake o Star Wars: Dark Descendent, nonostante il prezzo al lancio proibitivo (ma non proibitivo come altri visori contemporanei).
Per quasi vent’anni le ditte e il mercato tacciono riguardo la realtà virtuale, fino al 2010 quando Palmier Luckey avvia una campagna di crowdfunding per realizzare il primo visore, a basso costo, del nuovo millennio. Ed è così che nasce l’Oculus Rift.
Ed ecco che arriviamo così agli anni del boom dei visori per la realtà virtuale: dai visori per console, a pc, fino a quelli per smartphone. Visori di plastica, con feltro, perfino visori di cartone (vedi il Google Cardboard) e i sopracitati visori da 19,99 € per smartphone da Autogrill.
La cosa più straordinaria è che i nostri visori VR devono tutto al lavoro di Brewster e Wendell: anch’essi infatti basano le loro tecnologie sulla visione stereoscopica e sulla visione di due immagini diverse per una certa angolatura per i due occhi.
Ma possiamo già fare una previsione di ciò che ci aspetta il futuro? Vedendo già il Nosuluft Rift di South Park Scontri di-retti possiamo cominciare a fantasticare riguardo visori che simulino e stimolino altri sensi come l’olfatto, il tatto o il gusto. Insomma ciò che per Weinbaum poteva essere solo fantascienza, per noi, a breve, potrà essere realtà.