Il nuovo film di Steven Spielberg ha fatto sentire a casa i videogiocatori di ogni età, ambientando le avventure dei protagonisti in Oasis, un mondo virtuale imbottito di riferimenti ai videogiochi moderni, al retrogaming e alla cultura pop anni Ottanta. In questo scenario la Realtà Virtuale è alla portata di tutti e permette di fuggire da un mondo in rovina, offrendo ai giocatori la possibilità di impersonare il proprio eroe e interagire con una comunità vastissima.
Proprio per questo Ready Player One può essere definito un film distopico. La distopia, infatti, equivale ad una sorta di utopia negativa, una raffigurazione del futuro irrimediabilmente contaminata e indesiderata in cui, in questo caso, la Realtà Virtuale sembra essere l’unica via di fuga.
Tuttavia, quanto è probabile che la rappresentazione di Spielberg diventi la nuova realtà?
Partiamo dagli arbori: contrariamente a quanto si possa pensare, la nascita del termine VR (Virtual Reality) risale all’ormai lontano 1989, quando Jaron Lanier fondò la VPL Research (Linguaggi di Programmazione Virtuale). Negli ultimi anni, soprattutto dal 2016 ad oggi, la Realtà Virtuale ha conosciuto uno sviluppo e una diffusione smisurati, come testimoniano le vendite milionarie di Oculus Rift, Playstation VR o HTC Vive. L’enorme successo di questi dispositivi è da attribuire alla possibilità di ricreare mondi e situazioni che sarebbe improbabile, se non impossibile, ritrovare nella realtà, ma soprattutto alla capacità di far nascere nell’utente un “senso di presenza”.
Pensate di essere immersi completamente in un mondo virtuale, qual è la prima cosa che fareste? Probabilmente guardarvi intorno e cominciare a muovere i primi passi… una semplice azione che, tuttavia, permette di percepire la realtà virtuale come realtà cinestetica, un ambiente, cioè, in cui ai vostri movimenti corporei corrispondono movimenti nel mondo virtuale. Grazie a questo espediente è possibile sviluppare la “protopresenza”, a cui segue la nascita della “presenza nucleare” nel momento in cui l’utente inizia ad interagire con gli oggetti presenti nel suo campo visivo virtuale. Queste ultime azioni orientate, però, a raggiungere un obiettivo, rappresentano la fase finale del processo di immersione nella Realtà Virtuale, contribuendo a creare il “Sé esteso”. A questo punto la nostra mente percepirà lo spazio presentato all’interno del visore come se fosse la “vera realtà”, il che spiega il senso di disorientamento provato una volta che si spegne il dispositivo.
Nonostante la sensazione di presenza che è possibile ricreare grazie ai visori, il giocatore riesce comunque a cogliere differenze con la realtà, poiché gli unici sensi coinvolti all’interno della Realtà Virtuale sono l’udito e la vista, il nostro senso dominante. La ricerca nel settore, tuttavia, si sta muovendo proprio in questa direzione, cercando di coinvolgere i sensi mancanti oltre a rendere il più realistici possibile gli stimoli visivi e uditivi già presenti. Tra i nuovi sviluppi del settore, infatti, ricordiamo i Manus VR, guanti che consentono di manipolare oggetti nell’ambiente virtuale come se si fosse davvero al suo interno o prototipi, ancora in fase di sviluppo, che si propongono di ricreare la sensazione tattile.
Questi ultimi strumenti e prototipi stanno rendendo lo scenario di Oasis sempre più realistico e, parallelamente, i Social Media presenti sui nostri smartphone ci permettono già da tempo di costruire identità e profili personalizzabili, in base ai nostri interessi e alle nostre preferenze.
Nonostante ciò, bisogna considerare che il mondo di Oasis perde molta della sua realizzabilità a causa della totale assenza di un moderatore, di leggi e controlli che possano monitorare le dinamiche interne al mondo virtuale e garantire il rispetto della privacy degli utenti.
Non ci resta che attendere per vedere cosa ci aspetta il futuro!
E voi avete visto il film? Che ne pensate?
Riferimenti bibliografici
Riva, G., Mantovani, F., Waterworth, E. L., & Waterworth, J. A. (2015). Intention, action, self and other: An evolutionary model of presence. In Immersed in Media (pp. 73-99). Springer, Cham.
Nakamura, J., & Csikszentmihalyi, M. (2014). The concept of flow. In Flow and the foundations of positive psychology (pp. 239-263). Springer Netherlands.