Cos’è un avatar? Etimologicamente il termine deriva dalla tradizione induista e indica la discesa e incarnazione di una divinità in un corpo, significato non troppo lontano da quello di uso comune dato che nel gergo informatico corrisponde alla rappresentazione virtuale di cui si servono i giocatori per interfacciarsi nei vari giochi e/o comunità virtuali.
Ciò che motiva ognuno di noi a idearlo con caratteristiche specifiche sono una serie di fattori ampiamente illustrati nel libro “Psicologia dei videogiochi” di Triberti e Argenton.
Più precisamente, gli autori riportano un concetto coniato da James Gee: “identità virtuale”, che si frappone tra il giocatore e il suo avatar. E’ una proiezione della personalità del soggetto all’interno di un mondo digitale e fittizio in cui ognuno può esibire ciò che vuole e mostrarsi per come si vorrebbe essere. Permette di sperimentare la sensazione di essere qualcun altro senza il pericolo di degenerare in una dissociazione d’identità patologica.
Vi sono diversi tipi di avatar: alcuni sono rappresentazioni similari di come è realmente l’individuo/giocatore, altri possono essere un suo alter ego che incarna componenti o qualità peculiari che invece si desidererebbe possedere e altri ancora possiedono caratteristiche uniche e originali, potremmo dire anche stravaganti poiché non è necessario che siano conformi alla realtà corrente.
A seconda delle funzioni che svolge, l’avatar può essere relazionale o agentivo.
Il primo ha lo scopo di interagire con gli altri utenti, identificando gli atti comunicativi del giocatore. Potrebbe essere definito un avatar immagine che esprime pensieri ed emozioni, ha una certa autonomia e non è sempre personalizzabile.
Il secondo è tipico dei videogiochi e perlopiù di forma umanoide, viene pilotato dal giocatore tramite una combinazione di tasti che gli conferiscono la capacità di esplorare un mondo alternativo, agire e avanzare in esso come se si fosse davvero lì.
Un’ulteriore suddivisione è tra l’avatar estensionale e l’avatar alter ego.
L’avatar estensionale non possiede attributi ben definiti e predominanti quindi per il giocatore sarà facile attribuirgli i propri stati emotivi e cognitivi e rispecchiarsi completamente o quasi in esso.
L’avatar alter ego invece è caratterizzato da requisiti distinti che impediscono al giocatore di proiettare sé stesso nel personaggio ma lo inducono ad accettarne l’identità, ad agire e condurlo come se fosse uno spettatore esterno.
Il dualismo tra come si è come si vorrebbe essere è stato il focus di molte teorie, oggi mi piacerebbe proporvi il punto di vista di autori con orientamenti differenti ma che condividono l’idea che la formazione del Sé sia dovuta a fattori psico sociali come l’interazione con gli altri individui e la percezione che gli altri si creano di noi.
Precisamente le teorie postulate da Cooley e Goffman.
Cooley è un sociologo tra i più noti teorici dell’interazionismo simbolico, noto per aver ideato il “looking-glass self” (“Io riflesso”), termine che indica che ogni individuo origina la rappresentazione del sè dalle interazioni con gli altri e dagli attributi che gli vengono conferiti, vi è un continuo intervallarsi tra il come si pensa di essere ed il come si pensa di apparire.
Goffman invece ci proietta all’interno di un’opera teatrale sostenendo che ognuno di noi nel rapportarsi agli altri riveste i panni di un attore, indossa una maschera e mette in scena parti di sé. Si mostra in modo differente, enfatizzando solo gli aspetti che ritiene più consoni alle varie situazioni. L’accento è posto sul contrasto tra ribalta e retroscena, la ribalta e il palcoscenico corrispondo al contesto sociale, ma solo nel retroscena, quando si è soli o in intimità con pochi eletti, lontano da sguardi indiscreti, emerge il vero io. Quindi tutto è riconducibile ad un precario equilibrio tra sfera pubblica e sfera privata.
Questo ci fa riflettere su una moltitudine di dinamiche, perlopiù inconsce, che sottendono la scelta di un personaggio. Più precisamente di un avatar nei videogiochi e di un Falso sé nella realtà.