Chi sono i Videogiocatori? Lo decidono le industrie.

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Cosa rende qualcuno un videogiocatore?

Secondo i Game Studies il videogiocatore è colui che usufruisce del medium. Questo status può essere circoscritto al periodo in cui si gioca, quindi parliamo di uno status temporaneo, o può essere più duraturo protraendosi oltre il tempo di gioco e assumendo uno status stabile, che ci appartiene.

Il termine “Gamer” o videogiocatore, è spesso utilizzato per descrivere le persone che giocano ai videogiochi, tuttavia sarebbe sbagliato etichettare come Gamer chiunque giochi ai videogiochi; per fare un analisi corretta è necessario distinguere tra il giocare ai videogiochi e il processo di identificazione con la figura di gamer. Il processo di  identificazione include il fatto che le persone agiscono in vari contesti all’interno dei quali vengono articolate particolari identità, le quali a loro volta si suddividono in particolari categorie identitarie (Shaw, 2011).

Queste categorie quando agite, modificano le relazioni tra le altre categorie, pertanto si può affermare che tutto ciò che facciamo è inerente al sociale, ma che le strutture sociali non determinano le nostre azioni (Latour, 2005). Secondo Shrry Turkle (1999) il cyberspazio, e quindi anche i videogiochi, offrono in chiave moderna ciò che Erikson (1963) definì moratoria psicosociale: nei videogiochi possiamo interpretare personaggi, avere ruoli e comportarci come non avremmo mai possibilità nel mondo reale. Le azioni che compiamo in un gioco non hanno conseguenze concrete pertanto non vengono giudicate con lo stesso peso delle azioni reali.

Ad esempio un uomo, che è padre, figlio e lavoratore, può essere contemporaneamente in diversi giochi anche una donna, un elfo molto intelligente e/o un lupo mannaro ladro quindi ciò ci spinge a riconsiderare l’identità come qualcosa di fluido e molteplice. La personalità e l’identità diventano quindi flessibili, non unitarie: all’interno di una persona tutte le sue parti che assieme formano la sua identità comunicano tra loro e cambiano, influenzandosi reciprocamente (Turkle, 1999).

Il concetto di identità risulta essere particolarmente rilevante all’interno di determinate relazioni sociali, come appunto avviene nel caso dei videogiochi.
Marcatori come il genere, razze/etnie, e sessualità possono delineare come gli individui si rapportano all’identità di gamer.

Facendo riferimento ad una ricerca sull’identificazione delle persone con la figura del gamer condotta da Adrienne Shaw e pubblicata il 16 giugno 2011 si nota come ci sia in particolare una forte correlazione tra il genere e l’identità del gamer.
La maggior parte delle persone intervistate da Adrienne Shaw che si definivano inequivocabilmente videogiocatori erano di sesso maschile.
Le persone di sesso femminile tendono invece ad identificarsi meno come “gamer” ed a sottostimare il tempo che impiegano a giocare ai videogiochi; questa riluttanza è risultata essere in qualche modo correlata al rispetto di regole di genere ed a preconcetti rispetto all’utilizzo di tale medium.
Questo accade perché la società ed i rapporti di potere modellano le differenze di genere nell’utilizzo dei media.

Le ragazze hanno avuto una relazione difficile con i videogiochi, inizialmente perchè vengono emarginate dai titoli espressamente riferiti a uomini e tematiche maschili quali violenza e armi come esemplificano i titoli “God of War“, “Manhunt” o “Stalker” o mirati direttamente da titoli videoludici che presentano packaging rosa come “Rockett? New School“, “Barbie: Horseshow“o” Mary Kate e Ashley: Sweet 16“, che anche se sono confezionati con packaging “rosa” e “carino”, non sono necessariamente “divertenti”.

Questo non sottende che le ragazze non abbiano giocato e non giochino ai giochi digitali, ma la loro relazione definita dal mercato con quei giochi, l’accesso che hanno la tecnologia per giocarli e il tipo di giochi che scelgono di giocare una volta che ottengono l’accesso sono tutti altamente dipendenti dal contesto e non necessariamente supportato da un più grande impegno culturale con questa nuova forma mediatica (Carr, 2007; Cassels e Jenkins, 1998; Taylor, 2006) Le donne e le ragazze erano e continuano ad essere sottorappresentate nei campi tecnologici (Klawe, 2005).

Inoltre, come avrete notato, quando le donne vengono rappresentate in ambito video-ludico sia all’interno della community vengono ipersessualizzate o ampiamente stereotipate. (d’altronde chi non sopravviverebbe ad una battaglia indossando solo un bikini di cotta di maglia?)

 

Sebbene molti ricercatori abbiano esplorato le consistenti differenze di genere nelle preferenze dei videogiochi e nei modelli di gioco, fino ad oggi, l’origine di tali differenze rimangono inspiegate (Funk & Buchman, 1996b).
Nell’articolo di Kristen Lucas e Jhon L. Sherry (2004) viene offerta una spiegazione a tali differenze.

Piuttosto che vedere l’esperienza di gioco come un’esperienza cognitiva individuale, gli autori sostengono che le differenze di genere evidenziate nell’ambito video-ludico possano essere spiegate meglio esaminando l’esperienza di gioco come fenomeno comunicativo multilivello.
Attingono alle teorie della comunicazione di massa e interpersonali per spiegare le differenze di genere e come questi processi interagiscano per rafforzare il videogioco come attività facente parte del dominio maschile.

La predominanza degli aspetti maschili nei videogiochi sarebbero quindi una questione di comunicazione.

Grodal nel 2000 ha spiegato come i videogiochi siano stati costruiti per capitalizzare sugli istinti venatori maschili (ad es. rotazione mentale, navigazione del percorso, guida o intercettazione del proiettile), facendo appello all’ancestrale natura di cacciatore dell’uomo, tralasciando quasi totalmente le naturali abilità cognitive proprie delle donne (ad esempio la memoria per i punti di riferimento, la distribuzione spaziale e la velocità percettiva) che, se integrate in un videogame, porterebbero le videogiocatrici a vivere una migliore esperienza di gioco, aumentando così sia il numero di videogiocatrici che la quantità di ore giocate dalle stesse.

Allo stesso tempo le videogiocatrici, potrebbero anche beneficiare dell’aumento delle loro abilità di rotazione mentale, la loro abilità di navigazione e la loro sicurezza nella gestione di un mondo virtuale complesso e competitivo, non proprio così completamente diverso da quello in cui entreranno per imbarcarsi nella loro carriere lavorative.

L’archetipo del videogiocatore è quindi una costruzione industriale che modella come le persone si approcciano ai media; perciò non è sbagliato affermare che la scarsa rappresentazione delle minoranze è da attribuirsi al fatto che il mercato dei videogiochi è costruito principalmente come giovane, eterosessuale, bianco e maschile. (Shaw, 2011)

Non sò voi, ma io sono convinta che questa visione del videogiocatore sia oltremodo limitante per chiunque voglia approcciarsi al mondo dei videogiochi. Non è giunta l’ora di dire basta?

 

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