Da spettatori ad attori, le potenzialità emozionali del (video)gioco

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Quando paragoniamo i videogiochi ad altri media ormai affermati, come il cinema e la letteratura, i primi vengono considerati inferiori rispetto all’esperienza che possono veicolare.  Il giocatore viene visto dall’esterno come “spento”, anestetizzato e immerso in attività ripetitive intervallate da brevi ed intense stimolazioni che gli arrivano dallo schermo. Eppure chi gioca sa quanto si possano vivere esperienze sorprendentemente ricche: citando il creatore di “The Sims” Will Wright i videgiochi  hanno una “tavolozza emozionale” diversa ma non per questo meno vasta rispetto a forme espressive più tradizionali. Possiamo gioire o essere tristi davanti a un film, ma difficilmente ci sentiamo orgogliosi o in colpa.

DESIGN EMOZIONALE

Alla base di questa possibilità, esplorate da Katherine Isbister nei suoi studi sul “design emozionale” delle tecnologie,  c’è proprio la differenza cruciale rispetto agli altri media, ovvero la possibilità di scelta. Un buon gioco, dice il creatore di “Civilizations” Sid Meyer, è una serie di scelte interessanti, che lo sono quando hanno conseguenze. La possibilità di determinare le proprie azioni lo rende un ottimo supporto per vivere quelle che sono definite “esperienze di flusso“: uno stato in cui la chiarezza degli obiettivi e i feedback immediati in una attività intrinsecamente ricompensante ci portano ad essere totalmente coinvolti in essa. Questo stato è però raggiungibile solo se si mantiene un equilibrio fra le abilità del giocatore e le sfide che gli vengono poste, altrimenti si scivola nella frustrazione o nella noia.

Parlare quindi di “divertimento” rischia di essere quindi limitante se applicato al gioco (anche “analogico” e non solo “digitale”). E’piuttosto un’esperienza complessa dove si ricerca ben più della semplice distrazione. Non solo proviamo gioia, ma siamo anche orgogliosi dei nostri successi, e soddisfatti dal senso di controllo e padroneggiamento che le simulazioni ci danno. Non solo ci arrabbiamo quando non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi, ma lo sentiamo come un fallimento. Un’ottima palestra insomma per esplorare vissuti che hanno una grossa influenza poi sulle nostre azioni nel mondo reale.

SCELTE E CONSEGUENZE

Le scelte e le loro conseguenze non riguardano solo il mondo di gioco, ma anche gli “altri” in esso rappresentati. Anche senza altri giocatori umani spesso infatti non siamo soli: le interazioni con i personaggi possono portare a legami emotivi, di cui avevamo parlato in termini di relazioni parasociali.

A volte però basta molto poco per sentirci fortemente responsabili, fino al senso di colpa, per gli effetti delle nostre azioni sugli altri personaggi. Nel gioco sperimentale “Hush” interpretiamo una madre ruandese che culla il suo bambino durante il tragico genocidio del 1994. Il pianto del bambino ci stimola naturalmente a consolarlo, ma qualora non ci riuscissimo rischiamo di essere scoperti e uccisi dai soldati che stanno saccheggiando il nostro villaggio.

 

In questo caso i feedback e le stimolazioni sociali, ci motivano a un compito che si rivela ben presto tutto fuorchè “divertente”. Non assistiamo ad una rappresentazione di una situazione drammatica. Ci ritroviamo in prima persona coinvolti in un’esperienza emotivamente intensa, che dipende direttamente dalle nostre azioni.

Ed è qualcosa che solo il gioco può dare.

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