“Il miglior testo di sociologia mai scritto”
Così la buonanima di Bauman descriveva Le città invisibili, di Italo Calvino, opera che al di là del suo valore narrativo, riesce a mettere in relazione la società da un lato, e la letteratura ed i media dall’altro.
Lo spazio è una delle riflessioni salienti dell’autore che, negli anni ’60, si è trovato a vivere negli Stati Uniti e valutare l’impatto che i nuovi media – cinema e tv – hanno avuto sulla popolazione: La ridisegnazione degli spazi sociali. Il tempo libero veniva impegnato in una fruizione passiva teneva lontane le famiglie dagli spazi pubblici.
Mentre città invisibili come Cloe, Cecilia, Pentesilea, Trude e Leonia (su quest’ultima si è concentrato in particolare Bauman in Amore liquido e Consumo, dunque son) costituiscono delle vere e proprie visioni apocalittiche idealtipiche delle trasformazioni in atto nelle città contemporanee, che diventano sempre di più spazi continui, omologati, ricorsivi, e pertanto invisibili ed invivibili per gli individui, condannati a quell’isolamento nella folla già descritto da Friedrich Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra del 1845, vediamo come anche noi abbiamo assorbito questa struttura culturale riproponendola nelle simulazioni.
Giochi come Sim City e Factorio ci pongono di fronte a delle scelte cruciali, queste scelte sono dettate dalla nostra scala di valori e dalla nostra interpretazione geometrica degli spazi e le loro priorità salvo forzature di gameplay.
Ci ritroveremo quindi a dover disegnare sulla terra delle strutture che saranno vive, interagiranno con il territorio ed apporteranno delle modifiche. Questi cambiamenti sono spesso negativi. In Sim City è facile arrivare al punto di dover costruire discariche o centrali nucleari nei pressi dei centri abitati, o di dover fare dei tagli ad alcuni settori della città. In Factorio ci troviamo su di un pianeta alieno con degli esseri ostili, ma comunque ci muoveremo per dilapidare le risorse presenti prestando attenzione a non esagerare con l’inquinamento, in particolare questa scelta è dovuta al fatto che le bestie autoctone cominceranno a darci la caccia, proprio in risposta all’invivibilità del loro habitat naturale.

Questa leggerezza – probabilmente inconsapevole – nel tenere in considerazione l’ambiente nelle architetture di gioco è probabilmente dovuta all’estraneazione latente che abbiamo dallo stesso.
Vediamo di andare per ordine:
Vediamo di andare per ordine:
Ambiente ed Habitat sono delle parole per alcuni aspetti assimilabili, come spiegava l’antropologo Levi Strauss, Ambiente, Habitat, Abito, Abitudine sono collegati tutti da una struttura culturale, in pratica, un complesso significante che ha generato vari significati, diversi ma con un’origine comune. Come l’abito, anche l’ambiente viene costruito addosso all’essere umano per sua comodità, e così le abitudini si insinuano a supporto di un quadro fatto su misura per costruire una zona di maggior comfort possibile. Questo “quadro” è quanto di più distante dalla natura in sé, dato che il mondo non civilizzato è quasi sempre apparso se non ostile quantomeno difficilmente domabile – basta vedere le antropomorfizzazioni della natura tipo Pan o gli spiriti – Diventa quindi naturale per la coscienza dell’individuo sentire il mondo naturale come qualcosa di lontano e distante. Certo, specialmente nella nostra epoca si è sensibili ai temi dell’ecologia, ma di base c’è sempre il nostro interesse e non l’amore per il mondo in sé. Accade anche nei giochi, tendiamo a preservare l’ambiente nella misura in cui esso può garantirci le risorse che ci servono per lo sviluppo del nostro gioco, non esitando a fare danni altrimenti.
Ricordo una partita online ad Age Of Empires, il mio avversario si era asserragliato in una sorta di insenatura costituita da alberi, difendendo la parte scoperta con mura e torrette. Io, grazie all’eroico sacrificio di Smithson (nome che avevo dato all’unità-kamikaze per esplorare l’accampamento nemico), sono riuscito ad individuare una zona in cui la foresta si assottigliava. Ho preso uomini, armi, seghe (da falegname), ed ho disboscato un grosso corridoio per far avvicinare le armi da assedio.
Ho disboscato mezza foresta per assaltare il mio avversario di sorpresa, distruggendo il grosso degli edifici con i trabucchi (e potendoli difendere agilmente grazie allo stretto stile Sparta che ho creato) per poi togliere gli alberi rimasti e dare libero sfogo alla cavalleria.
Distruggere l’area ed insieme il nemico mi ha creato un’immensa soddisfazione, ora è normale che non gioirò mai per una cosa del genere nel mondo reale, perché questa cosa è presente in me nella misura che è attribuibile ad un videogioco. Ma proprio perché questo è un fenomeno umano, e quindi oggettivo-soggettivo, le misure non sono mai uguali.