Negli anni ‘90, il numero di videogiochi e console in vendita si potevano contare sulla punta delle dita: ogni nuovo titolo inedito era sempre più innovativo e subito sold-out, le sale giochi erano affollate e magari quel gioco di cui tanto si parlava era sempre occupato.
Una svolta sicuramente è avvenuta nel 1983: la SEGA ha lanciato SubRoc-3D, il primo videogioco con una grafica quasi “reale” rispetto alla bidimensionalità dei precedenti giochi, ma fu stroncato dalle critiche, precipitando nel dimenticatoio. La grafica 3D ha ricevuto i sui meriti solo 10 anni dopo con le nuove console (come non citare la mitica Playstation) e da diversi anni si è giunti alla frontiera della realtà virtuale (VR), dove sono stati introdotti nuove caratteristiche sorprendenti e di grande impatto tra il pubblico di gamers, (abilità di gestione della visuale, dinamicità del giocatore, fluidità dei movimenti, assimilazioni e somiglianza tra la realtà e il videogame).
Oggi scegliere un videogioco fra tanti, è quasi naturale e senza pensarci troppo si corre alla cassa, eppure siamo consapevoli del motivo per il quale abbiamo acquistato proprio quel nuovo videogioco?
R. Terlutter, in una collaborazione tra Austra e Italia, con J.Roetti, hanno pubblicato una breve rassegna su quali fattori psicologici e non, possono influenzare la scelta di acquistare un videogioco di una certa azienda, senza nessuna incertezza ( e forse neanche senza più un soldo).
• Livello di adrenalina ed eccitazione, quest’ultima può essere definita anche con il termine “arousal”: uno stato di vigilanza più elevata che produce, il più delle volte, un incremento di concentrazione a livello cognitivo, emotivo e motorio. I giocatori sperimentano questa esperienza già al momento dell’acquisto (avere l’oggetto fra le dita, la grafica della copertina, il background descritto ecc..). Ma attenzione: un elevato livello arousal può provocare uno stato provvisorio o prolungato di “distress“ che devia dal focus ludico, mentre un arousal a bassi livelli può causare nel giocatore noia e poca voglia di continuare a giocare. Le più recenti rassegne di ricerca evidenziano come l’eccitazione è più alta nel videogioco VR , a seguire il 3D e il 2D;
• Valutazione, aspettative ed atteggiamenti sul videogioco, un insieme di sentimenti e convinzioni, nonché intenzioni comportamentali, interdipendenti ovvero che si influenzano a vicenda. Le aziende e produttori di giochi, impiegano molti mezzi di comunicazione (trailer, pubblicità, recensioni, tester..) per un maggior numero di vendite e quindi di un maggior riconoscimento positivo da parte dei compratori. Gli autori concordano sul fatto che i giochi VR e 3D siano i più apprezzati ma che spesso hanno controindicazioni in caso di uso eccessivamente prolungato (vertigini, mal di testa);
• Percezione di qualità della casa di produzione. Un videogioco può avere molte buone caratteristiche, ma un ruolo fondamentale spetta al marchio di produzione, la sua notorietà e qualità determinata dal pubblico. Spesso lo stesso logo è associato alla tipologia di tecnologia di successo della casa di gaming (per esempio il logo della Nintendo è invariato con una grafica 2D, rispecchiando la grafica dei suoi titoli più famosi al mondo come SuperMario, Legend of Zenda, Donkey Kong..). È inevitabile scegliere un nuovo videogioco di una certa marca, perché magari la stessa azienda ha già pubblicato giochi di cui “tutti ne parlano bene”. Grazie a questo fenomeno i videogiochi di tutte le tecnologie mantengono un buon mercato tra gli appassionati e non solo, spopola “Vintage” e “Old but Gold”. Per quanto la prospettiva psicologica, gli autori pensano che la scelta di un logo in 3D o da vedere in VR possa suscitare un livello di eccitabilità maggiore e quindi un numero di vendite superiore allo stile 2D.
A tal proposito, J.Roetti e R. Terlutteri, hanno lanciato una sfida: “quanto la tecnologia 2D, 3D e VR può influenzare l’opinione di un videogioco? E quale sarà il migliore?”
I ricercatori, in collaborazione con dei programmatori, hanno ideato dei videogame ad hoc su varie piattaforme, facendoli giocare ad un piccolo numero di gamers di livello principiante ed intermedio. Dopo il tempo di gioco, sono stati analizzate le stesse caratteristiche di cui abbiamo parlato prima, ottenendo così alcune importanti informazioni:
- Il livello di eccitazione che i giocatori hanno riferito di aver provato durante il gioco era simile tra le tre tecnologie. Questa è una scoperta interessante. Infatti anche se la sensazione di “essere nel gioco” è più alta nei videogiochi VR e 3D, il livello di eccitazione dei giocatori è indipendentemente dalla tecnologia;
- Nemmeno la valutazione nei confronti del gioco, ha prodotto differenze tra la tecnologia 2D, 3D e VR. Stranamente i gamers tendevano a dare un punteggio più alto ai titoli in 2D.
Oggi , giocare in 3D o VR è un’esperienza emotivamente “coinvolgente”, eppure non dimostra che un miglioramento della tecnologia porta necessariamente ad una migliore valutazione del gioco. La percezione degli ambienti in 3D con il suo uso prolungato, possono provocare un maggiore carico cognitivo, con aspetti negativi come vertigini e affaticamento degli occhi che probabilmente pregiudicano la valutazione del videogioco. I soggetti che hanno giocato con tecnologia VR, hanno riportato livelli più alti di vertigini e mal d’auto durante l’esecuzione.
Pertanto sia J.Roetti che R. Terlutter concludono questa ricerca, ma è ancora aperta la sfida su cosa deve avere il videogioco perfetto, un mix emozioni, tecnologia e qualità.