Il videogioco ci rende automi?

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Fra tutte le forme d’arte che l’uomo realizza, il videogioco è certamente quella che permette un maggior grado di immersione e di interazione. Se questo, da un lato, è uno dei motivi che ne permette il successo fin dalle più tenere età, dall’altro espone noi videogiocatori ad una serie di rischi che riguardano soprattutto l’approccio che abbiamo nei confronti del medium. In questo articolo voglio parlare del problema legato all’esecuzione di pattern (comportamenti schematici predefiniti), involontari e automatici, da parte del giocatore quando si trova ad affrontare due particolari tipologie di videogioco: i cosiddetti “soulslike” e il gioco online. 

Schivata, destra, sinistra, affondo, affondo. 

Come detto in apertura, i videogiochi ci immergono in un mondo di cui ci sentiamo parte (quelli realizzati bene) e nel quale dimentichiamo il controller, cioè il tramite, il mezzo, con cui eseguiamo qualunque azione. Con l’abitudine e l’allenamento della coordinazione mente-mano l’input del nostro cervello diventa semplicemente “corro” e non “premo L3 per correre”: lo strumento c’è sempre ma noi non lo percepiamoLa percezione dell’assenza di strumenti genera una bellissima sensazione che, da questo punto di vista, rende il videogioco insuperato fra le arti. Tuttavia, in alcuni contesti, a causa di un game design dei combattimenti schematico e ripetitivo, il giocatore è costretto ad imparare a memoria le sequenze di attacco del nemico e reagire con la relativa contromossa o azione in modo altrettanto schematico e ripetitivo. 

  

Il caso dei soulslike è emblematico. Molte volte ci siamo trovati di fronte a boss di cui dovevamo comprendere il pattern ed eseguire le specifiche azioni opposte, pena la morte inevitabile. In questi casi, a mio modo di vedere, anche se ciò che ci troviamo di fronte è un’intelligenza artificiale programmata per eseguire quella serie di specifici compiti, noi al contrario siamo esseri umani che si tramutano in automi per opporre una relativa sequenza comportamentale che nulla ha a che vedere con il senso d’immersione e di esecuzione del videogioco che ho espresso poco sopra. Conosco i soulslike e sono conscio che questo è un esempio estremo ma lo ritengo valido per comprendere un effetto che troppe volte riscontro su me stesso e su altri giocatori che ho occasione di osservare. Dove si trova la dimensione ludica se ciò che si compie è un’attività robotica e automatica? Dov’è andata l’immersione se oppongo ad un codice binario un codice di comportamenti altrettanto semplice e discreto? 

La competizione oltre il divertimento 

Il caso del gioco online è simile seppur diverso per certi aspetti. Quando si affronta uno o più avversari umani, il senso di sfida e di competizione aumenta a dismisura. Non c’è niente di più appagante del trionfare contro una persona vera piuttosto che contro un’intelligenza artificiale impersonale e programmata. In molti casi la volontà di vittoria e l’orgoglio per la sfida sono talmente alti che ci si dimentica del fatto che si sta continuando effettivamente a giocare e si inizia a cercare di “rompere” il gioco, spesse volte riuscendoci, oppure, si inizia ad eseguire la sequenza comportamentale nota, sicuramente vincente. Per fare degli esempi chiarificatori: in un gioco di guerra il salto è una componente accessoria, inverosimile, presente solo per permettere alcune azioni come salire su un’altura o superare un ostacolo. Durante il gioco online non è raro trovare giocatori che basano tutte le loro azioni su un continuo saltare e sparare che non è per nulla sensato eppure è efficace. La ripetizione di questa tipologia di azione configura un atteggiamento automatico che sì porta alla vittoria ma distrugge qualsiasi verosimiglianza e immedesimazione. In questo senso Fortnite pare esser stato pensato proprio per inserire e premiare queste meccaniche. Allo stesso modo, conoscere che una sequenza particolare di attacchi in un picchiaduro o una sequenza di tasti ed azioni in un gioco di calcio permette la vittoria e poi riprodurre quell’azione in modo insistente è un elemento che dimostra quanto l’essere umano è capace di rendersi impersonale e non divertirsi se la posta in palio è la vittoria di una competizione. Sono sicuro, non ci si diverte ad eseguire cento volte la stessa azione, però si vince. 

In Tekken i giocatori online più “forti” utilizzano un’unica sequenza di tasti o lo stesso attacco per vincere le battaglie.

 

 L’azione umana procedurale  

Senza aprire questa trattazione ad uno sguardo sociale che richiederebbe ampi spazi ma rischierebbe di farci deragliare dalla direzione iniziale intrapresa, vale la pena osservare che, essendo la mente elastica, il videogioco è un eccezionale mezzo per lo sviluppo di capacità motorie e intellettuali anche in età avanzate. Coordinazione, problem solving, comprensione degli spazi geometrici, delle distanze e delle differenze, sono tutte abilità che si possono sviluppare ed incrementare giocando al videogioco. Dall’altro lato questo ci espone ad una riprogrammazione dei nostri approcci, non solo legati ad aspetti ludici ma anche nella vita di tutti i giorni. L’abitudine ad eseguire un pattern ci rende sicuramente più efficaci, ma meno umani. L’uomo crea, interpreta e sceglie un’azione in ogni situazione basandosi sull’esperienza e sull’analisi del momento. Non utilizza una procedura prestabilita, salvo rari casi e in determinati ambiti lavorativi. Dal punto di vista specifico del videogioco preferisco un gameplay che mi permetta, grazie al senso di immersione, di interpretare un contesto e trovarmi a mio agio nell’eseguire l’azione che trovo più adeguata al caso, anche sbagliando, che un sistema di gioco punitivo che prevede, come unica risoluzione, l’esecuzione della giusta sequenza di mosse. Non è da sottovalutare la deriva che sta prendendo il gioco online né l’apprezzamento che viene riservato ad un genere videoludico, quello dei soulslike, che denota quanto a proprio agio si trovi l’essere umano del XXI secolo nell’atto di procedere in maniera robotica e automatica. In finale, nonostante i tentativi di produrre intelligenze artificiali neurali, sempre più vicine alla mente umana, da sfruttare anche nei videogiochi, forse il risultato non sarà che le macchine saranno più simili all’uomo ma noi esseri umani molto più vicini a loro. 

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