Il capolavoro di Naughty Dog ha commosso tutti noi, ma per comprenderlo appieno bisogna addentrarsi nella psicologia del suo protagonista, oltre che in una game analysis.
Alcuni videogiochi hanno il potere di segnare un’intera generazione di console. È il caso di quei videogame che scavano un posto speciale nel cuore dei giocatori e che lo occupano per tutta la vita. Quelli che, in un determinato periodo storico, riescono ad affascinare per il loro superiore valore artistico, narrativo e di gameplay si aggiudicano tale primato, venendo poi riposti sullo scaffale dei capolavori indimenticabili, quelli che ignorano il passare degli anni, sempre pronti ad essere rigiocati con gusto. Uno di questi è sicuramente The Last Of Us, creazione di Naughty Dog che ha fatto la sua comparsa su Playstation 3, ed è anche stato in grado di diventare una “hit” su Playstation 4 grazie alla versione Remastered. Sono tantissimi gli appassionati che, in questo momento, aspettano con frenesia il secondo capitolo della serie. The Last Of Us è stato un successo di pubblico e critica: l’ambientazione, esaltata da una grafica stratosferica, e il divertimento per un gameplay brillante si intrecciano ad una storia splendida, esaltata da una recitazione degna di Hollywood, resa ottimamente nella versione italiana grazie ad un doppiaggio da Oscar.
Giocare a questo videogame non è soltanto un’esperienza ludica, ma anche e soprattutto emotiva. Ci ritroviamo, immediatamente, a riflettere e a ridefinire alcuni pensieri, a guardarci dentro. La psicologia presente in questo gioco ci arriva dritta al cuore: una volta conclusa l’avventura principale, ci resta una sensazione strana, che coincide con la consapevolezza che nel profondo di noi si è mosso qualcosa d’importante, anche se non riusciamo a identificarlo con precisione. Lo scopo che noi di Horizon ci proponiamo con questo articolo è il tentativo di fare luce sulla psicologia presente in The Last Of Us e di capire quali corde essa tocchi dentro di noi. Per tale scopo, tuttavia, avremo bisogno di andare ben oltre la solita game analysis: dobbiamo addentrarci nella mente del protagonista principale, Joel, perché solo capendo lui potremo comprendere cosa succede in noi.
Tenetevi forte, perché oggi Joel si accomoderà sul lettino di Horizon.
Per sviluppare una comprensione di Joel come se fosse il cliente di uno psicologo dobbiamo, innanzitutto, presentare gli eventi di The Last Of US così come appaiono al giocatore, in ordine cronologico: dal passato di Joel, fino all’epilogo dell’avventura. Tale scelta è dettata dal fatto che tutti i significati emotivi di questo gioco sono comprensibili solo se analizzati volta per volta, perché non si può capire il finale se non si conosce il percorso che ci ha condotti fino a lì, così come non possiamo comprendere una persona senza conoscerne il passato e le sue ambizioni sul futuro. In altri termini, non possiamo dire di conoscere veramente Joel se non facciamo i conti con la sua dolorosa storia, che ne ha forgiato il carattere e la personalità.
Se non avete ancora giocato a The Last Of Us, vi consigliamo di farlo prima di proseguire nella lettura, perché troverete degli SPOILER.
Il passato di Joel e l’inizio del gioco
All’inizio del gioco, nel 2013, vediamo Joel intento a scartare il regalo che sua figlia Sarah, poco più che adolescente, ha confezionato per lui: un orologio da polso. Dopo essersi addormentata profondamente sul divano, sarà proprio suo padre ad accompagnarla a letto tra le sue braccia. Poche ore dopo, Sarah si sveglierà e diventerà il primo personaggio giocabile della serie. Esplorando la casa noterà qualcosa di insolito, dai notiziari in tv, al cane che abbaia in continuazione, finché non vedrà il vicino di casa, fuori di sé, tentare di aggredire il padre, che si difenderà uccidendolo. È l’inizio dell’infezione di massa. I due cominciano dunque una fuga dalla città insieme al fratello di Joel, corsa che culminerà con l’arrivo dei militari, a cui viene impartito l’ordine di uccidere in via preventiva ogni superstite. Joel, disperato, non riuscirà a salvare sua figlia in tempo dal colpo di fucile sparato da un militare.
Sono passati 20 anni da quel tragico giorno. Possiamo osservare un mondo post-apocalittico segnato dalla diffusione del fungo parassitario Cordyceps, che ha infettato la maggior parte della popolazione, trasformandola in violenti mutanti. I militari costringono i superstiti a vivere in zone di quarantena, sotto legge marziale, facendo la fila per ottenere la loro razione di cibo. Fuori dalle mura cittadine, oltre a qualche sopravvissuto, si aggirano creature mostruose e banditi spietati.

Sarah regala a Joel l’orologio che porterà sempre con sé
Osservando tale scenario, non si può che pensare in termini nichilisti e abbandonare ogni ricerca di senso: il mondo così come lo conoscevamo non c’è più, il presente è irrimediabilmente compromesso e non possiamo più farci nulla. Questo è il quadro che si presenta dopo i primi minuti di gioco, e che caratterizzerà la sfumatura emotiva di tutta l’avventura: tale background potrebbe risvegliare nel giocatore dei sentimenti d’impronta depressiva, caratterizzati dalla nostalgia per un mondo sicuro ormai perduto, che ha lasciato spazio ad uno in cui l’unico ideale rimasto è la sopravvivenza. Questi eventi hanno spinto Joel ad intraprendere la via del contrabbando: è un personaggio controverso, cinico, un uomo spietato in un mondo di uomini spietati, che lotta per restare vivo ed è disposto a commettere ogni crimine per farlo. Non c’è spazio per idealizzare e desiderare un futuro. Le emozioni suscitate da questo scenario si intrecciano con il suo vissuto: tutto ciò che amava non c’è più, resta soltanto un presente compromesso che non tornerà mai più come prima. Si potrebbe affermare che tale ambientazione post-apocalittica non sia altro che il rispecchiamento di quanto avvenuto dentro di Joel: il mondo è una tabula rasa su cui non può più crescere niente.
Il rapporto con Ellie e il fantasma della figlia scomparsa
Questo incipit determina l’impronta emozionale che il giocatore attribuirà al resto della storia. Va notato come questa ambientazione, in fin dei conti, costituisca più che altro lo sfondo di un’avventura molto più profonda di quello che si potrebbe pensare. Dopo qualche ora di gioco, infatti, lo sviluppo della trama si delinea meglio: Joel è chiamato ad aiutare un gruppo di ribelli che gli chiedono di scortare una ragazzina presso un accampamento situato all’esterno della zona di quarantena. Essendo loro assediati dai militari, non riuscirebbero nell’impresa. Joel, refrattario, accetta solo in virtù del suo tornaconto personale. Si scoprirà, poco dopo, che questa ragazzina di 14 anni, Ellie, è l’unica persona ad essere sopravvissuta al morso di un infetto, e attraverso di lei si potrebbe trovare finalmente un vaccino per liberare l’umanità. L’accampamento in cui doveva essere inizialmente scortata è stato scovato dai militari, non c’è più nessun ribelle sul posto che possa aiutarla, e i due, d’un tratto, si ritroveranno a viaggiare l’intera America Settentrionale per trovare l’ultimo presidio dove poter trovare una cura per l’umanità. Il vero viaggio, tuttavia, sarà dentro di loro
Il doversi prendere cura di Ellie, ragazza della stessa età di sua figlia, fa riemergere il rapporto che Joel intrattiene con le emozioni provate successivamente alla perdita di Sarah. Scopriremo come la sua refrattarietà nei confronti di Ellie, la sua urgenza di affidarla ai ribelli, non sia altro che il riflesso di un lutto che non è mai riuscito ad elaborare: Joel scappa dal ricordo di Sara, nega i sentimenti di perdita che prova, cerca di tenerli il più lontano possibile. Joel cerca di tenere il pensiero della figlia defunta il più lontano possibile, vuole fare in modo che non si presenti più. Questo aspetto di lui emerge chiaramente in varie occasioni: quando Ellie gli chiede dell’orologio rotto che lui porta al polso (il regalo di Sarah, segno che non ha mai dimenticato la figlia), non risponde, cambiando argomento; spesso, inoltre, si mostra indisposto a parlare dei compagni di viaggio caduti, sgridando talvolta Ellie per essersi soffermata troppo nel loro ricordo; infine, l’aspetto più chiaro che condensa il rapporto di Joel con il fantasma della morte di Sarah si può rivedere nella scena in cui suo fratello, dopo averlo finalmente raggiunto, gli porge una vecchia fotografia in cui compare insieme alla figlia, abbracciati e sorridenti: con irritazione, Joel porge la foto al fratello, rifiutandola. Emerge chiaramente il tentativo di negare l’esperienza emotiva collegata al lutto, che risulterà ancora più chiara nelle battute di gioco successive, in cui rifiuterà di assumere su di sé non solo qualunque responsabilità “paterna” nei confronti di Ellie, ma anche i sentimenti d’affetto che l’hanno unito a lei. Joel, infatti, cercherà di convincere il fratello a prendersi cura della ragazzina al posto suo, ma non riuscirà nello stesso intento con lei: infatti, essendo Ellie molto perspicace, intuisce i suoi sentimenti verso la figlia scomparsa, e gli rinfaccerà, in un momento di rabbia, tutta la verità, ovvero che non vuole prendersi cura di lei perché teme che succeda nuovamente quanto accaduto con Sarah. La risposta di Joel sarà laconica:
«Hai ragione… Tu non sei mia figlia, e io non sono tuo padre».
Amare qualcuno significa poterlo perdere, ed è un rischio che Joel non vuole più correre.
Verso l’elaborazione del lutto
Se dovessimo restituire una diagnosi a Joel, falliremmo nel cercare una categoria diagnostica rigida. Infatti, abbiamo a che fare con emozioni di tipo depressive, prive, tuttavia, di sviluppi patologici: la “depressione” di Joel, infatti, non sembra la “classica” depressione da contesto psichiatrico, quanto, piuttosto, una depressione di stampo esistenzialista: in altre parole, non sembra trattarsi di un disturbo depressivo perché non sono presenti i sintomi tipici per poterlo diagnosticare, come ad esempio un umore prevalentemente triste, anedonia, isolamento, perdita di motivazione nell’affrontare le attività della vita quotidiana, ecc. Joel è arrivato fino a questo punto per la sua tenacia, non si è mai lasciato andare. Si potrebbe, invece, associare la parola “depressione” a Joel per quanto riguarda le emozioni che non è mai riuscito ad elaborare circa la figlia perduta, tenendole, invece, il più lontano possibile, confinandole per non farle uscire.
Non è un caso che la relazione che Joel intratterrà con Ellie durante l’avventura segua di pari passo lo sviluppo del legame che lui stesso intrattiene con il fantasma della perdita della figlia; tuttavia, è vero anche il contrario. Joel, poco alla volta, riuscirà ad elaborare il lutto che lo attanaglia grazie al rapporto intrattenuto con Ellie, che porterà delle trasformazioni dentro di lui. Non passerà troppo tempo, infatti, prima che Joel si rimangi le parole pronunciate a lei, e deciderà di assumersi la responsabilità del resto del viaggio, liberando il fratello da questa richiesta. Joel accetterà la sua nuova responsabilità “genitoriale”, grazie alla quale accompagnerà Ellie attraverso il passare delle stagioni, finché, arrivati in primavera, con lo sbocciare dei fiori, riuscirà a riprendere contatto con quella parte di sé che troppo a lungo aveva tenuto lontano: quando gli verrà posta nuovamente, questa volta da Ellie, la fotografia che lo ritrae con la figlia (rubata di nascosto al fratello), non la rifiuterà, ma la accetterà e la porterà con sé, sintetizzando, con un commento, i cambiamenti avvenuti dentro di lui in seguito a questo percorso fatto insieme:
«Beh, ormai una cosa l’ho capita: dal passato non si scappa. Grazie».
Significativa è la scena in cui Joel ed Ellie avvistano delle giraffe, in pieno giorno, e le accarezzano; una scena, questa, che sembra rappresentare metaforicamente la riuscita presa di contatto, da parte di entrambi, con le loro emozioni: così come le giraffe riescono a mangiare le foglie degli alberi grazie al loro collo, che le eleva da terra, parimenti Joel ed Ellie riescono a toccare le proprie emozioni grazie all’aver sviluppato, in se stessi, un “qualcosa in più” che permette loro di superare ostacoli emotivi un tempo troppo elevati. Da specializzando in psicoterapia adleriana, mi sentirei di affermare che siamo davanti ad una compensazione creativa. Da un lato, Joel si è riappacificato con il suo passato, dall’altro, Ellie, che ormai ha assistito a brutalità insostenibili per una ragazzina, sembra riuscire a cogliere la parte buona che questo mondo porta con sé. In un mondo devastato c’è ancora spazio per qualcosa di buono, così come nel proprio mondo interno, dopo un trauma, c’è ancora spazio per desiderare. Joel è finalmente tornato in grado di amare, poiché è riuscito ad accettare il suo ruolo paterno verso Ellie e ad accogliere il suo passato doloroso. Amare significa rischiare di perdere la persona amata, e per poterlo fare è necessario lasciar andare chi non c’è più, ma solo dopo aver preso contatto con le emozioni che questo comporta.

Una delle scene più enigmatiche di tutto il gioco.
Un finale scioccante
Il viaggio al centro della trama di The Last Of Us ha come protagonista l’amore paterno. Tuttavia, il lieto fine sarebbe banale, ed è così che Noughty Dog ci sconvolge: giunti nella base dei ribelli, scopriamo che per trovare un vaccino è necessario togliere la vita ad Ellie. Vivere significa contribuire al bene della propria comunità, e in questo caso Joel si ritrova davanti al dilemma di Abramo: sacrificare il figlio/la figlia per un bene più grande. Anche se questo sacrificio comporterebbe un bene per l’umanità, Joel non è in grado di sopportarne le conseguenze: cosa comporterebbe questa nuova perdita dentro di lui? Questo è il grandissimo interrogativo emotivo con cui completeremo le ultime battute di gioco. Le possibili risposte a questa domanda sono troppo strazianti anche per noi, così non possiamo fare altro che seguire l’istinto protettivo di Joel nel fare di tutto per strappare Ellie, priva di coscienza, dalle grinfie dei ribelli, in un epilogo dai connotati emotivi contrastanti.
Nel gran finale, i due sono di ritorno all’accampamento del fratello di Joel, sani e salvi. Il personaggio giocabile, questa volta, è Ellie, ed è impossibile non cogliere un’analogia con l’inizio del gioco, in cui controllavamo Sarah. Joel le racconta, mentendo, che non sono stati in grado di trovare una cura, che il suo caso non era l’unico e che ogni tentativo di trovare un vaccino non aveva mai dato speranze. Seguendo Joel, Ellie gli chiederà conferma su quanto raccontatole: lui, mentendo, giurerà il falso. Il gioco si chiude con questo grande dubbio: Ellie avrebbe preferito sacrificarsi per trovare una cura? Stando alle sue parole, molto probabilmente sì, ed è questo lo shock provocato dal finale del gioco: quello di Joel non è stato un atto d’amore, ma di egoismo. Un finale così ambivalente, ma allo stesso tempo ricco di sensibilità, non può che lasciarci grande attesa per il seguito. Quali saranno le conseguenze dell’atto tragico di Joel nella sua relazione con Ellie?