Due mesi sono passati e con la pubblicazione dell’immagine che recita “io gioco ai videogiochi e lasciatemi giocare in pace” termina la nostra campagna social contro gli stereotipi sui videogiocatori. Riprendendo la citazione di una celebre serie che si è chiusa proprio in concomitanza con la nostra campagna “ciò che è morto non muoia mai”, invitiamo tutti a continuare in questa lunga ed inesorabile battaglia. Infatti, se Jon Snow e compagni ora potranno riposare, la lotta del giocatore per una legittimazione del proprio passatempo preferito è ben lontana dal suo compimento. Noi, dal canto nostro, non smetteremo di lottare e, spero, anche voi. Bando alle ciance però e passiamo al sodo: com’è andata questa campagna?
CAMPAGNA? QUALE CAMPAGNA?
Per chi non fosse un lettore abituale del nostro blog o non seguisse i nostri canali social, due mesi fa abbiamo lanciato una campagna per sensibilizzare i non-giocatori, attraverso alle voci di chi invece gioca, sugli stereotipi legati ai videogiochi. Dalla violenza, all’isolamento, passando per dipendenza e maschilismo, siamo andati a stanare quello che è il luogo comune rispetto al gaming nella cultura moderna, per poi combatterlo con studi, testimonianze e dati statistici, insomma con conoscenza. A lato di quest’iniziativa, abbiamo pubblicato delle immagini che facessero lega sul senso di appartenenza dei giocatori, facendo testimoniare gli stessi su quanto questi stereotipi fossero lontani dalla realtà. Era necessario? Direi che questo ce lo diranno i numeri.
I RISULTATI DEGLI STEREOTIPI
Otto immagini. Ognuna dedicata ad uno stereotipo, che complessivamente, tra Instagram e Facebook, hanno fornito 1786 “mi piace”, 158 commenti e 498 condivisioni. Se questi dati vengono rapportati ad uno sharing totale che non supera le 10’000 persone, possiamo affermare che una persona su cinque (quantomeno di chi ci segue sui social), ha aderito alla campagna. Questi dati vengono confermati anche dai dati raccolti dal sondaggio che abbiamo effettuato poco tempo fa, dove risultava come circa il 30% di coloro che hanno risposto aveva aderito alla campagna. Dunque rispondendo alla domanda che chiude il capitolo precedente: “era necessario?” Direi di sì, ma non parlo per opinione personale, mi riferisco infatti ai dati. I giocatori sono stufi da questi stereotipi beceri che dilaniano il videogiochi, trasformandoli in mostri gonfiati dalle paure di chi ignora il mondo artistico che essi costituiscono. Se cosi tante persone hanno deciso di aderirvi dunque si, penso fosse necessario.
QUALI IMMAGINI HANNO FUNZIONATO DI PIÙ?
In ordine di adesioni (calcolate tra like, commenti e condivisioni) abbiamo violenza (io gioco ai videogiochi e non sono un killer), maschilismo (io gioco ai videogiochi e si, sono una ragazza) e isolamento (io gioco ai videogiochi e non sono asociale). Quarto posto per l’età (gioco ai videogiochi e non troppo vecchio), mentre seguono staccati dipendenza e legittimazione. Infine poca adesione per sedentarietà e flaming, evidentemente i due stereotipi che meno di tutti toccano i giocatori.
POSSO ANCORA ADERIRE ALLA CAMPAGNA?
Assolutamente sì. Le immagini sono presenti sui nostri profili social e non aspettano altro che una condivisione in più. Inoltre è possibile acquistare dal nostro negozio dei gadget, quali magliette e poster, per sostenerla.
Siamo giocatori, non smettiamo di difendere la nostra identità. Il videogioco non fa male, l’ignoranza legata ad esso sì.