Vi è mai capitato, durante una partita con gli amici, di impersonare un possente guerriero dalla forza sovrumana e di potere schiacciare a vostro volere qualsiasi nemico vi si parasse davanti? Dopo avere spento la console come vi siete sentiti? Magari più forti e sicuri di voi. Forse anche più alti e muscolosi!
A parte le battute, non è una novità che i videogiocatori spesso e volentieri si identifichino con i personaggi dei loro videogame favoriti. Dopotutto è abbastanza logico pensare ad una dinamica di questo tipo. Le emozioni esperite dal videogiocatore durante l’esperienza videoludica, tramite i tessuti della trama, la grafica, le storie dei personaggi, sono in grado di scavare in ognuno di noi e imprimere nella nostra memoria un impronta profonda.
In che modo è possibile? Scopriamolo insieme!
L’IDENTITA’ NEI VIDEOGIOCHI
Secondo James Paul Gee (2007) sono presenti tre tipi di identità: un’identità nel mondo reale, un’identità virtuale ed un’identità proiettiva.
La prima, l’identità nel mondo reale, è quella di più logica spiegazione. Coincide con la persona fisica che si approccia al videogioco. Però, anche se a prima vista essa possa sembrare molto semplice, in realtà è composta da miriadi di sfaccettature. Osservando la carta di identità di una persona possiamo individuare una serie di dettagli (come il sesso, la nazionalità, l’altezza, ecc.) in grado di definirla in modo del tutto particolare e specifico. Sono questi dettagli a influenzare e a venire influenzati dall’esperienza videoludica.
Se poi pensiamo che l’identità reale interagisce e si amalgama con le altre due, possiamo a dir poco immaginare la complessità che ne deriva.
La seconda tipologia di identità corrisponde all’identità virtuale, ovvero quella che una persona adotta in base al personaggio di un videogioco. Identità reale e virtuale vanno di pari passo perché condividono simultaneamente i successi o i fallimenti ottenuti attraverso i videogames.
L’ultima delle tre identità è l’identità proiettiva. In questo ultimo caso ciò che più ci preme è indagare la relazione tra il sé in carne e ossa e il personaggio virtuale.
L’identità proiettiva presenta due dimensioni. La prima concerne la possibilità di proiettare sul proprio avatar emozioni, desideri e valori, mentre la seconda implica che il proprio avatar sia l’incarnazione del proprio agire, in uno spazio e un tempo ben definiti dai desideri che il videogiocatore investe sul proprio personaggio. In sostanza l’avatar diventa la concretizzazione della mia volontà e delle mie aspirazioni: sono IO che agisco in una dimensione fittizia e sono in possesso di capacità che in questa realtà non posseggo. Infatti nel videogioco possiamo interpretare chiunque e comportarci come non avremmo mai possibilità nel mondo tangibile (Turkle, 1999). Secondo questa chiave di lettura, l’identità e la personalità diventano elementi flessibili, non fissi.
I videogiochi sono potenti strumenti per riflettere su di sé, sulla propria identità e magari anche sul modo di entrare in relazione con gli altri.
In conclusione è possibile affermare che la scelta dei personaggi è quindi influenzata dai propri gusti, dalla percezione di sé (Sé percepito) e da come vorremmo essere (Sé ideale). Inoltre gli avatar che scegliamo o creiamo influenzano a loro volta la nostra identità, in uno scambio dialettico e costante tra: “chi sono”, “chi penso di essere” e “chi (o come) vorrei essere”. È sulla base di questo ragionamento che ci permettiamo di dire che non sarà così frequente che un videogiocatore crei un avatar con un colore di pelle diversa dalla propria. Razzismo? No, semplicemente potrebbe proiettarsi meno in un personaggio fisicamente differente dal suo vero sé. Un minor livello di proiezione potrebbe corrispondere ad una esperienza emotivamente carente, con la conseguenza che il videogame possa essere abbandonato.
L’esperienza videoludica è un modo per esprimere in una dimensione del tutto intima e protetta le proprie emozioni, che nascono e si rincorrono in quel teatro che sono i videogame.
FONTI:
Gee, J. P. (2007). What Video Games Have to Teach Us about Learning and Literacy. LLC: St. Martin’s Press.
Turkle, S. (1999). Looking toward cyberspace: Beyond grounded sociology. Contemporary Sociology, 28(6), 643-648.