Sono una persona figlia degli anni ‘90, cresciuta con i pregi e difetti dell’epoca. Un’era in cui si è vissuto un vero primo grande boom della “Giappo-Mania”, della cultura anime e di quei videogiochi che “ti rendono violento” provenienti dalla Terra del Sol Levante.
Cosa ci abbia trasmesso tutto quel flusso di tradizioni, stili grafici, costumi, gag e stranezze provenienti dal Sol Levante è presto detto: tanta curiosità, grosse aspettative e la speranza di visitare un giorno quel magico mondo dipinto con le più strane e fantastiche invenzioni.
Il Giappone si è sempre saputo vendere bene agli occhi del pubblico: un paese che in modi diversi ha saputo impacchettare i propri patrimoni culturali e la propria storia presentandoli a pompa magna e creando attorno a sé un’aura di mistica irresistibile bellezze.
Si tratta comunque di un Paese ricco di storia e tradizioni, ma il modo in cui si è entrati in contatto e a conoscenza del paese, l’immagine che si è di conseguenza vento a creare e tutto ciò che vi ruota attorno, sono stati manipolati e distorti in modo incisivo nel corso degli anni.
L’idea che oggi han tutti di “Giappone”, di ciò che può racchiudere in sé, dalla sua storia antica sino a quella moderna; giunge oramai attraverso i racconti dei mass media e la cultura pop, di cui quest’ultima ha smembrare e reinterpretato completamente un’anima stoica ormai svanita tramite l’innalzamento di una pura facciata pubblicitaria.
Il Giappone (e di riflesso gli USA e altre nazioni) tramite le sue opere cartacee (manga), le sue trasposizioni animate (anime) e ovviamente tramite i suo prodotti ludici (videogiochi) ha potuto presentarsi al mondo esterno con una nuova maschera, mutando così il proprio modo di porsi al mondo esterno; in questo caso privandosi della maschera minacciosa del kabuki (deterrente per restare isolazionisti puri) e indossandone una che ammiccasse all’occidente e ai paesi stranieri come quella di una qualsiasi mascotte, da Pikachu a Super Mario.
I videogiochi, dai cabinati, a quelli in cartuccia sino a quelli odierni, sono ormai costume diffuso nel tessuto sociale nipponico da decenni, giungendo oltreoceano da ambo le direzioni e divenuti strumenti di influenza oramai solidi e di grande impatto.
Il Giappone ha saputo sfruttare al meglio tale risorsa, inizialmente sotto il puro profilo economico, ma successivamente sotto anche quello di immagine e marketing.
La moda dei videogame si è così trasformata nel tempo in una forma di culto per questo popolo, con giornate pubblicitarie e fiere divenute come celebrazioni e riti, sedi di software house viste come templi sacri e mascotte o i loro stessi creatori celebrati come divinità.
Nella terra del sol levante si è venuta a creare una voragine, un netta discrepanza da ciò che desiderano mostrare (gli antichi principi e tradizioni, dall’etica del bushido alla spiritualità buddista, dalle tradizioni sacre shintoiste sino all’immagine della persona austera e imperscrutabile) a ciò che invece il popolo giapponese si è trovato ad essere in epoca moderna, un popolo anch’esso consumista e cambiato, diverso da quello che era un tempo.
Quella visione romantica del Samurai, dello shogunato, della marziale disciplina vista come salubre e che viene richiamata nell’immaginario di tutti quando si pensa a tali terre, è e resta una pura e semplice idea totalmente discordante dai tempi che corrono.
I videogiochi trattano e narrano vicende di fantasia o di realtà condite con ogni genere di sfumatura (da quella ironica a quella drammatica), e sono liberi da determinati preconcetti. Hanno il grosso pregio di poter trasmettere valori e messaggi che magari in altri modi non sarebbero stati efficaci o espressi appieno; ciò però porta anche a plasmare falsità veicolate, a esaltare luoghi e comportamenti che nella realtà possono risultare opprimenti, ma soprattutto a indottrinare una nazione stessa che si crogiola in ciò gli viene trasmesso, ossia stili di vita tramontati da tempo in un’epoca estranea e in contrasto con loro.
Nei videogiochi il popolo giapponese ha saputo però anche inserirvi il suo lato critico verso questo mondo, mostrandone in modo più o meno velato l’incoerenza che si è venuta a generare; mentre dal lato diametralmente opposto ci si ritrova con videogiochi in cui anche culture esterne da quella nipponica sono state fagocitate, mescolate e corrotte a loro piacimento rendendole proprie e mercificandole a loro volto.
In conclusione il videogioco negli anni ha svolto la sua funzione di messaggero, di ambasciatore di una nazione che si auto-celebra di tutti quei valori e costumi che sono stati punti in comune di tutti i popoli e contaminandosi di nuovi, richiamandone quindi la morale e gli insegnamenti che possono esser viste come condivisibili da tutti.