Non è la prima volta che parlo di narrazione in queste pagine. Il punto è che se ne parla sempre male o troppo poco, limitandosi a lodarla o biasimarla, senza mai andare in profondità ad analizzarla e a mostrare come, in un videogioco, essa sia la parte predominante dell’opera d’arte, insieme al gameplay. Perché, in effetti, ogni scena che avviene su schermo, che udiamo, vediamo o di cui facciamo esperienza, che sia essa pre-registrata o realizzata al momento, produce narrazione. Ogni componente “accessoria” del puro ludismo (direzione artistica, sonoro, fruizione) è veicolo di narrazione. Quale gioco migliore se non Control, l’ultima fatica di Sam Lake e di Remedy, per provare a spiegare come si produce una narrativa disarmante e profonda? Nell’articolo saranno presenti spoiler, a titolo di esempio, per specificare ciò che viene espresso teoricamente.
Strano forte
Molti di coloro che hanno avuto modo di fruire Control ne hanno riportato pareri ottimi pur non essendo riusciti a comprendere del tutto la fitta trama che lo compone. L’idea basilare, generata coscientemente dal team di sviluppo, è quella di una complessità elevatissima e un sottile gioco di disvelamento/occlusione che impedisce la completa comprensione: “Il gioco è strano”. Questo è senz’altro vero, anche perché i rimandi immediati sono a tutta quella serie di produzioni, anche cinematografiche, ermetiche o simboliche di non facile lettura e che hanno come riferimento principale nella nostra cultura Twin Peaks. In Control è difficile trovare una vera e propria trama lineare, inizio, sviluppo e conclusione. In effetti è presente una linea di riferimento sia cronologica che finalistica, ma essa è la componente minore e di più facile comprensione. Per certi versi la si può anche trovare banale: Jesse vive in comunicazione con un’entità che la spinge a recarsi presso l’Oldest House, sede del Federal Bureau of Control per divenirne poco dopo Direttrice. Da qui la trama, nel suo tratto basilare, ci dirige alla ricerca delle cause dell’Hiss la “malattia” che affligge i dipendenti del Bureau in una storia che coinvolge Jessie, suo fratello e le verità dietro l’entità, chiamata Polaris. Questa linea narrativa si comprende anche facilmente. Per chi ha terminato il gioco, asciugato di tutti gli altri aspetti di cui parleremo a breve, si tratta tutto sommato di qualcosa di già visto e nemmeno narrato così intensamente da suscitare particolari emozioni elevate.
Proprio questo è un primo punto focale: una narrazione basilare siffatta permette un grado di comprensione costante e volitivo verso il completamento del gioco. Tutto ciò che avviene attorno, i tantissimi contenuti psicologici, filosofici e fantascientifici, sono il vero fulcro del gioco e apice di fascino e atmosfera.
Rispettare l’intelligenza dello spettatore
Le narrazioni con le quali vado maggiormente d’accordo sono quelle che rispettano l’intelligenza dello spettatore. Quando si crea una storia, con il sistema di rapporti fra personaggi, cause ed effetti nello sviluppo della trama, necessità e consequenzialità nelle situazioni, si deve tenere conto che lo spettatore mette in moto il suo intelletto e partecipa sia emotivamente che criticamente alle azioni del protagonista. Questo avviene ancora di più in videogioco, nel quale ci si immedesima attivamente nei personaggi perché è il giocatore a compiere le azioni. Remedy è perfettamente conscia di questo e sa come titillare la curiosità del fruitore senza mai appesantire. La scelta di narrare una gran quantità di contenuto tramite documenti, registrazioni audio e video (peraltro già presente in quel capolavoro che è Quantum Break), non è causale perché avvolge lo spettatore nella dimensione del “giallo”, del mistero. I file che si hanno a disposizione sono tanti piccoli appunti che il giocatore-detective ha a disposizione per venire a capo del “mistero”. Il tutto fa ancora più effetto in un titolo in cui il disvelamento del mistero è metanarrativo: il giocatore sa che l’unica cosa da fare è effettivamente sbrogliare la matassa di complessità che viene messa in campo da Remedy (e questo avviene anche tramite simbolismo). Le domande che Jessie pone non sono mai banali, sono sempre le stesse che un ipotetico giocatore potrebbe voler porre in una situazione del genere. Questo è ancora più evidente nella decisione di Remedy di renderci partecipi dei pensieri di Jessie. Non solo, la protagonista comunica con un’entità che non risponde e che inizialmente può essere scambiata per il giocatore stesso e questo genera fin da subito un rapporto con la Direttrice da parte del giocatore che non è più di immedesimazione ma di dialogo (aprirò in un’altra occasione la questione “demone Socratico”). Il fruitore è quindi portato a interessarsi del personaggio Jessie e non a sopravanzare la sua psicologia, nonostante è naturale sentirsi lei mentre si gioca.
Sbrogliare la matassa
Abbiamo detto sopra che l’obiettivo del giocatore è anche quello di sciogliere l’intreccio e svelare il mistero. Questo viene veicolato dal gioco anche attraverso l’effettiva narrazione messa in campo: la “malattia” che si impossessa dei membri del Bureau è l’Hiss, il sibilo, il sussurro. Da qui si originano due livelli interpretativi che ci permettono di comprendere la straordinaria profondità narrativa del gioco. Da un lato l’Hiss è appunto il “sussurro”, un sussurro opprimente che costringe le persone a seguire una specifica volontà esterna. È il sibilo della corruzione: le menti sono corrotte, l’Io non ha più il Controllo; Biblicamente è precisamente il verso del serpente tentatore che non solo corrompe l’originaria perfezione umana ma spinge a prendere il frutto/prodotto dell’Albero del Bene e del Male. Dunque ciò che l’uomo perde, contagiato dall’Hiss è la capacità di distinguere bene e male, facendo valere l’identità fra male e caos. Jessie è immune perché, fuor di simbologia, dialoga costantemente con un’entità (demone guida Socratico). Dall’altro lato l’Hiss è il velo di caoticità che corrompe anche la realtà esterna rendendo le aree “bloccate” e da purificare. Una volta purificata una zona la Oldest House si ordina da sé. Dunque il giocatore stesso è oppresso dalla molteplicità delle informazioni, dei punti di vista, delle possibilità che apre il gioco e che bisbiglia costantemente all’orecchio di chi gioca, ma può liberarsene svelando il mistero.

Le modificazioni strutturali sono simbolo della corruzione della realtà operata dall’Hiss.
La ribalta degli ultimi
Per concludere questo articolo, in realtà ho mostrato solo una piccola parte di ciò che è Control, valevole per comprendere la sapienza narrativa del titolo, mi preme esporre un altro punto specificatamente sulle pagine di Horizon Psytech: il ruolo degli ultimi e delle donne nel gioco.
La sapienza mostrata da Sam Lake e Remedy abbiamo visto è sconfinata, non meno importante ai fini della narrazione è una questione che si sottende pure in maniera abbastanza invisibile ma che se analizzata a sufficienza si scopre certamente valida. Ogni personaggio nel gioco che ha un valore (al di là del ruolo) in sé, cioè una capacità propria, è un ultimo.
Emily Pope, donna, è la brillante assistente del dottor Casper Darling (personaggio strepitoso) affossata da questo e mai fatta uscire fuori realmente. Con gli eventi del gioco, Emily assume un ruolo di primo piano, coordinando efficacemente tutte le iniziative che prenderà Jessie e fornendole supporto informativo costante. Non perde mai il sorriso e l’entusiasmo e i suoi interventi sono sempre brillanti.
Jessie Faden, donna, diviene direttrice, lei che non se lo sarebbe probabilmente mai aspettato e che in una delle scene finali vediamo vessata da altri dipendenti al suo primo giorno di lavoro (scena emblematica per comprendere il gioco). Ce la fa da sola mettendo a frutto le sue capacità.
Ahti, il bidello del Bureau (più ultimo di così). Egli si rivela uno dei personaggi più importanti, conoscitore profondo di verità che per Jessie, e giocatore, sono ancora celate. Probabilmente, metaforicamente, con il fatto che deve pulire ogni angolo della Oldest House, conosce più di tutti gli altri.
Infine citiamo i responsabili degli altri dipartimenti, i quali, uomini e donne, riescono a sistemare la situazione in assenza del precedente direttore e di Darling, le due figure più importanti del FBC. Essi si rivelano capaci nonostante prima fossero semplici inferiori di grado.

Emily Pope è una dei personaggi più riusciti del gioco.
Per quanto riguarda le donne, inserendosi con sapienza e soprattutto naturalezza nella questione MeToo, Remedy ci propone dei modelli di personalità riuscitissimi senza bisogno di sbandierarlo. La naturalezza con la quale sia Jessie che Emily Pope dialogano e mettono in mostra le loro capacità le rende fra i personaggi femminili più riusciti del panorama videoludico attuale. Eppure, probabilmente, questo passa in sordina di fronte ad altri esempi, di altre opere, che invece vogliono sbandierare meriti che magari invece non ci sono. Remedy non è nuova a questo: sempre con molta naturalezza, uno dei personaggi migliori di Quantum Break è certamente Beth Wilder, interpretata da Courtney Hope, la quale dà le proprie fattezze anche a Jessie.
Il tutto dimostra che la narrazione nel videogioco come opera d’arte e fondamentale e quando si ha a che fare con team di sviluppo come Remedy e sceneggiatori del calibro di Sam Lake si deve andare a indagare in profondità, cercare nei piccoli spazi, nei colori, nei simbolismi, scoprendo modi di rappresentare la realtà e combattere il male migliori di chi cerca di vantarsi di meriti che non ha e invece finisce per produrre solo inutili “bisbigli”.