Ci risiamo. Ancora una volta i videogiochi vengono menzionati in vicende che li riguardano poco o nulla. “Videogiochi dipendenti da piccoli? Hacker da grandi”, questo il titolo dell’articolo de Le Iene.
Davvero l’essere dipendenti dai videogiochi in tenera età può far diventare dei ragazzi degli hacker? Io non credo.
L’articolo
L’articolo riporta la “sostanza, sorprendente e destinata a fare fa discutere, di una ricerca dell’Università americana del Michigan”. Secondo i risultati fattori determinanti nel divenire dei criminali informatici sono l’essere dipendenti dai videogiochi e la frequentazione di cattive compagnie di coetanei. Inoltre per i maschi la tendenza a crimini informatici sarebbe una conseguenza di lunghe sessioni di gaming. L’articolo poi si allontana dall’incipit per focalizzarsi sulla dipendenza del videogioco, riconosciuta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e si conclude con la storia di un ragazzo dipendente, che sembra non avere niente a che fare con gli hacker. Non essendo al corrente di tale studio ho voluto cercarlo e leggerlo completamente per capire quanto ci fosse di vero.
La ricerca
Thomas Holt, professore presso la “School of Criminal Justice at Michigan State University”, conduce la ricerca su un campione di 48.327 (al netto delle esclusioni per motivi metodologici) ragazzi delle scuole medie di trenta nazioni. L’obbiettivo è di esaminare delle possibili variabili mediatrici relate all’hacking per i giovani. Cinque le ipotesi: gli individui con poco autocontrollo e accesso non supervisionato alla tecnologia è più probabile incorrano in comportamenti di hacking; esiste una relazione tra l’hacking e la frequentazione di coetanei devianti; è più probabile per i maschi che per le femmine incorrere in comportamenti di hacking; gli hacker provengono tipicamente da famiglie della classe media; i residenti in città sono più associati con l’hacking su una scala di tipo self-report rispetto i residenti in zone rurali.
La discussione dei risultati
Lo studio esamina i fattori di rischio sottostanti all’avvicinamento di comportamenti di hacking da un punto di vista neutrale e in relazione al genere. Sono stati riscontrati i fattori di rischio più salienti per l’hacking già riscontrati in letteratura, ovvero basso autocontrollo e compagnie devianti. Gli autori hanno verificato tutte le ipotesi tranne l’ultima. La possibile spiegazione che gli autori forniscono è che in zone rurali ci sono meno attività per i giovani incrementando così le opportunità per delinquere. Le differenze principali di genere sono le correlazioni comportamentali con l’hacking: possedere un computer e usare la tecnologia per i maschi, conoscere coetanei che borseggiano per le femmine. Ci sono delle limitazioni: i dati che hanno utilizzato non sono molto recenti e l’evoluzione tecnologica è un elemento da considerare; la trasversalità dei dati non permette di identificare una relazione causa effetto.
Dipendenza?
Ma la dipendenza ai videogiochi? Non è presente. Probabilmente nell’articolo de Le Iene s’intende un punto della scala utilizzata per stimare la relazione con i coetanei, le attività online e il grado di delinquenza individuale. La scala in questione è la seguente: when you hang out with your friends, we usually: 1) drink a lot of beer/alcohol or take drugs (peer drugs); 2) smash or vandalize things just for fun (peer vandalism); 3) shoplift just for fun (peer shoplift); 4) play computer games or chat on the computer (peer computer), and 5) frighten or annoy people around us just for fun (peer frighten).
L’utilizzo del mezzo e non il mezzo stesso
L’autore dell’articolo prende le distanze dalla posizione dei ricercatori (dalla presunta tale visto che non emerge in questi termini) e non afferma categoricamente che la dipendenza dei videogiochi da bambini porti a diventare un hacker. Sembra proprio un utilizzo dei videogiochi come capro espiatorio (ne parlo anche qua) o come click bait. Siamo nel 2019, i videogiochi dovrebbero essere trattati in maniera più dignitosa, c’è chi li usa come semplice hobby, chi ne ha fatto il proprio lavoro e chi ancora vede in essi una possibilità di apprendimento. Concludo rinnovando un invito: cari media, per favore, non incolpate sempre i videogiochi.
Fonti:
https://journals.sagepub.com/eprint/75WA7TNAKTKHXZVU2XMN/full