Usare i videogiochi per spiegare i disturbi psicologici

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Come al solito, le idee migliori ce le forniscono i bambini. Vi riporto un estratto di una lezione sui videogiochi che ho tenuto di recente:

Io: “[…] Lui ha sempre molta paura, un po’ di tutto.”

Bambina: “Ah, come Luigi con i fantasmi in Luigi’s Mansion?”

Qui nasce la rubrica che sto per presentarvi.

Un passo indietro

Il videogioco è uno strumento peculiare, sicuramente discusso e magari controverso, ma indubbiamente diffuso. Questa diffusione, partita dalle prime commercializzazioni degli anni 80′ e arrivata ai numeri da capogiro del 2019, è sicuramente veicolata dai ragazzi, primi storici fruitori del medium. Lo sviluppo menzionato comporta tutta una serie di fattori sociali e culturali, tra i quali troviamo la creazione di una forma di significazione e di linguaggio comuni. 

Perché usare i videogiochi?

L’introduzione getta le basi per l’analisi che segue: una diffusione così forte di un prodotto, caratterizzato da linguaggi, personaggi e segni specifici può essere un vantaggio non indifferente, anche perché il medium in questione è ormai diventato trans-generazionale. Che cosa significa? Che il videogioco può essere usato come strumento per interagire tra adulti e bambini, utilizzando un ancoraggio comune ad entrambi. Perché non dimentichiamo che i primi giochi elettronici sono arrivati negli anni 80′ e che insomma, anche gli adulti di oggi ne sanno qualcosa a riguardo.

Come impiegare questa opportunità?

Effettuata l’analisi ne conseguono una serie di idee, tutte accomunate dal solito scopo per cui Horizon nasce e su cui si sostiene: sensibilizzare ed educare. 

“Se usassimo i videogiochi per spiegare determinati disturbi psicologici anche ai più piccoli?”

Proviamo a prendere in considerazione l’applicazione pratica di quest’idea: probabilmente parlare di disturbi d’ansia o bulimia può risultare complesso, non dimentichiamo però che se il bambino in questione ha giocato a Super Mario o Kirby potrà già avere un pattern di comportamenti, associati a specifici personaggi, vicini al disturbo. La stessa cosa può essere effettuata con gli adolescenti: menzionare una serie di sintomi per spiegare il PTSD (disturbo post traumatico da stress) può non facilitarne la compressione, ma associarlo al comportamento del protagonista di Gears 5 permette al ragazzo di avere già una serie di comportamenti associati, ben chiari in mente.

Non si vuole banalizzare

La critica che principalmente può essere mossa a questo sistema è sicuramente quella di banalizzare il disturbo. 

Chiaramente, non si vuole associare Kirby o Yoshi a qualche forma di anoressia o bulimia nervosa, semplicemente lo si vuole prendere come esempio per alcuni dei sintomi caratteristici della patologia, ma non bisogna limitarsi a questo. Essi possono essere un buon mezzo per introdurre il discorso, che viene poi sviluppato da uno psicologo. 

Riassumendo…

Nasce oggi una nuova rubrica finalizzata alla sensibilizzazione rispetto a disturbi psicologici, perché noi di Horizon siamo convinti che capire è il primo passo per comprendere e che i videogiochi sono un ottimo strumento per imparare. I punti cruciali saranno:

  1. usare un videogioco o dei personaggi dei videogiochi per introdurre un disturbo specifico;
  2. spiegarne i meccanismi, la sintomatologia e le peculiarità;
  3. Approfondire domande specifiche.

Le motivazioni e i vantaggi invece possono essere riassunti in:

  1. Il videogioco è un terreno comune tra adulto e ragazzo/bambino;
  2. Il linguaggio e i personaggi dei videogiochi fanno riferimento ad una serie di comportamenti già chiari nelle menti dei giocatori;
  3.  Usare i videogiochi permette di aumentare l’interesse e l’attenzione verso i disturbi presentati.
  4. Portare esempi pratici permette di facilitare l’empatia e la comprensione verso chi soffre di un disturbo specifico (anche verso se stessi, come introspezione).

Cosa pensate di questa rubrica? Potrà effettivamente aiutare i ragazzi?

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