Giocare per i motivi sbagliati: 1 gioco, 3 errori

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In un momento di noia ho deciso di scaricare un gioco mobile: Animal Restaurant.
In questo gioco, adorabili piccole creature del bosco entrano nel ristorante del protagonista, anche lui animaletto antropomorfo, per ordinare cibi della tradizione giapponese. Il giocatore prende gli ordini toccando i fumetti sopra le teste dei clienti, serve i piatti, raccoglie il pagamento (pesciolini), e usa il ricavato per abbellire ed espandere il menù ed il locale.
Di fronte a tutta questa dolcezza, non potevo immaginare che cosa mi aspettasse. Il gioco presenta tre grossi aspetti di design studiati appositamente per tenere il giocatore incollato allo schermo. E non in senso positivo.

1. Nessuno stacco

Una volta iniziato a giocare, ho iniziato a servire onigiri e tazze di ramen ai piccoli avventori del mio locale. Mi aspettavo di arrivare, in qualche minuto, a una schermata di riepilogo della situazione, che simboleggiasse la fine del turno del mio Chef o la chiusura del locale. Invece ho scoperto, con mia grande sorpresa, che il mio locale era aperto 24 ore al giorno, 7 giorni su 7.

Nessun momento programmato segnalava l’attimo giusto per smettere di giocare, nessuna custscene, nessun livello, nessun boss, nessun save point. Entrare nel flusso di gioco era semplice, data la natura ripetitiva dei gesti. Uscirne non sembrava facile: i clienti continuavano ad entrare nel locale.

2. Appuntamenti fissi

Una volta abbellito il locale e assunto un cameriere, iniziano ad arrivare nuovi clienti. Alcuni tra questi nuovi avventori chiedono una consegna Take Away, promettendo un pagamento speciale per un ordine speciale. I clienti dunque ordinano un pasto, dicendo che torneranno a ritirarlo tra 4 ore, o tra 8 ore.

Mi aspettavo di dover semplicemente riaprire la app dopo almeno 8 ore per reclamare il mio premio. Invece mi sbagliavo. Non importa se tra 8 ore saranno le 4 del mattino: non aprendo la app al minuto esatto indicato come ora di consegna, la missione fallisce. Niente premio dunque, ma soprattutto, una punizione.

3. Sensi di Colpa

Da persona razionale, si potrebbe pensare che non riaprire l’app non sia poi così difficile, nonostante i piccoli e dolci clienti che attendono il proprio pasto. Ma è qui che il gioco si differenzia da altri, mettendo in campo più delle tecniche di cui abbiamo parlato, che in fondo sono comuni tra molti giochi mobile e non.

I clienti che chiedono il pasto Take Away non sono muti come gli altri. Questi piccoletti raccontano la loro storia. Un papà pecora ordina un dolce speciale per la figlia dopo aver litigato con lei, ed uno struzzo è arrivato nel mio locale affrontando il proprio disturbo d’ansia. Non potendo mangiare in sala date le troppe persone, ma volendo comunque assaggiare i miei rinomati spaghetti, lo struzzo ordina un Take Away. Due storie strappalacrime, ma nulla di più. Per ora.

Una scena di Animal Restaurant, dove i piccoli clienti, già seduti ai tavoli, ordinano il pranzo.

Non aprendo la app al minuto esatto indicato come ora di consegna, come già detto, la missione fallisce. Ed ecco che entra in gioco un meccanismo molto potente: il senso di colpa. Il cliente rimasto a bocca asciutta entra in negozio appena si riapre la app, chiedendo spiegazioni per la mancata consegna. I dettagli fanno la differenza: l’animaletto non è arrabbiato, ma è triste e deluso. Questo dettaglio mi ha fatto venire i brividi. Un’arrabbiatura implica una fine di una relazione: sono arrabbiato, non verrò mai più a mangiare da te. La tristezza, invece, mantiene la relazione: sono triste, perché mi hai ferito?
Papà pecora dice “Mi fidavo di lei, signor Chef”, Mr Struzzo è incredulo: “Ma come… ho fatto di nuovo tutta questa strada tra tutte queste persone nonostante il mio disturbo e tu non c’eri”.

Tu non c’eri.”

Ho disinstallato la app.

Confusa da quanto accaduto, ho raccolto tutte le mie conoscenze per trovare una spiegazione. Forse una differenza culturale, essendo il gioco giapponese: forse, da occidentale, non capivo. Poi ho ricordato un articolo scientifico di Minako O’Hagan, “Towards a cross-cultural game design: an explorative study in understanding the player experience of a localised Japanese video game” (2009).

In questo articolo, un ragazzo giapponese ed un ragazzo americano giocano, individualmente, allo stesso gioco creato in Giappone, Ico. Tra quanto emerge dall’articolo, Minako nota un dettaglio: il protagonista può prendere per mano la coprotagonista per guidarla. Se però il ragazzino corre troppo veloce, il braccio della bambina verrà tirato con forza, e il controller vibrerà nelle mani del giocatore. Se il ragazzo americano, scocciato da questo rallentamento, fu in grado di ignorarlo, il ragazzo giapponese ne era colpito a tal punto che temeva che “il braccio della piccola si staccasse tanto lo tiravo“. Di conseguenza, il design del gioco giapponese risuonava con l’empatia del giocatore giapponese, il quale, per non ferire la bambina virtuale, si conformò con quanto richiesto dal gioco: andare piano, prendersi il tempo.

Pur essendo questo uno studio molto ridotto, confrontando solo due punti di vista, i risultati non supportavano l’ipotesi della differenza culturale per spiegare perché Animal Restaurant mi avesse lasciata confusa. Probabilmente anche il giocatore giapponese si sarebbe sentito ferito come me tradendo la fiducia del Signor Struzzo. Ho smesso di cercare una scusa e mi sono rassegnata a trovare una spiegazione.

La morale è sempre la stessa: facciamo attenzione a ciò che scarichiamo. Non posso però nascondere la delusione del vedere come alcuni sviluppatori sfruttino e snaturino le conoscenze psicologiche a nostra disposizione. Invece di utilizzarle per sostenere il giocatore e farlo innamorare del proprio prodotto, le usano per punirlo e manipolarlo. Come in una relazione abusiva.

Lasciate i giochi abusivi, ragazz*.

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