In molti videogiochi contemporanei, l’aspetto psicologico sta diventando sempre più rilevante, come abbiamo già parlato in precedenza. Ma abbiamo ben pochi esempi di cosa succede quando applichi alcune teorie psicanalitiche alle meccaniche di gioco.
Un’eccezione è proprio la serie di Persona, ormai giunta al quinto capitolo e acclamata nella sua terra di origine poiché facente parte della saga Megami Tensei, proprietà della Atlus. Tale saga, che riesce a rivaleggiare con titoli del calibro di Final Fantasy e Dragon Quest in Giappone, non è in realtà molto conosciuta in Occidente.
Nonostante questa scarsa popolarità al di fuori delle mura nipponiche, i titoli più recenti hanno saputo raggiungere le orecchie e i monitor di molti di noi proprio grazie all’ultimo titolo, Persona 5.
Con uno stile grafico riconoscibile ed una colonna sonora jazz, mantiene la critica sociale, le scelte morali ed i riferimenti mitologici presenti nei titoli precedenti. Ma se siamo qui a parlarne, oltre per il fatto che sta riscuotendo un inarrestabile successo fin dalla sua uscita nel 2016, che ha portato ad un remake e uno spin-off nel 2020; è perché io stessa ho potuto giocarlo direttamente.
E lasciatemi dire che, in quanto psicologa, questo titolo ha saputo toccare delle corde molto profonde, facendomi ricordare molto dei miei studi: grazie ad un’analisi sociale fine e più che mai attuale, veniamo posti di fronte a problematiche reali e complesse, quali abusi di potere, isolamento sociale, aspettative frustranti, ed in ultima battuta il concetto stesso di giustizia, morale, etica. Se sia meglio stare in una prigione sicura o correre liberamente per un sentiero tortuoso.
La prigione è un tema doppiamente importante poiché la storia del protagonista parte proprio da una prigione “mentale” per arrivare anche ad una reale. Inoltre, scopriremo che non è solo il protagonista ad essere tenuto sotto scacco, ma anche tutta la società che deve essere liberata a livello cognitivo. Perché è proprio sul piano della cognizione che agiranno i nostri Phantom Thieves: in un piano di realtà diverso, chiamato Metaverso, dove le rappresentazioni cognitive distorte dai desideri prendono forma. Dovremo rubare l’oggetto che ha dato origine al desiderio perverso, che sarà sempre legato ad uno dei sette peccati capitali, per innescare un cambiamento “di cuore”, anche sul piano della realtà.

Una tematica universale: i legami sociali
Avendo come protagonisti degli adolescenti, non mancano i momenti comici ed aggreganti: infatti, si può dire che sia un “videogioco di formazione“, poiché spinge il giocatore ad instaurare dei legami con gli NPCs, aiutandoli a risolvere i loro problemi, talvolta in un percorso di crescita, di redenzione e di ricerca della verità e della felicità. Ma al contrario di molti giochi di stampo gdr, l’instaurare legami coi personaggi che incontreremo porterà a dei vantaggi e a delle skills utili nel gameplay vero e proprio. Tale scelta appare essere più che mai azzeccata, poiché premia la gentilezza e la disponibilità nei confronti dell’altro, in linea con il messaggio della storia raccontata: si può cambiare il mondo, ma non da soli.
Ma come viene effettivamente strutturata la rete sociale di personaggi che ci forniscono supporto? Ognuno di loro è accomunato ad uno degli Arcana maggiori, ed infatti ci sono ben 22 “confidant”, che sono portatori di una tematica che non si può che definire archetipica: bellezza, saggezza, vittoria, cambiamento, giustizia. Se poi si va ulteriormente ad indagare sui significati positivi e negativi di ogni Arcana, così come sul viaggio stesso che l’individuo deve compiere, tutto appare denso di significato. Partendo da una condizione di incertezza fino a giungere al gran finale, il tesoro che abbiamo meritato in tutto il nostro percorso, che è rappresentato dalla carta del Mondo, viene palesato come conferma del Sè del protagonista.
Non è a caso che il primo confidant che sblocchiamo sia proprio Igor, il Folle, che senza essere diretto nelle sue intenzioni, ci costringe ad iniziare la nostra “riabilitazione”, termine di per sé interessante, nei confronti della società. Mentre solo alla fine del nostro viaggio potremo incontrare l’ultimo Arcana, che ci libererà dalla prigione, ringraziandoci per il nostro impegno ed aiutandoci nella battaglia finale tra ordine e caos. E finalmente in questo gioco, potremo lottare per la squadra di cui sentiamo davvero di far parte, quella degli umani, imperfetti ed emotivi, che scelgono la vita a discapito della perfezione.
In realtà, gli Arcana maggiori sono presenti anche in altri videogiochi quali The Binding of Isaac, The Arcana Game e la serie Boktai, il cui designer è niente meno che Hideo Kojima. E come sappiamo Kojima ama il simbolismo, e cosa c’è di più simbolico di un archetipo?
Persona e Ombre: la teoria Junghiana
Tutti gli appassionati di psicologia, conoscono Freud ed il suo rapporto travagliato con il suo allievo e poi rivale Carl Gustav Jung. Jung, di gran lunga più spirituale del suo maestro, ha allargato i suoi studi di filogenetica e filosofia platonica per indagare tutto il vissuto comune all’umanità, in modo da capire l’uomo, trascendendo dal periodo storico e dalla vita pragmatica dei pazienti.
Analizzando i miti, le religioni e l’arte è giunto a formulare l’esistenza di “modelli operativi” universali, antichi come l’umanità che da sempre guidano il pensiero e le emozioni delle persone: essi risiedono nella parte inconscia della psiche e sono presenti sia a livello individuale che collettivo, destinate a scontrarsi con la psiche conscia, in un percorso di realizzazione della propria personalità chiamato “individuazione“.
Vi suona familiare? Il tema del viaggio verso la realizzazione del Sé ed il percorso “riabilitativo”? Ebbene sì, nulla è lasciato al caso. Ma andiamo avanti.
In questo viaggio verso l’individuazione, dovremo confrontarci con le nostre immagini archetipiche: la Persona, l’Ombra, l’Anima e l’Animus ed il Sé.
La Persona (dalla parola latina che indica la “maschera teatrale”) può essere considerata come l’aspetto pubblico che ogni persona mostra di sé, come un individuo appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide necessariamente con ciò che realmente si è. Quindi una maschera, che i nostri protagonisti sceglieranno di togliersi, o meglio di padroneggiare, abbracciando il loro vero Sè ribelle, abbandonando le ipocrisie del “mondo degli aduti”.
L’Ombra rappresenta la parte della psiche più sgradevole e negativa, coincide con gli impulsi istintuali che l’individuo tende a reprimere. Impersona tutto ciò che l’individuo rifiuta di riconoscere e che nello stesso tempo influisce sul suo comportamento esprimendosi con tratti sgradevoli del carattere o con tendenze incompatibili con la parte conscia del soggetto. È, in un certo senso, l’evoluzione junghiana dell’Es freudiano. Ma all’interno del Metaverso, le ombre saranno i nemici da sconfiggere, che al momento del combattimento assumeranno forma di personaggi mitologici appartenenti non solo alla cultura del Sol Levante ma anche a quella norrena, ebraica, greca, ecc. Ognuno di loro rappresenterà i desideri più inconsci, cupi ed egoistici della società.
Animus e Anima rappresentano rispettivamente l’immagine maschile presente nella donna e l’immagine femminile presente nell’uomo. Si manifesta in sogni e fantasie ed è proiettata sulle persone del sesso opposto, più frequentemente nell’innamoramento. L’immagine dell’anima o dell’animus ha una funzione compensatoria con la Persona, è la sua parte inconscia e offre possibilità creative nel percorso di individuazione. Infatti, vi è anche la possibilità di instaurare delle relazioni amorose (purtroppo solo con persone del sesso opposto al protagonista).
Il Sé è il punto culminante del percorso di realizzazione della propria personalità, nel quale si portano a un’unificazione tutti gli aspetti consci e inconsci del soggetto. Concetto che viene espresso proprio dalla presa di consapevolezza del Persona, dall’accettazione della propria maschera, che non è rassegnazione ma ribellione e volontà di miglioramento del mondo attorno a noi.
Altri archetipi rappresentano immagini universali, che esprimono contemporaneamente positività o negatività: la Grande Madre, il Vecchio Saggio, l’Eroe, numerose figure della religione, ecc. Esse vengono chiamate da Jung anche “potenze numinose“, e sono sempre d’ispirazione per le “maschere” delle ombre, che il protagonista imparerà a padroneggiare, non come fossero dei Pokèmon, ma attraverso un dialogo conoscitivo, che permetterà l’instaurarsi di un patto tra noi e la maschera.
Dove risiede l’inconscio collettivo: il Mementos
Nella teoria junghiana, la culla dell’insieme di queste immagini ancestrali è l’inconscio collettivo, la psiche dell’intera umanità. Tutte le nostre esperienze vengono viste come il prodotto di queste immagini introiettate, ma a nostra volta siamo in grado di dare un piccolo contributo alla storia del mondo.
Anche questo concetto è inserito abilmente nel gameplay di Persona 5: infatti, oltre i palazzi dei boss a cui ruberemo l’origine del loro desiderio distorto, potremo esplorare la zona del Mementos che è sostanzialmente… una metropolitana! Infatti, per muoverci velocemente disporremo di un gatto-bus (in riferimento a Totoro di Miyazaki) che sarà in grado di scendere sempre di più, fino al nucleo della Terra, dove alla fine troveremo il vero “colpevole” delle nostre disavventure.
Oltre la prospettiva junghiana, il parere della collettività, ossia l’opinione pubblica, avrà un ruolo determinante, non solo nella trama e nell’umore dei protagonisti ma sull’avanzamento verso la fine del Mementos stesso. Come a dire: per capire la società stessa, dovete farne parte, essere presenti nella coscienza delle persone. Ed in maniera piuttosto realistica, i Phantom Thieves avranno i loro momenti di gloria, diventando gli idoli dei giapponesi con tanto di merchandising, per poi essere denigrati al primo errore. Ma non temete, saprete risolvere tutto.

Cultura Pop e citazioni; la grande protagonista
I vari riferimenti alla cultura pop saranno quindi presenti, così come lo sono ormai nella psiche degli individui: citazioni a Miyazaki, a Star Wars o a Indiana Jones non mancheranno. Ma saranno rappresentate anche alcuni fenomeni puramente giapponesi quali i maid-café, le sale arcade ed il karaoke.
Inoltre, avranno un ruolo centrale l’ipocrita filia per gli stranieri e il sistema scolastico: come è prevedibile per il Giappone, la maggioranza delle vicende si svolge all’interno di un liceo, dove ipocrisia, ricatti e aspettative altissime sono nella norma.
Insomma, la Atlus non ci va piano, narrando l’effettivo contesto in cui questi ragazzi vivono, dentro e fuori le mura scolastiche. Infatti, si parlerà anche di Yakuza e bande giovanili che governano la Tokyo, senza aver troppo bisogno di nascondersi.
Si potrebbe dire che alla fine dei conti, la vera protagonista risulta essere Tokyo, che è resa in maniera impeccabile, anche a livello di atmosfera che si respira: salary-men che occupano la metropolitana, ubriachi per le strade notturne, pubblicità sgargiante, indifferenza.
Per fortuna, questo titolo lascia trasparire una luce in fondo al tunnel: i legami, la partecipazione attiva, la capacità di lottare contro pregiudizi e status-quo sono proposti come possibile via di fuga da una società opprimente e grigia, narrata senza sconti.