VR e Psicologia: una convivenza possibile?

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Quando pensiamo alla Realtà Virtuale, molto probabilmente ci viene in mente l’attuale sistema sofisticato che si è elaborato negli ultimissimi anni e che sta conquistando la sua fetta di mercato nel mondo videoludico.
In realtà la prima apparizione di questa tecnologia avvenne nel 1962 quando Morton Heilig, un regista statunitense, offrì la sua idea visionaria di un cinema che coinvolgesse più sensi, oltre a quello visivo, per una totale immersione dello spettatore nell’opera: questa sua visione prese il nome di Sensorama.
Ivan Sutherland fu il primo a progettare e costruire, nel 1968, il “tradizionale” visore per la Realtà Virtuale: tale apparecchio era così pesante da indossare da dover essere appeso al soffitto e la grafica era costituita da semplici stanze in wireframe. L’aspetto di quel dispositivo ne ispirò il nome, La Spada di Damocle.

A sinistra, una locandina del Sensorama, il primo tentativo di proporre la realtà virtuale (1962)
A destra, il primo modello di visore VR, progettato da Sutherland (1968)

Questo tipo di tecnologia permette un’esperienza immersiva del soggetto in un “altro” mondo dove è possibile manipolare l’ambiente e le caratteristiche al suo interno, concetto che sicuramente non può che allettare i ricercatori. Già nel 1890 William James, padre della psicologia, affermava nella sua opera “Principi di Psicologia” come la realtà rappresenti solo uno dei nostri stati di coscienza. Non a caso, molti studi attuali in campo neuroscientifico si concentrano sullo studio della coscienza e della percezione mediante tale tipo di tecnologia. Ad esempio Seth e colleghi hanno sfruttato il visore per studiare la capacità del cervello di prevedere alcuni tipi di segnali sensoriali, tramite la manipolazione di oggetti virtuali che potevano avere proprietà fisiche congruenti o meno con le aspettative. (Video)
Un altro interessante studio condotto da Seth ha investigato l’effetto delle allucinazioni e del loro impatto neurocognitivo nel soggetto (senza dover ricorrere all’uso di farmaci psichedelici, cosa che l’autore aveva fatto in passato!). https://www.youtube.com/watch?time_continue=10&v=D9Hy50TdsRE&feature=emb_logo

Nell’esperimento di Seth e Suzuki, si è utilizzata la Realtà Virtuale per studiare gli effetti delle allucinazioni

Da un punto di vista terapeutico, la VR ha già riscontrato parecchi risultati in diversi disturbi in campo psichiatrico, psicoterapeutico e psicologico ed è già stato coniato un termine per questa innovativa forma di terapia: Cybertherapy.

Il trattamento col visore nei casi di fobie, disturbi d’ansia e attacchi di panico permette di sottoporre il paziente a stimoli fobici e/o ansiosi, che possono generare risposte non adattive e, mediante il flooding cognitivo-comportamentale, lo si stimola ad affrontare la situazione ansiogena con una serie di step in modo tale da avviare un processo di desensibilizzazione allo stimolo e una promozione di risposte adattive.

Per quanto riguarda il disturbo depressivo, sono stati condotti alcuni interessanti studi presso l’University College of London e l’ICREA-Università di Barcellona: i partecipanti era introdotti nella realtà virtuale dove, col loro avatar, dovevano consolare un bambino triste. Nella fase successiva dell’esperimento, il partecipante si ritrovava nei panni del bambino e ascoltava il proprio avatar (quindi sè stesso) consolarlo.

Un ulteriore esempio che sfrutta questa tecnologia è la terapia ad esposizione graduale per trattare il PTSD (disturbo post traumatico da stress) dove si vogliono esaminare le emozioni del soggetto quando viene chiesto di richiamare in memoria il ricordo traumatico; il supporto della realtà virtuale permetterebbe una maggior immersione nella situazione e visualizzazione dell’esperienza traumatica.

Insomma esistono già moltissimi studi che hanno mostrato risultati evidenti sull’utilizzo della realtà virtuale in campo psicologico, sia per quanto riguarda la ricerca in ambito neurocognitivo che l’applicazione nei diversi tipi di terapia. Altri suggerimenti che sono stati avanzati sono il suo supporto per il mantenimento della salute mentale nelle carceri, il controllo della gestione del dolore, il training autogeno (con riferimento anche alla Mindfulness) o la riabilitazione emozionale delle persone con Disturbo dello Spettro Autistico.

 

Fonti:

Giuseppe Riva, Brenda K. Wiederhold, and Fabrizia Mantovani (2019). Neuroscience of Virtual Reality: From Virtual Exposure to Embodied Medicine. Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking Vol. 22, No. 1

https://www.visualpro360.it/2017/08/29/6413/

https://www.valeriorosso.com/2016/12/10/realta-virtuale-psichiatria-psicologia-psicoterapia/

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