“Conoscere il nuovo mette alla prova, costringe al confronto con un dato di realtà, interno ed esterno a noi, che espone alla crisi, interrompendo una certezza e misurando noi stessi nella capacità affettiva e cognitiva di tenere un conflitto ed evolverlo creativamente”. (Carla Weber)
I videogiochi hanno da sempre creato un acceso dibattito, tra coloro che sostengono l’utilità socio-psicologica e la valenza artistica come prodotti mediali, e tra coloro i quali sono fermamente convinti della loro dannosità soprattutto per i più giovani. All’interno di questa spinosa questione un ruolo pressoché fondamentale ai giorni nostri è giocato dai media di informazione di massa. La narrazione riguardo ai videogiochi che prevalentemente vediamo nei programmi televisivi, nei telegiornali e nei giornali non specializzati in questo settore specifico è caratterizzata molto spesso da una demonizzazione e da una degradazione del videogioco a un mero passatempo, meccanico, superficiale paragonato a qualcosa di infantile.
In questo articolo vorrei indagare il fenomeno da una prospettiva prettamente sociologica e parzialmente psicologica, buona lettura!
I media e il meccanismo della paura
Quando televisione, cinema e radio fecero il loro ingresso nella società del ‘900 furono oggetto di ampie controversie. Le potenzialità e gli effetti ancora sconosciuti e inesplorati di cui questi new media erano portatori suscitavano nelle società timori : coloro i quali vedevano questi nuovi media come potenzialmente distruttivi, in grado di manipolare gli individui, i loro pensieri e atteggiamenti (tra i sostenitori di questa tesi troviamo i sociologi della Scuola di Francoforte ad esempio). Questo tipo di correlazione è valsa anche per l’ingresso dei videogiochi nella società.
“(…) si tratta della reazione immediata alla presenza del diverso, dello sconosciuto, che l’essere umano manifesta nel momento in cui la diversità sconvolge l’esperienza intervenendo sia sulla sensorialità che sulle abitudini radicate nel quotidiano degli individui” (Jodelet).
I media tradizionali hanno la tendenza ad associare videogiochi e propensione al crimine/bullismo: associazione che si basa sul presupposto secondo cui i videogiochi influenzerebbero negativamente la psiche di soggetti considerati più vulnerabili, spingendoli ad emulare comportamenti visti e appresi all’interno dei giochi (specie a giochi come Grand Theft Auto). Questa associazione tra giochi considerati violenti (indirizzati molto spesso ad un pubblico maggiorenne) e comportamenti devianti (e potenzialmente criminali) è il nocciolo attorno cui si è concentrata prevalentemente l’analisi mediatica, relazionando la fruizione di simili giochi ad episodi di cronaca nera. Tale correlazione non tiene in realtà conto di molte altre variabili psicologiche e sociali che hanno un ruolo fondamenale nell’orientare i comportamenti di una persona. Queste correlazioni incorrette insieme all’assenza di esperienza diretta servono ad innescare di proposito nelle persone, principalmente adulti, la paura verso questo universo a loro sconosciuto, che si traduce in una svalutazione dei videogame e di un atteggiamento repressivo o di negazione verso i giovani: non si cerca di comprendere attraverso l’ascolto e la conoscenza da fonti più autorevoli, ma in molti casi ci si limita ad una pseudo-comprensione mediata da fonti non attendibili e soprattutto non scientifiche. Un approccio segnato proprio dal fatto che gli adulti non hanno molto spesso esperienze dirette o sono scettici a provarle, mettendo così in dubbio i loro presupposti.

Gradualmente, con il passare del tempo e con l’evoluzione che i videogiochi hanno avuto, sono cambiate anche i punti di vista sulla questione. Da ricerche scientifiche che miravano a dimostrare la dannosità per la salute dovuta all’utilizzo di questi, si è passati a ricerche volte ad indagare quali fossero gli effetti positivi sulla persona e sull’apprendimento.
Il valore dell’esperienza diretta nella comprensione del fenomeno videoludico
Anche se ultimamente qualcosa sta cambiando, le spiegazioni predominanti di senso comune sul fenomeno videoludico restano ancorate alla lettura di questo fenomeno in relazione ai tradizionali mezzi di comunicazione. Giornalisti, pubblicisti e divulgatori non hanno spesso mai avuto un’esperienza diretta libera da pregiudizi: l’esperienza diretta in questo caso ha valore nella misura in cui le persone sono in grado di mettere in discussione i loro presupposti cognitivi, abbandonando le prospettive catastrofiche sul tema dei videogiochi. Questo si traduce in una consapevolezza critica sulla tematica, su una conoscenza che permetta di leggere il fenomeno in chiave oggettivo-scientifica riconoscendo ai videogiochi l’utilità sociale e relazionale che è stata loro riconosciuta.
