Quanto ti amo: breve storia di una dipendenza

Facebook
Twitter
LinkedIn

Durante un colloquio psicologico un paziente mi disse di avere scoperto da poco un videogioco per smartphone e di esserne stato totalmente assorbito.
L’app in questione consiste in uno sparatutto a stampo zombie. Nello specifico il nostro avatar deve difendersi da un numero sempre crescente di nemici, dietro ad una barricata da lui costruita.
Capacità messe in campo: riflessi, precisione, una buona scelta di armi e dimestichezza nel crafting.
Sta di fatto che il nostro paziente sviluppò una vera e propria dipendenza da questo innocuo “giochino”. Ore intere trascorse a eliminare zombie. Ma la cosa più sorprendente era che la maggior parte del tempo era dedicata alla visione di video pubblicitari!
Per quale motivo? Beh, presto detto. La pubblicità dà al giocatore la possibilità di ottenere denaro extra, grazie al quale comprare armi e oggetti per la costruzione delle proprie difese.

 

 

Nell’immediato, la spiegazione che potrebbe sovvenire è il desiderio di migliorare sempre di più e di superare quanti più livelli possibili. Esattamente!
Se non fosse che il nostro paziente abbandonò completamente il gioco nell’arco di due settimane.
Se era veramente dipendente come è possibile che abbia preso la decisione di smettere?
Qualcosa non torna vero?
Mi sono scordato di dire che il paziente in questione aveva una diagnosi di bipolarismo e fu, in passato, fortemente dipendente da cannabis e successivamente da social network, con i quali intratteneva relazioni ambigue a distanza.

 


Il nostro soggetto era passato, nel corso degli anni, da una dipendenza all’altra, cambiando continuamente l’oggetto del piacere, ma non le modalità di entrare in relazione con il suddetto oggetto.
Non dimentichiamoci inoltre della diagnosi di bipolarismo, che porta la persona affetta ad alternare, in maniera ripetitiva, stati di eccessiva euforia a stati fortemente depressivi.
Il videogioco era semplicemente una modalità per sfuggire al proprio umore deflesso, una sorta di palliativo. Un anestetico per quelle emozioni che lo facevano soffrire troppo.
L’obiettivo era diventato migliorare sempre di più, per poter proseguire nei livelli del gioco e riuscire, per quanto possibile, a procrastinare continuamente la possibilità di un sentire la propria emotività.
Si può parlare di dipendenza? Certamente. Il gioco è stato la causa della sofferenza? Probabilmente se non avesse avuto la possibilità di avvicinarsi a questa app, avrebbe trovato altri escamotage per evitare il dolore. Magari ritornando alla cannabis o sviluppando dipendenze ben più pericolose.
Ciò che lo ha aiutato in tutto questo è stato il lavoro psicologico e avere l’opportunità di riflettere sulla propria condotta e sulla nascita di questi stili comportamentali disfunzionali.

More to explorer

Siamo diventati dipendenti? Gaming in pandemia

 Gaming in pandemia, troppo o problematico? Da più di un anno la diffusione del COVID-19 ci ha portato a spostarci di meno e a ridurre i contatti con le altre persone. Abbiamo passato sempre più tempo in casa che spesso

È corretto parlare di dipendenza da videogiochi?

Nel 2018 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rese nota l’intenzione di riconoscere l’uso incontrollato dei videogiochi come un disturbo specifico, definito “gaming disorder” ma noto in Italia come “dipendenza da videogiochi”. Si potrebbe obiettare che la traduzione in voga nel

Il Flow online e la dipendenza da videogiochi: c’è un legame?

Il piacere che proviamo giocando al nostro videogame preferito ci fa perdere spesso la cognizione del tempo e di ciò che ci circonda, poiché dirigiamo attenzione e sforzi verso un’attività per noi spontanea, motivante e che padroneggiamo al meglio di

Scrivi un commento

Questo sito utilizza i cookies per migliorare l'esperienza d'uso dell'utente. Proseguendo nella navigazione dichiari di aver letto e accettato i termini e le condizioni di utilizzo, per maggiori informazioni a riguardo clicca

QUI