Il potere di alcuni titoli di far piangere i videogiocatori è considerato da molti produttori il “Sacro Graal” del game design.
Nel corso della loro storia, i videogiochi hanno offerto al pubblico momenti di profonda emotività, spaziando dall’euforia alla tristezza. Tanto che, per gli amanti del settore, non sarà difficile rievocare alcuni momenti strappalacrime vissuti davanti al monitor. Sequenze, colpi di scena, ma anche semplici dettagli all’apparenza secondari, incrociati quasi per caso durante fasi esplorative. Racconti frammentati, note confuse scritte su un diario abbandonato, poche righe di dialogo con personaggi secondari, ricordi e flashback… come pezzi di un mosaico abilmente costruito per donare più credibilità e profondità al mondo di gioco.

Titoli come To the Moon, The Last of Us o Heavy Rain sono esempi magistrali di come il game design possa dare vita ad un nucleo narrativo intriso di emotività. Pensiamo alla sequenza iniziale di Joel e Sarah o a quella di Ethan e Jason, in cui il rapporto padre-figlio viene usato come elemento centrale per definire il carattere del gioco, oltre al futuro sviluppo psicologico dei personaggi.
O ancora Life Is Strange; Metal Gear Solid o Final Fantasy VII, il cui remake ci darà l’opportunità di rivivere nuovamente QUEL momento (come se non fosse già impresso a fuoco nella nostra memoria).

Questi e altri titoli ci dimostrano che ogni esperienza videoludica può portarci a prendere decisioni difficili, a condividere i drammi dei protagonisti e, inevitabilmente, a soffrire.
Tuttavia, prima di analizzare i legami fra game design e tristezza, è necessario fare un passo indietro poiché, ad oggi, il pianto emozionale rimane uno dei misteri del corpo umano più contraddittori.
LA PSICOLOGIA DEL PIANTO
Mentre si ritiene che alcune specie versino lacrime come risultato di un riflesso al dolore o irritazione, gli umani sono le sole creature le cui lacrime possono essere provocate dai propri sentimenti.
Nei bambini, le lacrime hanno il ruolo cruciale di richiamare l’attenzione e la cura da parte delle figure d’accudimento (Trimble, 2012). Ma che dire degli adulti?
Vingerhoets e colleghi sostengono che il pianto non sia soltanto un sintomo di tristezza, ma il risultato di una più ampia gamma di sentimenti, che vanno dall’empatia e dalla sorpresa alla rabbia e all’afflizione (Vingerhoets et al, 2009), intuizione centrale nel pensiero della psicologia del pianto.

Molte sono le teorie che si sono susseguite nel corso degli anni, tutte alimentate dalla medesima necessità: scoprire perché piangiamo.
Una di queste sostiene che le lacrime inneschino il legame sociale tra gli individui e la connessione umana.
Mentre la maggior parte degli animali nasce completamente formata, infatti, gli uomini vengono al mondo vulnerabili e inadatti per affrontare da soli le sfide presenti nell’ambiente; “Il pianto segnala a sé stessi o ad altre persone che c’è qualche importante problema che è almeno temporaneamente oltre la propria abilità di affrontarlo” (Rottenberg, 2012).
L’EMPATIA È LA CHIAVE
È certamente possibile Incontrare titoli che ci commuovono. Ma quali sono gli strumenti necessari per raggiungere una tale profondità emotiva?
La parola chiave è “Empatia”, ovvero la capacità di comprendere lo stato d’animo altrui, sia che si tratti di gioia, che di dolore.

In campo medico, questo concetto è sempre stato ritenuto di carattere esclusivamente psicologico, fino a quando un’equipe dell’Università di Parma ha scoperto l’esistenza dei neuroni specchio, che fungono da organo biologico per le funzioni empatiche.
In particolare, i neuroni specchio sono una classe di neuroni motori che si attiva involontariamente sia quando un individuo esegue un’azione finalizzata, sia quando osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto.
Se interpretiamo quello che vediamo e sentiamo nelle sequenze animate in termini di intenzionalità, quindi, finiamo per sentire quell’intenzionalità.

IL CORPO TECNOLOGICO
Se è vero che possiamo sentire le esperienze dei personaggi dei videogiochi grazie al sistema di neuroni specchio, allora ci sono diversi strumenti che possono essere utilizzati per alimentare la nostra esperienza empatica, primo fra tutti il controller.
Le ricerche scientifiche mostrano che le aree del cervello legate all’attività senso-motoria rispondono al controller come se fosse un’estensione del nostro braccio o della nostra mano. Questo strumento, quindi, ci consente di fare esperienza del mondo virtuale, estendendo la nostra rappresentazione corporea.

Accanto a ciò, il personaggio con cui giochiamo diventa lo “strumento” con cui facciamo esperienza del mondo virtuale in maniera diretta, con cui corriamo, ci spaventiamo, parliamo e viviamo drammi.
I momenti tragici presenti in alcuni videogiochi, quindi, non sono qualcosa a cui assistiamo passivamente, ma qualcosa che viviamo e sentiamo tramite i nostri personaggi.

Cosa ne pensate? Ci sono giochi che vi hanno strappato qualche lacrima?
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
- Trimble, M. (2012). Why humans like to cry: The evolutionary origins of tragedy.
- Rottenberg, J., Vingerhoets, A.J.J.M. (2012). Crying: Call for a Lifespan Approach. Social and Personality Psychology Compass, 6, 217-227.
- Vingerhoets, A. J. J. M., Bylsma, L., Rottenberg, J., & Fögen, T. (2009). Crying: A biopsychosocial phenomenon. Tears in the Graeco-Roman world, 439-475.
Un commento
Ho appena finito the last of US 2 e hobpianto due volte in due giorni e sono giù di morale pensando al gioco e a quando ne uscirà uno nuovo e per come mi ha colpito emotivamente e per il pugno nello stomaco che mi ha dato a fine storia piangere e l’unico modo per sfogarsi