Ci sono 5 persone sui binari e un treno in arrivo…
Probabilmente molti di voi sanno già dove va a parare un incipit del genere. Trattasi del trolley problem, il dilemma del carrello ferroviario, del tram o treno che dir si voglia. È un esercizio di filosofia morale del 1967, ideato da Philippa Foot e diventato celebre nel corso degli anni grazie anche alle molteplici varianti sul tema (qualcuno ha detto uomo grasso?) e, più recentemente, i meme.

Dilemmi morali+filosofia+meme, che combo
Il dilemma originale è molto crudele e diretto, nella sua semplicità: un treno impazzito, senza possibilità di fermarsi, si dirige verso 5 persone che sono bloccate sui binari. Abbiamo la possibilità di tirare una leva per azionare uno scambio, che porterebbe il treno su un altro binario dove è bloccata una persona. Quindi, se non facciamo nulla 5 persone rimarrebbero uccise, se decidessimo di agire ci renderemmo responsabili della morte di una persona.

La versione originale, senza memini
Presentato questo scenario, la maggior parte delle persone decide di tirare la leva, prendendosi la responsabilità della scelta e facendo quindi una decisione utilitaristica, la vita di uno per salvarne cinque. Sembra la decisione logica e facile messa in questi termini, grazie anche alla completa mancanza di contesto del problema. Altre rielaborazioni infatti cercando di cambiare un po’ le carte in tavola, avvicinando il decisore al problema o inserendo informazioni che possono spostare l’ago della bilancia. Vi comportereste alla stessa maniera se sul primo binario ci fossero 5 sconosciuti e sul secondo binario ci fosse un membro della vostra famiglia?
In ogni caso, quello che manca a qualsiasi variante di questo dilemma è la concretezza dell’azione. Cosa fareste se vi trovaste DAVVERO in quella situazione? Fareste comunque la decisione utilitaristica di salvare 5 persone oppure la paura di scegliere vi bloccherebbe? In un contesto reale il tempo non è infinito e la decisione va presa in fretta, tanto per cominciare. Inoltre, a meno di essere dei pazzi criminali, è difficile imbastire questo dilemma nella realtà per vedere come rispondono le persone, viste le conseguenze per i partecipanti.
Da qui l’idea di farci aiutare dalla realtà virtuale. Nonostante le persone siano ben consapevoli di essere in un contesto fittizio, tendono ad agire come se la situazione fosse reale, soprattutto in realtà virtuale immersiva.
Pan (University College London) e Slater (University of Barcelona) nel 2011, tentano uno studio pilota applicando la realtà virtuale ai dilemmi morali, variando leggermente sul tema del trolley problem, pur mantenendone l’impalcatura originale; questo per evitare che i partecipanti avessero già familiarità con il dilemma. Decidono di creare uno scenario in una galleria d’arte in cui il partecipante opera un ascensore. Preme un tasto per portare dei visitatori dal piano terra al primo piano, per prendere familiarità con i controlli (un tasto per far salire l’ascensore e uno per portare i visitatori in posizione), finché si avvia la situazione sperimentale: uno dei visitatori, ancora sull’ascensore, estrae un’arma e comincia a sparare. Se il partecipante non agisce, le 5 persone al primo piano moriranno, mentre se decide di riportare l’ascensore e l’aggressore al piano terra a rimetterci la vita sarà l’unico visitatore presente. Stesso schema, diversa presentazione. Una seconda condizione prevedeva una disposizione inversa, ossia 5 persone al piano terra e una al primo piano: in questo caso l’azione del partecipante avrebbe messo in pericolo le 5 persone al piano terra. Questo esperimento è stato condotto in realtà virtuale immersiva (tramite VR cave e non un visore, come mostrato nella foto qui sotto) e non immersiva (seduto al computer con l’azione a schermo: come un normale videogioco). Inoltre, è stato distribuito online anche un questionario, in modo da confrontare le risposte dei partecipanti in realtà virtuale con quelle di metodi classici.
Quello che emerge da questo primo studio è che le risposte in entrambe le situazioni di realtà virtuale vengono date compiendo errori di fretta o panico, misurati dal numero di volte che i tasti venivano premuti: ad esempio alcune persone premevano in tasto per portare l’aggressore in posizione per poi cercare di correggere l’errore e spostare l’ascensore al piano terra. Si nota inoltre una differenza nelle risposte, l’89% dei partecipanti alla condizione VR cave prendeva una decisione utilitaristica, rispetto al 67% della condizione non immersiva e al 78% del questionario.

Un partecipante nella VR Cave
I ricercatori concludono che la realtà virtuale è un buon mezzo per condurre ricerche sulla moralità, ma ci sono vari elementi del setting sperimentale che potrebbero essere migliorati; andiamo quindi a vedere cos’hanno fatto nel 2014 in terra nostrana Patil, Cogoni, Silani della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste e Zangrando e Chittaro dell’Human Computer Interaction Lab di Udine.
Innanzitutto, se lo studio precedente prevedeva 3 gruppi diversi, uno in realtà virtuale immersiva, uno in realtà virtuale non immersiva e uno per il questionario (quindi una condizione between subjects), questo studio chiede agli stessi partecipanti di completare sia uno scenario in realtà virtuale non immersiva che il questionario (condizione within subjects). L’ordine in cui veniva chiesto di completare le situazioni variava di partecipante in partecipante, con una parte che compilava prima il questionario e un’altra lo scenario in realtà virtuale; in media sono passati 100 giorni tra una condizione e l’altra, per evitare che le decisioni fatte in una venissero riportate immediatamente nell’altra.
Lo scenario costruito è molto più vicino al trolley problem originale rispetto a quello della galleria d’arte del precedente studio: il partecipante, tramite un Nunchuck Nintendo, controllava la direzione di uno scambio ferroviario e doveva decidere se non agire e lasciare che il treno investisse le 5 persone sui binari, o attivare lo scambio e sacrificare i due che si trovavano sull’altro binario. Lo scenario durava 18 secondi, durante 10 dei quali si poteva effettuare la propria scelta, mentre nei restanti 8 i partecipanti assistevano all’esito, potendo vedere le persone colpite a terra e sanguinanti, cosa non possibile nel questionario testuale.
Un nuovo parametro considerato in questo studio è la conduttanza cutanea, cioè la registrazione del cambiamento delle caratteristiche elettriche della pelle dovuta alla sudorazione. Questo perché è un indicatore delle reazioni emotive e dello stato mentale della persona implicito, molto utile per individuare stati come lo stress.
Potete leggere più dettagli sulle condizioni sperimentali e sulla struttura delle prove nei link agli studi originali a fine articolo, ma per brevità non elencherò ogni singola variabile considerata.
Passando direttamente ai risultati, per prima cosa si è notato un effetto d’ordine nelle risposte: partecipanti che prima avevano risposto al questionario e poi in seconda sessione avevano provato lo scenario in realtà virtuale variavano le loro risposte. Durante lo scenario infatti mostravano risposte più utilitaristiche di quanto dichiarassero nel questionario, scegliendo più spesso di sacrificare 2 persone per salvarne 5, quando nel questionario era ritenuta una scelta immorale. Questa differenza non era presente se l’ordine per il partecipante era realtà virtuale prima e questionario dopo. Per dare una spiegazione al fenomeno può essere d’aiuto la conduttanza cutanea: si evidenzia infatti che questa risulta alta solo nelle condizioni di realtà virtuale e non nel questionario, suggerendo che ci sia un maggior conflitto cognitivo nel momento di prendere la decisione in realtà virtuale, complice il fatto che in questa condizione il partecipante vede le cruente conseguenze delle proprie azioni.

Il cerchio rosso indica l’ultimo punto utile in cui scegliere il binario
Quindi, anche in questo studio possiamo vedere che la realtà virtuale può essere un buon mezzo per portare i dilemmi morali ad un passo successivo: ovviamente pensare che questi risultati siano 1:1 con quanto accadrebbe in una situazione reale è eccessivo, ma dimostrano che la realtà virtuale (immersiva o meno che sia) è un contesto percepito dalle persone come fondamentalmente diverso rispetto alla situazione teorica ed astratta. Ma come si dice, tra il dire e il fare… c’è di mezzo la realtà virtuale. E se applicata correttamente si conferma come utile strumento di studio.
Bibliografia
Pan, Xueni & Slater, Mel. (2011). Confronting a Moral Dilemma in Virtual Reality: A Pilot Study. Proceedings of the 25th BCS Conference on Human-Computer Interaction. 46-51. 10.14236/ewic/HCI2011.26.
Patil I., Cogoni C., Zangrando N., Chittaro L., Silani G. Affective basis of Judgment-Behavior Discrepancy in Virtual Experiences of Moral Dilemmas, Social Neuroscience, 9(1), 2014, pp. 989–993