Non sempre i videogiochi sono stati alleati di una corretta informazione sui disturbi mentali. Si tratta di un tema che Horizon Psytech ha già sviluppato in un webinar qualche mese fa, dal titolo “Rappresentazione delle psicopatologie nei videogiochi. I personaggi dei videogame e i loro disturbi mentali” (per vedere questo webinar, clicca qui: https://www.youtube.com/watch?v=pemlTTbQiV0).
In questa occasione abbiamo illustrato come talvolta alcune psicopatologie sono state dipinte dai videogame in modo stereotipato e non pertinente – come già succede spesso nei film hollywoodiani. Sembra infatti molto in voga la rappresentazione del “maniaco omicida” tra i nemici di turno, ovvero quegli antagonisti che trovano nella follia la motivazione per un comportamento violento; ne sono un esempio il dottor Steinman e l’eclettico Sandor Cohen, di Bioshock, ma anche Vaas Montenegro, di Far Cry 3, e Trevor Philips, di Grand Theft Auto 5.

Il dott. Steinman, di Bioshock, è il tipico “maniaco omicida” che si vede spesso in film e vari videogiochi.
Dov’è la stereotipia? Nel fatto che si fa passare l’idea che chi soffre di disturbi mentali può essere incline ad azioni violente contro il prossimo e rappresentare un pericolo; in realtà, meno del 5% di queste persone tende a comportarsi così, mentre, piuttosto, è vero il contrario, cioè che questi soggetti tendono maggiormente ad essere vittima di violenza [1].
Se è vero che certe rappresentazioni del disagio mentale non aiutano a ridurre gli stereotipi che circondano chi ne soffre, è pregevole la diffusione in commercio di molti videogiochi che annoverano personaggi con psicopatologie raffigurate realisticamente, i quali permettono di avvicinarsi a questi temi con sensibilità, promuovendone accettazione e comprensione. Tra questi citiamo Life Is Strange, Heavy Rain, Hellblade: Senua’s Sacrifice, e Celeste (per saperne di più, clicca qui: https://www.horizonpsytech.com/2020/05/20/5-personaggi-dei-videogiochi-con-un-disturbo-mentale-realistico/).
È proprio in questa lista di videogame che si inserisce Who am I: The Tale of Dorothy, una visual novel realizzata da Onaemo Studio, in cui l’obiettivo è la presa in carico di una “paziente” che soffre di Disturbo dissociativo dell’identità: l’obiettivo del giocatore sarà quello di integrare le personalità multiple che assillano la vita di Dorothy, una ragazza di 14 anni, protagonista del gioco.

Who am I? è forse il primo gioco a raffigurare realisticamente il Disturbo dissociativo dell’identità.
Il Disturbo dissociativo dell’identità (DDI) è descritto dal DSM-5 (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione) come un disturbo caratterizzato da una disgregazione dell’identità, in cui possono essere presenti due o più stati di personalità distinti.
Questa condizione comporta una forte discontinuità nel senso di sé e della consapevolezza di quanto compiuto. Sono presenti anche alterazioni del comportamento, dell’umore e di alcune funzioni cognitive, oltre ad alcuni stati di amnesia [2]. Il DDI è stato concettualizzato solo in anni recenti ed è prevalentemente noto al grande pubblico a causa di una sua “spettacolarizzazione” cinematografica – lontana dalla realtà – in vari film di successo, che hanno contribuito a stereotiparlo (Split vi dice nulla?). Alcune raffigurazioni del DDI si trovano anche in videogiochi come Clock Tower: Ghost Head, Killer 7, e Manhunt 2. In tutti questi casi, lo sviluppo di un alter-ego violento è raffigurato come conseguenza del DDI, ma scientificamente parlando lo sviluppo di comportamenti violenti in chi soffre di tale patologia è piuttosto basso.

Il noto film “Split” è un esempio di come una persona con DDI venga vista nel senso comune: instabile e potenzialmente pericoloso.
Nel caso di Who am I: The Tale of Dorothy, abbiamo a che fare con una raffigurazione del DDI a tratti veramente realistica, come fanno notare Santoro, Costanzo e Schimmenti in una loro dettagliata analisi pubblicata nel 2019 [3].
Il gioco fa esplorare l’esperienza interiore di una persona affetta da DDI e pone al giocatore l’obiettivo di reintegrare quegli aspetti di sé dissociati in seguito ad eventi traumatici. Dovremo metterci all’ascolto di Dorothy, ragazza orfana di 14 anni che vive con la famiglia adottiva. Dorothy ha avuto un passato difficile, con genitori freddi e insensibili alle sue esigenze di bambina, vivendo una situazione familiare violenta, culminata con la morte della madre per mano del padre. Segue poi la permanenza in orfanotrofio, con tanti pensieri di inadeguatezza e timore di essere abbandonata dagli adulti di riferimento e rifiutata dai compagni. In seguito a queste esperienze traumatiche, gli aspetti frammentati dell’identità di Dorothy hanno costituito tre personalità differenti:
- Alice, una ragazzina di sei anni che vive in un mondo di fantasia, identità generata nell’infanzia di Dorothy nel tentativo di ammortizzare i continui soprusi psicologici che subiva nella famiglia biologica.
- Gretel, una ragazza scontrosa con gli adulti di riferimento e con la tendenza ad arrabbiarsi in maniera esplosiva, creata dall’inconscio di Dorothy dopo aver assistito, all’età di 7 anni, alla morte violenta della madre.
- Cindy, una personalità gioiosa ed espansiva modellata seguendo le caratteristiche di un’amica che Dorothy aveva conosciuto in orfanotrofio, probabilmente per gestire lo stress di aver perso i genitori e l’angoscia abbandonica.

Lo stesso evento visto da occhi diversi, in questo caso da Gretel, altra personalità di Dorothy.
Incontreremo Dorothy ogni settimana e dovremo ascoltarla, praticando una talking cure: lei ci racconterà gli eventi più importanti che le sono accaduti durante la settimana, e, alla fine del racconto, il giocatore sceglierà una delle quattro personalità a disposizione, che discuterà l’evento dalla sua particolare prospettiva, offrendo un punto di vista specifico. Finita la nuova descrizione dell’evento, dovremo scegliere una risposta dalle tre date a disposizione: la combinazione tra quanto raccontato e la risposta scelta dal giocatore determineranno il livello di stress di quella personalità: minore lo stress, più alta sarà la probabilità di integrarla nel Sé di Dorothy, migliorando anche il suo senso di sicurezza e i conflitti interiori. Il gioco conduce a sei finali diversi, alla fine dei quali il giocatore sbloccherà una card che racconterà cosa è successo a Dorothy dopo i titoli di coda. I finali più lieti si sbloccano raggiungendo dei livelli di stress ottimali, cosa che se non avvenisse aprirebbe le porte a varie conclusioni tragiche.
Who am I descrive molte caratteristiche del DDI con accuratezza, senza connotazioni negative o stigmatizzanti. Rifacendosi prevalentemente alle teorie del trauma come causa scatenante del disturbo, il gioco mostra come una bambina può escludere dalla coscienza alcune memorie traumatiche, per ristrutturarle e organizzarle in forma di identità dissociate, pronte ad emergere in caso di necessità per impedire che un trauma venga rivissuto, attivate da specifici “trigger”.
La gestione del livello di stress negativo come obiettivo del gameplay permette di capire come l’integrazione delle identità dissociate sia possibile per queste persone solo se emotivamente stabilizzate.
Questo videogioco, a tratti romanzato, non è esente da imprecisioni, dunque è lontano dall’essere un simulatore di psicoterapia per pazienti che soffrono di DDI, ma certamente può offrire vari spunti di riflessione. Potrebbe essere una buona risorsa in ambito educativo, soprattutto perché potrebbe portare a comprendere meglio, attraverso una storia emozionante, una categoria di pazienti che non ha quasi mai ricevuto dai nuovi media una raffigurazione realistica della loro condizione di vita.
Fonti
[1] Shapiro, S., & Rotter, M. (2016). Graphic Depictions: Portrayals of Mental Illness in Video Games, Journal of Forensic Sciences, Vol. 61 (6), 1592-1595.
[2] American Psychiatric Association (2014), Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, quinta edizione, DSM-5. Raffaello Cortina Editore, Milano.
[3] Santoro, G., Costanzo, A., Schimmenti, A. (2019), Playing with identities: the representation of dissociative identity disorder in the videogame “Who am I?”, Mediterranean Journal of Clinical Psychology, Vol. 7, 1.