Avete mai sentito parlare di uncanny valley? In italiano prende il nome di “valle perturbante” ed è un fenomeno psicologico introdotto dallo scienziato giapponese esperto in robotica Masahiro Mori, nel 1970. Indica una sensazione di disagio mista a disgusto che proviamo alla vista di un umanoide, in poche parole: il nostro cervello lo identifica come umano, ma non troppo umano.
Secondo Mori, la vista di un robottino antropomorfo (come Asimo, il robot di Honda andato “in pensione” nel 2018) ci suscita curiosità e familiarità per via del suo aspetto che va ad imitare quello degli esseri umani, grazie alla sua forma vagamente minuta che ricorda un robot dei film d’animazione. L’apice di tale piacevolezza viene interrotta bruscamente dalla cosiddetta valle perturbante, un bias cognitivo che ci desta sensazioni spiacevoli di repulsione e disagio alla vista di cadaveri, zombie e androidi o umani riprodotti in CGI.
Come si può osservare nel grafico presentato da Mori nel suo studio, la linea della valle perturbante tocca il fondo con l’immagine abominevole dei morti viventi per poi risalire dal basso fino a ristabilizzarsi alla vista di protesi che riproducono parti del corpo umano, al livello più alto ci sono le marionette giapponesi bunraku o le comuni bambole e, infine, estremo senso di familiarità che si prova alla vista di un essere umano.
Prima del saggio di Masahiro Mori, il perturbante fu studiato dallo psichiatra tedesco Ernst Jentsch nel 1906. Nel suo saggio “Riguardo la psicologia del perturbante”, egli parte dalla parola tedesca “unheimlichen” che significa “non a casa”, “non comodo”, “estraneo”, in contrapposizione con il termine più accomodante heimlich, familiare.
Secondo Jentsch il perturbante è una sensazione di incertezza nata da una diffidenza, da parte del cervello umano, di accogliere ciò che non risulta né familiare, né comprensibile. Questa condizione di ambiguità che sta in un oggetto inanimato che emula il movimento volontario di un essere vivente ci risulta difficile da accettare fino in fondo, regalandoci una sensazione di disagio e incertezza.
Stando alle parole di Jentsch, il perturbante spiega anche la repulsione che proviamo alla vista di un cadavere: ciò è dovuto dall’associazione dell’inanimato ad un corpo che fino a poco tempo prima era vivo e capace di compiere movimenti volontari. Su questa teoria tornò Karl MacDorman nel 2005 sostenendo che il perturbante nasce dall’innata paura della morte e dai pensieri legati alla sua ineluttabilità. Il “Terror Management Theory” introdotto da Pyszczynski, Greenberg e Solomon nasce proprio da una visione nichilista della vita che provoca ansia negli esseri umani che, per soffocare tale inquietudine, vanno alla ricerca di un senso della vita che si trasmuta in simbolismi, valori e religioni.
Secondo MacDorman, l’uncanny valley è parte integrante del nostro istinto di autoconservazione, va contro la ricerca di senso che ci infonde sicurezza. Un robot umanoide minaccia tale sicurezza perché, seppur simile all’umano, è inanimato e quindi più vicino di quanto si crede al concetto di morte.
Stando ad uno studio di Saygin et al. (2012) in cui sono state usate moderne tecniche di risonanza magnetica funzionale (fRMI) con soppressione di ripetizione per evidenziare l’attività celebrale in presenza di stimoli visivi diversi che portano all’uncanny valley. I partecipanti hanno osservato tre diversi video in cui uno mostrava un essere umano, un altro un androide identico nelle fattezze all’essere umano e infine un robot. I risultati hanno evidenziato una risposta emodinamica simile durante la visione del robot e dell’essere umano nei video, ma significativamente intensa durante la visione del video dell’androide. In poche parole, è un caso di predictive coding, nei primi due video (con umano e robot) la corteccia visiva va “a risparmio” avendo già memorizzato esperienze passate, quindi, familiari. Tuttavia, il video dell’androide inganna il cervello umano. Seppur esteticamente simile ad un essere umano, i movimenti innaturali, la sua macchinosità, l’innaturalezza, fanno precipitare tutto nell’uncanny valley. (Conte, 2012)
L’uncanny valley però è un fenomeno che non sempre si verifica. Pensiamo ai videogiochi attuali: la grafica tendente al fotorealismo è un’autentica gioia per gli occhi e per la corretta fruizione dell’esperienza videoludica. Videogiochi come The Last of Us Part II, Red Dead Redemption 2, Detroit: Became Human presentano personaggi convincenti, ben rappresentati e con delle espressioni facciali così particolareggiate che fanno nascere in noi un senso di familiarità ed empatia, cosa che tuttavia non succede in alcuni film in CGI quali Final Fantasy o Polar Express.
Uncanny valley o semplicemente personaggi fatti male?
Secondo uno studio di Kätsyri et al. (2015) l’uncanny valley nasce da un mismatch percettivo, ovvero dal guardare personaggi quasi umani che hanno varie incongruenze (occhi molto grandi o inespressivi, espressioni facciali artefatte, movimenti del viso lontani dalla realtà) che possono apparire strane ai nostri occhi ed essere un ostacolo per la teoria della mente. In psicologia, la teoria della mente è la capacità di attribuire stati mentali – credenze, intenzioni, desideri, emozioni – a sé stessi e agli altri, al fine di comprenderli.
Nel celebre caso del film di Sonic The Hedgehog, la prima versione del riccio blu era una bizzarra commistione tra fattezze umane e stilizzate tipiche della mascotte di Sega. Un risultato orribile e lontano dall’immaginario comune di Sonic; la produzione è poi corsa ai ripari presentando (sulla sinistra) il personaggio molto simile alla sua controparte videoludica.

La strana “umanizzazione” di Sonic, un celebre caso di uncanny valley.
Secondo l’antropologa e UX Designer Yisela Alvarez Trentini: “Il modo migliore per raggiungere il fotorealismo nei videogiochi è osservare e usare l’uomo come fondamento. Possiamo catturare il movimento o la performance di un attore”, solo così si può uscire dalla valle perturbante e ottenere risultati come questo:
Non solo motion capture. Il successo del fotorealismo oggi, all’interno dell’industria videoludica e cinematografica, è dovuto ad un lavoro d’insieme in cui armoniosamente si uniscono sonoro, dialogo e trama.
Per concludere, studi sull’uncanny valley alla vista dell’innovazione tecnologica necessitano di essere aggiornati ed approfonditi. Stando ad uno studio di Brenton et. al (2005) “The Uncanny Valley, Does it Exist?“, il sentimento negativo della valle perturbante non può essere quantificato in un’unica classificazione. I sentimenti di disagio variano da persona a persona, quello che potremmo fare è “ingannare” il nostro cervello facendogli credere che gli androidi siano davvero reali. Il risultato finale sarebbe una connessione molto più integrata, sia personalmente che emotivamente, tra la razza umana e le forme di vita artificiale che creiamo. Asimov non aveva tutti i torti.
Bibliografia e Sitografia
“The Uncanny Valley in Game Design” https://towardsdatascience.com/the-uncanny-valley-in-game-design-6a6c38a36486
“How Deep is the Uncanny Valley?” https://medium.com/@amesett/how-deep-is-uncanny-valley-15a0ff2dfe5
“Il perturbante, dall’Uomo Sabbia all’Uncanny Valley” di Valeria Minaldi per Kabul Magazine https://www.kabulmagazine.com/perturbante-uomo-di-sabbia-uncanny-valley/
Mori, M., MacDorman, K. F., & Kageki, N. (2012). The uncanny valley [from the field]. IEEE Robotics & Automation Magazine, 19(2), 98-100.
MacDorman, K. F. (2005, July). Androids as an experimental apparatus: Why is there an uncanny valley and can we exploit it. In CogSci-2005 workshop: toward social mechanisms of android science (Vol. 3, pp. 106-118).
Saygin, A. P., Chaminade, T., Ishiguro, H., Driver, J., & Frith, C. (2012). The thing that should not be: predictive coding and the uncanny valley in perceiving human and humanoid robot actions. Social cognitive and affective neuroscience, 7(4), 413-422.
Conte, P. (2012). Unheimlich. Dalle figure di cera alla Uncanny Valley. PsicoArt–Rivista on line di arte e psicologia, 2(2).
Kätsyri, J., Förger, K., Mäkäräinen, M., & Takala, T. (2015). A review of empirical evidence on different uncanny valley hypotheses: support for perceptual mismatch as one road to the valley of eeriness. Frontiers in psychology, 6, 390.
Brenton, H., Gillies, M., Ballin, D., & Chatting, D. (2005, September). The uncanny valley: does it exist? In Proceedings of conference of human computer interaction, workshop on human animated character interaction. Edinburgh: Napier University.
Pyszczynski, T., Greenberg, J., & Solomon, S. (1999). A dual-process model of defense against conscious and unconscious death-related thoughts: an extension of terror management theory. Psychological review, 106(4), 835.