Se un videogioco non riesce a convogliare bene la propria storia in maniera organica con il gameplay, non è stato scritto bene. Può essere comunque divertente, sia chiaro, ma voglio fare un esempio pratico di un gioco che non è capace di spiegarsi: il primo Destiny. Per quanto ci abbia passato centinaia di ore, finendo tutta la storia, incursioni e raid, completando anche un paio di DLC (non tutti, avevo già perso interesse per quell’ora) c’è una cosa di Destiny che non saprei spiegare per bene: la trama.
Siamo un Guardiano, un soldato morto da tempo resuscitato da uno Spettro, una specie di robot in qualche modo collegato al Viaggiatore, un planetoide che è fonte di potere e che le forze dell’oscurità vogliono distruggere. Su, vai e spara a tutti! L’esposizione è finita! Per molti giochi una trama così può essere anche più che sufficiente, non tutti vogliono creare una backstory enorme a sostegno del mondo di gioco, e soprattutto non tutti ne hanno bisogno. Il problema è che Destiny aveva questa ambizione fin dall’inizio: creare una trama epica. Da fan di Halo della prima ora avevo grandi aspettative per quanto riguarda il progetto Bungie e, se da un lato il gunplay mi aveva colpito molto positivamente, l’esposizione della storia mi aveva colpito altrettanto fortemente in senso negativo. Ancora mi risuona in mente l’infame frase dell’Ignota Exo che, arrivata in un momento in cui il giocatore anela risposte su ciò che sta avvenendo e sui prossimi sviluppi, se ne esce con un laconico “Non ho tempo di spiegare perché non ho tempo di spiegare”
Beh. Grazie, anche a te e famiglia.
E come avevano deciso di convogliare tutta questa trama epica, se il gioco stesso si schiva dallo spiegartela? Tramite carte Grimorio. Paragrafetti di lore collezionabili, come il Codex di Mass Effect e simili, tranne che almeno in Mass Effect completano e ampliano una trama che è già intrigante di suo.
Inoltre sono visibili in un menu dedicato mettendo semplicemente in pausa il gioco, nel primo Destiny invece al Grimorio era affidato il grosso dell’esposizione… e non era nemmeno visibile ingame. No, bisognava andare sul sito Bungie a leggere, carta per carta. Sono sicuro che la backstory di Destiny (1, il mio discorso non include il 2 che è diversi passi avanti) possa essere anche bella, interessante ed intricata e che più di qualcuno stia pensando agli epiteti con cui dirmi che sono ignorante, però trovo che sia implementata male.
E il caso di Dark Souls dimostra che l’esposizione diretta non è obbligatoria, anzi: è una saga costellata di piccoli bocconcini di lore, che solo i più appassionati possono mettere insieme per creare il quadro generale. Ed è un quadro affascinante, tanto che da profano della saga mi sono comunque visto le diverse spiegazioni di VaatiVidya e colleghi: per mio gusto, Dark Souls è il caso opposto a Destiny. Non mi piace il gameplay dei Souls (via al secondo set di epiteti), ma sulla storia voglio saperne sempre di più, mentre di Destiny non ho mai avuto alcuno stimolo di approfondimento.

Fatevi il favore di leggere il Grimorio cartaceo, pubblicato anni dopo
Un gioco può essere memorabile per il suo gameplay e per le storie emergenti: possiamo ricordarci nel dettaglio di giochi prettamente multiplayer per avvenimenti nelle sue partite. Esempi? Vincere un accesissimo 1 contro 5 su Rainbow Six Siege, o giocate indelebili con un gruppo di amici in “Chi vuole andare sul monte Chiliad episodio 63: in bicicletta da Los Santos alla cima”.
Un gioco può essere memorabile per la sua trama emozionante e colpi di scena: possiamo innamorarci dei personaggi e delle loro dinamiche, che sia una narrazione lineare o un gioco di ruolo. Essere buttati di qua e di là nei laboratori di Aperture Science, con la “rilassante” presenza di GLaDOS e Wheatley, oppure chiacchierare amabilmente con Garrus a bordo della Normandy, tra una missione e l’altra.
Una storia avvincente resterà nella memoria e nei cuori di chi l’ha vissuta. E un modo per potersi immergere ancora di più nel mondo dei videogiochi che ci appassionano è smettere di giocarli. Prendere una pausa tra una partita e l’altra o tra un titolo e l’altro, e leggersi libri o narrativa dedicatagli. Quello che anni fa era una rarità è ormai sempre più comune, con diversi giochi e saghe: libri e libri che vanno ad espandere la lore, raccontando la storia dei personaggi che amiamo oppure approfondimenti su avvenimenti paralleli. Trovo che sia un rapporto benefico per entrambi i media, due modi fondamentalmente diversi di raccontare storie ma che possono creare un ciclo virtuoso di immersione che porta il giocatore a vivere con un rinnovato interesse una seconda partita, o a leggere in chiave diversa il libro dopo aver completato la campagna del gioco. Ciò vale anche per videogiochi che sono tratti da libri, non parliamo solo dell’inverso: basti pensare ai libri di The Witcher o i Metro, che hanno dato vita a due saghe videoludiche amate da milioni di persone, e che hanno moltissimo da dare a chi si è avvicinato a quelle storie solo tramite i videogiochi.
Parlando per esperienza personale, questo “ciclo virtuoso dell’immersione” l’ho vissuto e lo continuo a vivere con la saga di Halo. E, restando all’interno della saga, voglio portare esempi di come il rapporto gioco-libri possa essere in alcuni casi positivo per l’immersività o negativo, quando gestito male.
La saga di Halo conta più di dieci giochi, una trentina di libri, una decina di fumetti, e lasciamo stare guide, enciclopedie, manuali e affini. Direi che c’è un sacco di materiale per riuscire a dire cosa funziona e cosa no, e li ho giocati/letti tutti. Non entrerò nel terreno degli spoiler, non sono necessari.

Questo decisamente non dovrebbe essere necessario: “Recommended Reading” per Halo 5 Guardians
Per prima cosa, rapporti che funzionano: se parliamo della prima trilogia dei giochi con i primi sei libri, si va a creare un bellissimo rapporto in cui il giocatore viene coinvolto dalla trama del gioco, si interessa e cerca di immergersi di più nella lore leggendo i libri, nei quali trova più backstory dei personaggi che ha conosciuto durante il gioco, riflessioni, accadimenti paralleli, momenti più tranquilli dello spara spara continuo dei giochi.
I due media vanno a braccetto in questo già citato “ciclo virtuoso dell’immersione” e l’apprezzamento per il mondo di gioco ne beneficia, rendendo l’intera esperienza memorabile.
Andando nel negativo, prendo nello specifico Halo Reach e Halo 5, per motivi opposti. Il gioco Halo Reach (2010) è andato in contrasto con il libro The Fall of Reach (2001) perché si è scelto di cambiare ordine e durata di eventi stabiliti durante il libro e presenza di alcuni personaggi in luoghi “errati”, creando una discrepanza tra le due esperienze alla quale molti fan hanno reagito malamente. Di per sé, Halo Reach è un bel gioco, con una bella narrativa (da molti rivalutata negli anni), ma con problemi quando affiancata al libro, tanto che quando la torcia di Halo è passata da Bungie a 343 Industries è stato fatto un lavoro di retcon e spiegazione di alcuni avvenimenti per far incastrare al meglio le due storie, con le ristampe attuali di The Fall of Reach che presentano diverse modifiche su dettagli e date per cercare di riparare a questa rottura. Halo 5 ha il problema quasi opposto invece, facendo troppo affidamento sui libri. Ciò che accade tra Halo 4 e 5, le introduzioni dei nuovi personaggi, l’evoluzione di personaggi già conosciuti: tutto è affidato a libri e fumetti, lasciando chi non ha mai approfondito la lore completamente confuso. I personaggi tra loro si conoscono e hanno dei rapporti che il giocatore non ha visto solidificarsi nei capitoli precedenti, restando quindi “escluso”, senza che riesca a creare un attaccamento con queste nuove facce e con domande insolute sullo stato del mondo. Chi è rimasto al passo con la lore (e non è un compito facile, visiti i citati trenta libri + dieci fumetti + ecc.) è costretto quindi, e solo nel caso il gioco sia riuscito comunque a catturarlo un po’, a recuperarsi tanto materiale o spiegoni da YouTube. E qui torniamo all’inizio: Se un videogioco non riesce a convogliare bene la propria storia in maniera organica con il gameplay, non è stato scritto bene.
Libri e videogiochi possono vivere un rapporto bellissimo. Quando i due media sfruttano i rispettivi punti di forza per convogliare una narrativa avvincente, il risultato è un’immersione completa del giocatore nel suo mondo. È un’opportunità da non prendere sottogamba, in quanto fan che si sentono immersi in un gioco sono portati a parlarne per ore, a creare discussioni, a elaborare teorie e ad avvicinare nuovi appassionati al franchise, donandogli un valore aggiunto che perdura nel tempo, cosa che molti bellissimi videogiochi non sono stati in grado di fare.
Nel parlare di libri, mi sono focalizzato sul mio forte, ossia Halo. Ma ci sono diversi romanzi legati a videogiochi o saghe, come i già citati e stupendi libri di Metro: voi che esperienze avete con questa nicchia letteraria? Avete trovato buone letture o siete rimasti delusi?