Nel corso degli ultimi anni, il confine tra cinema e videogioco si sta facendo sempre più labile: vediamo come.
L’attuale industria dei videogiochi è ampiamente interessata allo sviluppo di esperienze altamente interattive. Eppure il concetto di interattività stesso si è evoluto negli ultimi anni. Non si parla solo di interattività nel senso tradizionale, in cui il giocatore controlla i movimenti dei personaggi nell’ambiente virtuale. Il giocatore infatti è sempre più spesso in grado di influenzare la direzione della narrazione del gioco, selezionando il corso delle azioni che il personaggio deve intraprendere. In questo genere di videogiochi, il giocatore è quindi tenuto a prendere decisioni per conto del proprio avatar, spesso sotto forma di “quick time events”: viene concesso un tempo limitato per la decisione, al fine di incoraggiare un giusto grado di autenticità alla risposta (Tavinor, 2017).
Tale genere di videogiochi è definito come “Butterfly Effect“, un termine che è stato preso in prestito da una teoria matematica secondo la quale un minuscolo cambiamento localizzato in un sistema complesso può avere un grande effetto altrove nello stesso sistema (Gawade, 2018). Un esempio piuttosto famoso di un gioco Butterfly Effect è Until Dawn, un gioco survival horror (Supermassive Games, 2015, ne abbiamo parlato qui). In tale gioco il giocatore non solo ha la possibilità di prendere decisioni che influenzano le possibilità di sopravvivenza di vari personaggi, ma anche il gameplay. Ad esempio, se il giocatore dichiara di aver paura degli scarafaggi, il gioco farà apparire tali animali nell’ambiente, aumentando il livello di disagio del giocatore.

Una scena dal videogioco Until Dawn (Supermassive Games, 2015)
Secondo molte ricerche psicologiche, la motivazione a giocare è favorita dalla soddisfazione di tre bisogni psicologici di base: competenza, autonomia e relazione (Ryan & Deci, 2000).
Per quanto riguarda la necessità di autonomia, il giocatore apprezza, in genere, la possibilità di perseguire obiettivi e interessi di gioco in modo flessibile (Przybylski et al., 2012). In questo senso, il bisogno di autonomia è soddisfatto dalla co-scrittura della storia da parte del narratore e del giocatore, più che dall’interattività classica di controllo e movimento del personaggio. Alcuni contenuti videoludici somigliano, dunque, sempre di più a veri e propri film interattivi, in cui le sequenze di azione non sono numerose quanto i momenti di decisione.
At Dead of Night, recente indie horror, sposta ulteriormente il confine tra le due Arti, grazie alla sua “tecnica mista“. Lanciato a novembre 2020 dalla Baggy Cat Ltd., viene definito da Steam “in parte un film horror, in parte un videogioco horror“. In At Dead of Night intepretiamo il ruolo di Maya, studentessa che alloggia in un hotel insieme ad alcuni amici. Poco dopo essere arrivata in hotel, Maya si accorge di essere caduta in trappola: i suoi amici sono stati rapiti dal proprietario. Non le rimane che cercare di scappare, guidata dalle voci delle precedenti vittime, ormai fantasmi. Il ruolo del giocatore sarà, dunque, quello di raccogliere indizi e strumenti per la fuga, prestando attenzione a non farsi scoprire dall’uomo. Fattore particolarmente interessante è la tecnica grafica. At Dead of Night combina live-action e grafica computerizzata per creare un’esperienza horror unica, passando fluidamente dall’una all’altra tecnica.

Una scena a tecnica mista nel gioco indie At Dead of Night (Baggy Cat, 2020)
Il mondo videoludico si apre quindi ad ulteriori paralleli con il mondo delle arti figurative. In pittura, la tecnica mista consiste nel realizzare opere utilizzando vari tipi di materiale, ad esempio olio su tela con particolari realizzati a carboncino, pastello, o tempera. Uno dei pionieri dell’utilizzo di questa tecnica in ambito videoludico è sicuramente Amanita Design, casa di sviluppo situata in Repubblica Ceca. Nei loro videogiochi, come Machinarium e Botanicula, personaggi di cartapesta i muovono su sfondi disegnati a pastello, secondo una tecnica a collage (Janik, 2015).

Una scena a pastello e matita da Machinarium (Amanita Design, 2009)
Con l’avvento del fotorealismo e dei nuovi motori grafici next-gen, sempre più potenti, il confine tra cinema e videogioco sarà sempre più labile non solo nella struttura narrativa, ma anche nell’aspetto visivo.
- Letture consigliate:
- Gawade, A., Mewati, A., Gawade, V., & Loke, A. (2018). RESEARCH OF GAME DEVELOPMENT BASED ON VIRTUAL REALITY. International Journal of Advanced Research in Computer Science, 9(1).
- Janik, J. (2015). The Cluster Worlds of Imagination The Analysis of Collage Technique in Games by Amanita Design. New Perspectives in Game Studies, 45.
- Przybylski, A. K., Weinstein, N., Murayama, K., Lynch, M. F., & Ryan, R. M. (2012). The ideal self at play: The appeal of video games that let you be all you can be. Psychological science, 23(1), 69-76.
- Ryan, R. M., & Deci, E. L. (2000). The darker and brighter sides of human existence: Basic psychological needs as a unifying concept. Psychological inquiry, 11(4), 319-338.
- Tavinor, G. (2017). What’s my motivation? Video games and interpretative performance. The Journal of Aesthetics and Art Criticism, 75(1), 23-33.