Il Flow nei videogiochi
Sono già state spese tante parole sul fenomeno del Flow e sull’importante ruolo che esso ricopre nella vita dei videogiocatori. Tuttavia, qui proveremo ad affrontare il Flow sotto altri punti di vista. Prima di addentrarci nella discussione, se volete saperne di più e siete interessati ad esplorare l’argomento del Flow e la sua possibile correlazione con la dipendenza da videogiochi, vi invito a leggere l’articolo di Giuseppe Virgilio.
Per cominciare potrebbe essere utile accennare una breve descrizione di “Flow” e come esso si applica al mondo dei videogiochi. Il termine Flow, o flusso, è stato utilizzato per la prima volta nel 1975 dallo psicologo Csikszentmihályi per descrivere la condizione che si verifica quando la persona è completamente immersa nell’attività che sta svolgendo, tanto da perdere la cognizione del tempo.
Per far sì che questo avvenga sono necessari alcuni specifici fattori: la volontà della persona a svolgere quella specifica azione, un livello di sfida impegnativo ma che non superi le proprie capacità e, in un certo senso, la voglia di giocare più che quella di avere successo.
In altre parole, si tratta di quell’esatto momento, la quale durata può variare, durante il quale noi giocatori ci imbattiamo in un particolare livello di sfida, che può anche risultare molto impegnativo ma non tanto da essere impossibile, che ci porta ad immedesimarci completamente nel nostro personaggio o in una serie di azioni. Questo, di conseguenza, ci fa distrarre e distaccare quasi interamente da quello che ci accade intorno.
Insomma, il concetto di flow è racchiuso in due semplici parole: concentrazione e felicità.
Nel particolare caso dei videogiochi, quindi, si può raggiungere lo stato di flusso solo quando il giocatore si pone davanti all’opera con quella particolare condizione mentale appena descritta. Allo stesso tempo, però, è fondamentale che sia il videogioco stesso a fare in modo che questo avvenga, combinando al meglio il livello di abilità acquisito dal giocatore con il livello di sfida richiesto in ogni momento del gioco. Questo è, probabilmente, uno dei compiti più difficili per i Game Designer.
Oltre i videogiochi: il Flow nell’arte
Ma, se il fenomeno di flow nel campo dei videogiochi è ormai abbastanza conosciuto dagli appassionati, questa volta ci interesseremo sugli altri contesti in cui è possibile sentirsi nel flusso. Infatti, è un concetto ampiamente riconosciuto anche nel mondo dello sport (e quindi negli eSport), dell’istruzione, dell’arte e della spiritualità.
Qui ci soffermeremo su questi ultimi due aspetti, partendo dall’arte. Se infatti pensiamo all’esperienza artistica come il modo che ci consente di creare mondi, inventare, sperimentare catarsi, fantasticare, emozionarsi, ideare, comunicare e mostrare abilità esecutive, allora è già ben evidente il motivo per cui il flow è presente anche in questo campo. Immergersi totalmente nella creazione di un qualsiasi tipo di opera artistica, guidati dalla sensazione di essere un tutt’uno con ciò che si crea, è anch’essa un’esperienza di flow.
Se volessimo trovare una differenza tra quello che avviene nei videogiocatori e quello che avviene negli artisti, potremmo dire che i primi hanno la possibilità di muoversi liberamente in un mondo già creato da qualcun altro, mentre l’artista avrà una tela bianca su cui costruirne uno suo.
Oltre i videogiochi: il Flow nella spiritualità
Un ulteriore aspetto della vita umana in cui è possibile raggiungere il flow è la spiritualità. Viene forse automatico pensare all’Oriente e quindi al Buddhismo ma anche all’Induismo ed al Taoismo, che da millenni sviluppano e mettono in atto pratiche basate su questo concetto. Essi vi riescono soprattutto attraverso il superamento della dualità tra mente e corpo, che si raggiunge grazie la pratica spirituale.
Ma, stando più sul generale e considerando la meditazione, ma anche, volendo, la preghiera, possiamo pensare ad un’esperienza di flusso che è centrata su noi stessi. Un momento in cui siamo capaci di lasciar andare le nostre problematiche quotidiane, in cui la mente vaga, riconduce e unisce le cose al nostro corpo e la nostra anima, in quell’esatto luogo e in quel preciso momento.
il Flow nella psicoterapia
Infine, si potrebbe provare ad immaginare un ultimo contesto in cui è possibile trovare il flow, e questo potrebbe essere proprio il campo della psicoterapia. Probabilmente risulta difficile immaginare gli incontri di psicoterapia come incontri caratterizzati da concentrazione e felicità ma, se provassimo ad allargare un po’ il campo, potremmo trovare delle caratteristiche capaci di farci scorgere il flusso.
Infatti, se l’arte e la spiritualità possono essere visti come un’esperienza di flow creativa ed espressiva da una parte e di centratura su di sé dall’altra, potremmo allora considerare la psicoterapia come una sorta di flow di tipo relazionale. Quindi, se il flow è il punto massimo di immersività in tutti i contesti di cui abbiamo parlato, allora lo stesso sarà per la terapia. E quando avviene questo?
Probabilmente quando terapeuta e “paziente” riescono a parlare e stare lì in quel momento con curiosità e volontà di creare storie nuove e diverse, senza obiettivi troppo specifici e asfissianti, senza sentire la fretta di risolvere al più presto i problemi come per magia. È così facendo, in quel momento, che si perderà la cognizione del tempo e ci si sentirà come immersi in una danza.
Probabilmente, anche questo è Flow.