“Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace!”
Questa è una frase che sentiamo dire spesso, e talvolta siamo noi stessi a pronunciarla, magari cercando di giustificare i nostri gusti per così dire “particolari” in un qualsiasi ambito di vita. In realtà, non esiste niente di più vero: quando diamo un giudizio estetico riguardo a un oggetto – sia esso un’opera d’arte, un paesaggio, un film o un videogioco – ciò che si scatena in noi è una risposta cognitiva ed emozionale totalmente personale, che utilizza aggettivi come bello/brutto, interessante/noioso, positivo/negativo; aggettivi che sono estremamente soggettivi, e che ci possono permettere di dimostrare apprezzamento anche verso ciò che è peculiare, strambo, o addirittura… Brutto.
Rimanendo in campo artistico, un esempio di questo amore verso il brutto è dato dai B-Movie: si tratta di un filone di film molto diffuso, che ha come caratteristica preponderante la scarsa qualità del prodotto finale. Che sia a causa del basso budget a disposizione, per via dell’incapacità del regista e degli attori o per la trama insensata e banale, questi film hanno lasciato il segno in qualsiasi genere cinematografico, trovando però maggiore spazio all’interno di uno in particolare: quello fantascientifico. Alieni, spazio sconfinato e pianeti lontani hanno fatto viaggiare le menti di molti registi a partire dagli anni ’50, e non sempre questi esperimenti si sono tradotti in un risultato valido. Eppure, ancora oggi molti di questi film sono diventati dei veri e propri cult: Ultimatum alla terra (1951), La guerra dei mondi (1953) e L’invasione degli ultracorpi (1956), per citarne alcuni.
Nonostante all’epoca fossero (talvolta) film d’impatto, oggi rischiano di scatenare ai più solamente risate o noia: sono semplicemente film brutti, poco interessanti; che però riescono incredibilmente a suscitare in alcuni spettatori grande apprezzamento e divertimento. Passione per il brutto, per ciò che è grottesco e improbabile, per scene ai limiti della credibilità anche per un genere come la fantascienza: l’amore per l’orrido è totalmente lecito, e gli amanti del cult fantascientifico lo celebrano oggi con fierezza.
Ed è da queste premesse che ha visto la luce un prodotto come The Deadly Tower of Monsters. Sviluppato da ACE Team nel 2016 per PlayStation 4, si tratta di un videogioco di genere shoot ‘em up – un sottogenere action nel quale il giocatore si trova a fronteggiare orde di nemici – che attinge a piene mani dal filone cinematografico fantascientifico degli anni ’50 e ’60. Il protagonista è l’astronauta Pipino Starspeed che, atterrato sul pianeta alieno Gravoria, si ritrova a scalare un’enorme torre popolata dai più strambi nemici (dinosauri, robot, scimmie combattenti, insetti giganti) per poter sventare i piani del malvagio imperatore del pianeta, che ha l’obiettivo di schiavizzare tutti gli abitanti al suo volere.

Trama più che mai banale, vero? Ma è proprio questo uno dei punti di forza di TDToM: la storia è volutamente scontata, i personaggi sono fortemente stereotipati (Pipino è il classico eroe senza paura e senza la minima profondità caratteriale) e l’ambientazione è quanto di più standard si possa vedere quando si ha a che fare con un pianeta alieno. Il punto è proprio che questo videogioco non si limita a richiamare i B-Movie di quegli anni, bensì diventa uno di essi: tutta l’avventura viene narrata come fosse un film dalla voce fuori campo di Dan Smith, un famoso regista (fittizio) che raramente descriverà ciò che il videogiocatore vedrà sullo schermo, preferendo dilungarsi in discorsi che deridono i personaggi, le ambientazioni o la troupe che ha lavorato alla produzione di uno “scempio del genere”. Gli sviluppatori hanno poi inserito altre chicche che aiutano a far sembrare questo videogioco un vero e proprio filmaccio di serie B: per gran parte dell’avventura ci sono disturbi grafici sullo schermo tipici delle vecchie pellicole cinematografiche; i nemici volanti sono sorretti in volo da fili ben visibili sullo schermo; quando i personaggi dialogano tra loro si possono notare i microfoni sorretti dalle aste nella parte alta dell’inquadratura; o ancora, nei momenti in cui Pipino si scontra con nemici particolarmente grandi – come ad esempio un gigantesco gorilla che richiama King Kong – si scorgono senza problemi le componenti meccaniche che muovono le parti del corpo dei mostri stessi.

Insomma, al di là dell’ottima trovata metanarrativa che sorregge l’intero progetto, TDToM è uno spettacolo visivo per tutti gli amanti del brutto fantascientifico. Gli errori voluti (lungi dall’essere definiti bug), le battute taglienti del narratore e lo stile retrò dell’ambientazione e degli oggetti di scena compongono un’opera che difficilmente potrà piacere a tutti, ma che farà brillare gli occhi a coloro i quali rivendicano il valore dell’estetica del brutto e l’importanza dei B-Movie: una dimostrazione lampante del fascino irresistibile dell’orrido.
Claudio Oldani
Tanto brutto da essere bello: The Deadly Tower of Monsters
“Non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace!”
Questa è una frase che sentiamo dire spesso, e talvolta siamo noi stessi a pronunciarla, magari cercando di giustificare i nostri gusti per così dire “particolari” in un qualsiasi ambito di vita. In realtà, non esiste niente di più vero: quando diamo un giudizio estetico riguardo a un oggetto – sia esso un’opera d’arte, un paesaggio, un film o un videogioco – ciò che si scatena in noi è una risposta cognitiva ed emozionale totalmente personale, che utilizza aggettivi come bello/brutto, interessante/noioso, positivo/negativo; aggettivi che sono estremamente soggettivi, e che ci possono permettere di dimostrare apprezzamento anche verso ciò che è peculiare, strambo, o addirittura… Brutto.
Rimanendo in campo artistico, un esempio di questo amore verso il brutto è dato dai B-Movie: si tratta di un filone di film molto diffuso, che ha come caratteristica preponderante la scarsa qualità del prodotto finale. Che sia a causa del basso budget a disposizione, per via dell’incapacità del regista e degli attori o per la trama insensata e banale, questi film hanno lasciato il segno in qualsiasi genere cinematografico, trovando però maggiore spazio all’interno di uno in particolare: quello fantascientifico. Alieni, spazio sconfinato e pianeti lontani hanno fatto viaggiare le menti di molti registi a partire dagli anni ’50, e non sempre questi esperimenti si sono tradotti in un risultato valido. Eppure, ancora oggi molti di questi film sono diventati dei veri e propri cult: Ultimatum alla terra (1951), La guerra dei mondi (1953) e L’invasione degli ultracorpi (1956), per citarne alcuni.
Nonostante all’epoca fossero (talvolta) film d’impatto, oggi rischiano di scatenare ai più solamente risate o noia: sono semplicemente film brutti, poco interessanti; che però riescono incredibilmente a suscitare in alcuni spettatori grande apprezzamento e divertimento. Passione per il brutto, per ciò che è grottesco e improbabile, per scene ai limiti della credibilità anche per un genere come la fantascienza: l’amore per l’orrido è totalmente lecito, e gli amanti del cult fantascientifico lo celebrano oggi con fierezza.
Ed è da queste premesse che ha visto la luce un prodotto come The Deadly Tower of Monsters. Sviluppato da ACE Team nel 2016 per PlayStation 4, si tratta di un videogioco di genere shoot ‘em up – un sottogenere action nel quale il giocatore si trova a fronteggiare orde di nemici – che attinge a piene mani dal filone cinematografico fantascientifico degli anni ’50 e ’60. Il protagonista è l’astronauta Pipino Starspeed che, atterrato sul pianeta alieno Gravoria, si ritrova a scalare un’enorme torre popolata dai più strambi nemici (dinosauri, robot, scimmie combattenti, insetti giganti) per poter sventare i piani del malvagio imperatore del pianeta, che ha l’obiettivo di schiavizzare tutti gli abitanti al suo volere.
Trama più che mai banale, vero? Ma è proprio questo uno dei punti di forza di TDToM: la storia è volutamente scontata, i personaggi sono fortemente stereotipati (Pipino è il classico eroe senza paura e senza la minima profondità caratteriale) e l’ambientazione è quanto di più standard si possa vedere quando si ha a che fare con un pianeta alieno. Il punto è proprio che questo videogioco non si limita a richiamare i B-Movie di quegli anni, bensì diventa uno di essi: tutta l’avventura viene narrata come fosse un film dalla voce fuori campo di Dan Smith, un famoso regista (fittizio) che raramente descriverà ciò che il videogiocatore vedrà sullo schermo, preferendo dilungarsi in discorsi che deridono i personaggi, le ambientazioni o la troupe che ha lavorato alla produzione di uno “scempio del genere”. Gli sviluppatori hanno poi inserito altre chicche che aiutano a far sembrare questo videogioco un vero e proprio filmaccio di serie B: per gran parte dell’avventura ci sono disturbi grafici sullo schermo tipici delle vecchie pellicole cinematografiche; i nemici volanti sono sorretti in volo da fili ben visibili sullo schermo; quando i personaggi dialogano tra loro si possono notare i microfoni sorretti dalle aste nella parte alta dell’inquadratura; o ancora, nei momenti in cui Pipino si scontra con nemici particolarmente grandi – come ad esempio un gigantesco gorilla che richiama King Kong – si scorgono senza problemi le componenti meccaniche che muovono le parti del corpo dei mostri stessi.
Insomma, al di là dell’ottima trovata metanarrativa che sorregge l’intero progetto, TDToM è uno spettacolo visivo per tutti gli amanti del brutto fantascientifico. Gli errori voluti (lungi dall’essere definiti bug), le battute taglienti del narratore e lo stile retrò dell’ambientazione e degli oggetti di scena compongono un’opera che difficilmente potrà piacere a tutti, ma che farà brillare gli occhi a coloro i quali rivendicano il valore dell’estetica del brutto e l’importanza dei B-Movie: una dimostrazione lampante del fascino irresistibile dell’orrido.
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