“Immersion” – Una questione di spazio e atmosfera

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Al giorno d’oggi, alcuni videogiochi sono ben di più che semplici software, codici anonimi e lunghe sequenze di 1 e 0. Quando giochiamo ci ritroviamo ad esplorare e ad imparare a conoscere i luoghi del videogioco, che diventano teatro delle nostre avventure e sono la dimora dei personaggi a cui teniamo. 

Esser-ci e immersion

In fenomenologia Heideggeriana non si parla di essere umano, ma di Dasein, di esser-ci. Prima di ogni attitudine critica o scientifica, il nostro punto di partenza è quello di esserepresenti in un mondo che inabitiamo: fare differenza tra un mondo digitale ed uno analogico ha poco senso, quando il fatto della nostra presenza in quel determinato momento, rimane. Quando giochiamo ci ritroviamo in un mondo ludico, un gameworld (Conway & Trevillian, 2020). Il termine inglese utilizzato per riferirsi a questa sensazione di presenza èimmersion“.  

Non è facile identificare i singoli fattori che contribuiscono alla sensazione di immersion, ma possiamo affermare che storia, personaggi e meccaniche coinvolgenti, ne costituiscono una parte integrante. Cionondimeno, è l’estetica del videogioco a ricoprire un ruolo fondamentale, specialmente la categoria estetica di cui spesso si sente parlare nelle recensioni o nei forum dedicati: l’atmosfera. 

L’atmosfera

 Un’atmosfera è un affetto, o emozione, che si trova nello spazio. Per comprenderne appieno l’ontologia, dobbiamo abbandonarposizioni internaliste intransigenti sulla natura delle emozioni che ognuno di noi prova. In altre parole, le emozioni, i sentimenti, e gli affetti non sono una faccenda che avviene solamente nel privato della nostra psiche e nel profondo delle nostre viscere, ma si trovano  fuorinello spazio.

Teresa Brennan (2004) comincia il suo libro, “The Transmission of Affect”, con la seguente frase (tradotta): “C’è qualcuno che, almeno una volta, entrando in una stanza, non sia stato capace di “sentire l’atmosfera”?”. Tutte quelle volte che andiamo ad una festa, andiamo al ristorante, visitiamo una chiesa, veniamo colti da un’atmosfera festiva, rilassata, o solenne, a prescindere dal fatto che il nostro stato d’animo in quel momento sia in contrasto con l’emozione presente nell atmosfera in questione (possiamo essere di cattivo umore ad una festa, ma l’atmosfera festiva e’ pur sempre presente oggettivamente).  

Lo spazio, dunqueè il dominio dell’atmosfera. Possiamo istintivamente pensare all’atmosfera di certi paesaggi naturali. Ma un’atmosfera (ed uno spazio) si può anche produrreTutte quelle discipline che hanno a che fare con il design di uno spazio, hanno a che fare con la produzione di atmosfere: architettura, design di interni, giardinaggio, scenografia (Böhme, 2016). Certamente, anche il game design può essere aggiunto alla lista. 

La costruzione di uno spazio all’interno del quale possiamo giocare, è quindi anche la costruzione di un’atmosfera, che può essere rilassante o nostalgica, come nel caso di un walking simulator, o, al contrario, frenetica come in unshooter 

Diversi fattori, o affordances atmosferiche (Griffero, 2010), contribuiscono all’atmosfera di uno spazio videoludico (e non): la luce, i colori, i materiali delle superfici con le loro diverse qualità aptiche, l’architettura dello spazio in cui ci troviamo, il paesaggio sonoro e la musica, la presenza o meno di altri personaggi e oggetti. Tutte queste affordances contribuiscono alla creazione dell’atmosfera che percepiamo in un determinato spazio videoludico. 

Percepire l’atmosfera

La percezione atmosferica è una percezione gestaltica e sinestetica. Gestaltica perché è difficile individuare un singolo istigatore di un’atmosfera (essa è più della somma delle sue parti)Sinestetica poiché i nostri sensi non percepiscono in maniera isolata dati sensoriali ed atmosferici. 

Seguendo Maurice Merleau-Ponty (1962), possiamo concepire la percezione come inizialmente indifferenziata. Solo in un secondo momento il nostro sistema nervoso centrale è in grado di separare, ad esempio, dati sensoriali visivipercepiti dagli occhi e trasmessi dai nervi ottici, da quelli tattili, percepiti dalla pelle e trasmessi dai nervi sensoriali perifericiPrima di questa separazione sensoriale, la percezione avviene in una sorta di flusso indifferenziato, ed input sensorialmente diversi tra loro possono attivare parti del nostro sistema nervoso che normalmente avrebbero altra competenza: certi soggetti fortemente sinestesici, per esempio, “vedono” il colore della musica. 

Un esempio concreto: 140 è un gioco sviluppato dal designer danese Jeppe Carlsen, che sfrutta la percezione sinestetica per creare un’esperienza simil-lisergica. Il gioco è un 2D platformer astratto, in cui l’avatar del giocatore è una figura geometrica, che cambia a seconda dei suoi movimenti. Anche gli sfondi e lo spazio navigabile nei livelli cambiano, e sono la musica ed il sound design del gioco a “guidare” il giocatore. I giocatori entrano in sintonia con la musica ed il ritmo: la percezione e navigazione dello spazio, quindi, avviene sinesteticamente tramite la contaminazione reciproca di vista ed udito. 

Se da un lato, dunque, percepiamo l’atmosfera di uno spazio in maniera, per così dire, passiva, dall’altro è anche vero che ne analizziamo attivamente le componenti per ottenere più informazioni sul gameworld in cui ci troviamo. Qui è possibile fare considerazioni sull’environmental storytelling (Jenkins, 2004).

I designer costruiscono spazi videoludici che raccontano una storia tramite la loro mise-en-scene. Gli elementi della narrazione, perciò, derivano non solo tramite l’esposizione diretta, ma anche tramite le nostre supposizioni, provenienti dall’interpretazione che diamo di uno spazio (Chi abita qui? Com’è decorato lo spazio? Che segni di attività troviamo?), un po’ come se fossimo dei detective.  

L’atmosfera, quindi, ricopre un ruolo fondamentale che favorisce la sensazione di immersion. Questa sensazione è più o meno presente in diversi videogiochi, ed a livello esperienziale è un qualcosa che risulta trasparente: l’unico momento in cui ci rendiamo conto di essere stati immersi nel gameworld, è quando non lo siamo più, o quando qualcosa interrompe il flusso di esperienza in cui eravamo immersi.  

Interruzione dell’immersion

Fattori che interrompono il nostro esser-ci nel gameworld sono svariati. In alcuni casi può essere un problema con l’hardware, per esempio nel caso di un bottone difettoso che non ci permette di muoverci agilmente nel gameworld. In altri casi può essere un problema con il codice del software, nel quale caso è possibile assistere a glitch che possono essere fastidiosi, grotteschi, o che rendono impossibile continuare a giocare. Fattori che interrompono l’immersione possono anche avere a che fare con la dimensione sociale: a chi non è capitato di dover interrompere una sessione di gioco per attendere ad altri impegni affettivi o lavorativi?

Possiamo inoltre osservare casi che hanno a che fare con il design stesso di un videogioco: per esempio, quando qualcosa nella narrazione ci risulta incoerente, quando troviamo i menu convoluti, o gli obbiettivi non sono sufficientemente definiti (il caso contrario anche può a volte avere lo stesso effetto, nel caso di giochi che definiscono gli obbiettivi in maniera oltremodo marcata, limitando le possibili azioni dei giocatori). In questi casi è il design stesso del gioco che ci fa riemergere dall’immersione, concepito come fenomeno di “breakdown” atmosferico.

Nella disciplina accademica dei Game Studies, vi è un vivace dibattito riguardo all’utilizzo del termine ‘immersion’, considerato da alcuni come aspecifico ed acritico. Gordon Calleja (2011), per esempio, suggerisce l’utilizzo del termine ‘incorporation’ per rendere più evidente la parte corporea del fenomeno ed il ruolo attivo del giocatore.  

 

Infine, è possibilie affermare che, se da un lato, dunque, il dibattito rimane, dall’altro, pensare all’immersion come legato in qualche modo all’atmosfera ed alla sua particolare modalità di percezione, non può che arricchire il dibattito stesso. 

 

 

Brennan, T. (2004). The Transmission of Affect. Cornwell University Press. 

Böhme, G. (2016). The art of the stage set as a paradigm for an aesthetic of atmosphereThe Aesthetics of Atmospheres. Eds. Thibaud, J.P. Routledge. 55-68. 

Calleja, G. (2011). In-Game: From Immersion to Incorporation. The MIT Press. 

Carlsen, J. (2013). 140. Double Fine Productions. 

Conway, S. & Trevillian, A. (2020). Being-In-GameWorlds: Existence, Experience, and the Game Event. Einspielungen, Neue Perspektiven der Medienästhetik. Eds. Spöhrer, M. & Waldrich, H. Springer Fachmedien Wiesbaden. 95-114. 

Griffero, T. (2010). Atmospheres: Aesthetics of Emotional Spaces. Ashgate. 

Jenkins, H. (2004). Game Design as Narrative ArchitectureComputer44(53). 118-130. 

Merleau-Ponty, M. (1962[1945]). Phenomenology of Perception. Routledge. 

 

 

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