Una delle realtà più evidenti di questi ultimi anni, è una tensione dei mass media (e non solo) a riproporre rivisitazioni dei grandi successi del passato.
Questo si può osservare anche nella moda, nell’arredamento, nel ritorno di alcuni generi musicali e elettrodomestici fino a poco tempo fa considerati obsoleti, ma che adesso risultano quasi di classe. Si sa, la cultura è ciclica e la velocità del nostro millennio lo rendo solo più evidente. E ciò sembra essere ancora più eclatante nel mondo dell’intrattenimento multimediale.
Dal remake di Space Jam con Le Bron, agli infiniti sequel e spin-off di alcune delle serie di successo della nostra infanzia (a partire da Star Wars ed Harry Potter), sembra che la nostalgia sia l’emozione dominante di questo decennio.
E anche nel mondo del gaming, sono tornate in auge alcune serie della nostra infanzia che si sono ripresentate in nuova (o quasi) veste a partire dai classici Crash Bandicoot e Spyro fino alla versione remastered di Final Fantasy VIII e al totale restyling (ancora da ultimare) del remake del settimo capitolo di Final Fantasy.
Nostalgia Marketing
Come ci ricorda brillantemente il collega Matteo Merigo nel suo articolo sull’effetto nostalgia nel legame tra videogame e cinema, “l’entertainment si fonda sulle emozioni e sugli introiti”.
E sfruttare la nostalgia dei consumatori è andare sul sicuro: i produttori sono certi che il bacino di utenza, già fidelizzata in passato, vorrà rimmergersi nelle stesse emozioni provate in passato. Quindi si tratta solamente di attrarre anche le nuove generazioni per fare bingo.
Forse può sembrare un discorso cinico, ma alcuni studi di marketing sembrano validare queste strategie basate sulla nostalgia.
La nostalgia si può suddividere in quattro forme in base al grado di esposizione provato dall’individuo: vi è quella individuale, quella interpersonale, quella culturale e infine virtuale.
Mentre le prime due vengono attivate dall’associazione tra ricordi reali e emozioni suscitate dal prodotto (come una canzone che veniva ascoltata in un determinato periodo o evento felice della propria vita); le ultime due lavorano più sull’aspetto immaginifico, dove aspetti del reale e dell’ideale si fondono per creare una sorta di mito dell’oro rispetto ad un determinato periodo, luogo, evento che viene investito di caratteristiche piacevoli.
Quindi, in ultima istanza, si può usare anche una sorta di nostalgia per qualcosa che non si è mai vissuto, creando scenari idilliaci che trasmettono valori ed emozioni a cui aspiriamo, per affinità o compensazione.
Perché alla fine sembra trattarsi proprio di questo: la ricerca del proprio luogo felice.
Un luogo sicuro che c’era e ora non c’è più, oppure che ci immaginiamo possa esserci stato in qualche determinata coordinata spazio-tempo. Dove avremmo potuto sentirci a casa, completamente adeguati ed in linea con lo spirito del tempo, in maniera eterna ed immutabile.
Questo sentimento ad oggi ci sfugge: raramente proviamo un senso di adeguatezza e realizzazione, in un mondo dove non si è mai abbastanza informati, sul pezzo, poiché le informazioni viaggiano più veloci di noi. Però ci si prova, nonostante sia estenuante.
Proprio per ricaricarci, abbiamo bisogno del nostro rifugio e della nostra base sicura. Per bearci di quelle emozioni di sicurezza e serenità ormai perdute e probabilmente idealizzate. Ed il modo più facile per accedervi è attraverso un film, un libro e, perché no, un videogioco.
Da qui si spiega perché il marketing nostalgico sia così efficace ai nostri tempi, sfruttando ampiamente il senso di incertezza che pervade questa nostra società liquida.
Ma un’altra forma di fruizione mediatica sembra confermare nel quotidiano questa ipotesi: ossia il fenomeno del re-watch (o del re-play per noi gamers).
Il fenomeno del Rewatching
Nonostante oggi più che mai sia possibile vedere sempre qualcosa di nuovo, data l’enorme libreria di serie, film e anche videogiochi disponibile sulle varie piattaforme a cui possiamo accedere, sembra che spesso la nostalgia vinca sulla curiosità verso ciò che è la novità.
Infatti, alcune ricerche condotte dalla psicologa Pamela Rutledge hanno esplorato il fenomeno del rewatching, osservandone gli effetti benefici durante momenti difficili causati da incertezza e stress.
Rivivere la stessa opera più e più volte, riafferma che c’è una sorta di ordine in questo modo caotico, che alcune cose non cambieranno mai, creando un senso di sicurezza e comfort che riesce a ridurre il nostro vissuto ansioso.
Anche per Neel Burton, il rewatching nasce dalla nostalgia e da una volontà di escapismo verso qualcosa che è piacevole ricordare. Qualcosa che ci rassicura che, come in passato, possiamo nuovamente avere momenti felici.
Tale punto di vista, sembra essere confermato da ulteriori ricerche che, oltre ad evidenziare una riduzione dell’ansia e della percezione di solitudine, fanno correlare l’attività del rewatching con una maggiore dose di ottimismo in seguito alla fine della ripetizione.
E sembra proprio che parte del benessere percepito dipenda proprio dal fatto che essa sia un’attività ripetuta: la prevedibilità, assieme allo scarso utilizzo di risorse cognitive, rappresenta un toccasana nei momenti frustranti. Così come, in ottica freudiana, la coazione a ripetere rappresentata dal racconto del “gioco del rocchetto” aiuta a mantenere l’omeostasi, l’equilibrio tra desiderio e potere.
A questo punto, sorge spontanea una domanda: questo desiderio di rifugiarsi nel nostro posto felice, può essere deleterio?
Come sempre la risposta è: DIPENDE.
Finché ricerchiamo il comfort in maniera sana e consapevole, non può fare altro che bene come evidenziano queste ricerche. Questione ben diversa sembra essere quella in cui il totale pessimismo verso il presente ed il futuro, conducano ad un’ossessione per il passato.
Appurato tutto ciò, cosa dire a proposito del re-play?
La ricerca sul tema è poco presente, quindi posso solo uscire dal mio ruolo e raccontarvi un po’ della mia esperienza diretta.
Infatti, come è vero ad esempio anche per determinati film, serie o libri, ricerco spesso videogiochi a cui ho giocato in passato, oppure capitoli successivi della medesima saga. Mi piace il senso di “tornare a casa”, di rivedere i soliti personaggi per cui ormai provi affetto. O pure ritrovare la mia collezione di oggetti ed equipaggiamento.
Ma non sto parlando del new game plus tipico di alcuni titoli.
Di rado ripeto dall’inizio l’avventura, preferendo sperimentare il post-partita negli open-world del mio cuore o in alcuni giochi gestionali o di simulazione, praticamente eterni.
E voi cosa ne pensate? Trovate la vostra comfort zone all’interno di qualche videogioco?
Bibliografia
Cui, R.B. (2015) A Review of Nostalgic Marketing. Journal of Service Science and Management, 8, 125-131. http://dx.doi.org/10.4236/jssm.2015.81015
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