Articolo a cura della Dott.ssa Arianna Muscolino e del Dott. Antonino La Tona.
Smartworking e stress digitale.
Smartphone, tablet, computer sono solo alcuni degli strumenti che quotidianamente utilizziamo per lavorare, comunicare o studiare. Oggigiorno si vive costantemente e pervasivamente “online”.
La pandemia da Covid-19 ha avuto un forte impatto sulle nostre vite, i nostri comportamenti e il modo di adottare le tecnologie.
Con l’avvento dello smartworking e della didattica a distanza (DAD) non vi è più una netta scissione tra la vita lavorativa e/o scolastica e quella privata con la conseguente e inesorabile perfusione dell’una nell’altra.
Gli individui dell’era attuale sono proiettati in un tempo sferico che non ha inizio né fine, dove gli aspetti della vita professionale e personale si fondono in un flusso unico di rappresentazioni e contenuti digitali.
Recenti studi del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali hanno permesso di constatare come dall’avvento del lockdown totale in Italia il numero di lavoratori in remoto o in lavoro agile è cresciuto significativamente (+72%), ed il quadro è ancora in evoluzione, considerando le diverse fasi dell’emergenza sanitaria (www.istat.it).
L’iper-utilizzo del web e di strumenti tecnologici atti a rendere “smart” il lavoro e la comunicazione possono sfociare in problematiche disfunzionali che impattano in modo bio-psico-sociale le nostre vite.
Cos’è il Tecnostress?
Il termine Tecnostress venne coniato dallo psicologo americano Craig Broad nel suo libro edito nel 1984 da Addison Wesley; “Technostress: the human cost of computer revolution” (“Il costo umano della rivoluzione dei computer”).
Lo psicologo faceva riferimento per la prima volta allo stress legato all’uso delle tecnologie e al loro impatto a livello psicologico.
Nella definizione di Broad, il tecnostress era il disturbo causato dall’incapacità di gestire le moderne tecnologie informatiche (computer e software).
In realtà, in modo analogo allo sviluppo delle tecnologie, anche questa particolare tipologia di stress ha subito delle variazioni nel corso del tempo.
Le sue evoluzioni sono culminate in manifestazioni poliedriche di disagio psichico, stress digitale e sovraccarico di informazioni che rendono il lavoro tutt’altro che smart.
Il tecnostress è una sindrome da stress causata da un iper-utilizzo disfunzionale delle nuove tecnologie ICT (Information and Communication Technologies) che ha impatti significativi sia sulla vita sociale dell’individuo che su quella lavorativa.
Il sovraccarico cognitivo da “information overload” che ruolo ha?
Il termine Tecnostress si collega sempre più al concetto di “information overload”.
Nell’”information overload” la grossa mole di informazioni recepita quotidianamente dal lavoratore può sfociare in un sovraccarico informativo-cognitivo che rende difficile l’analisi e l’assimilazione delle informazioni ricevute e che ha come conseguenza diretta la riduzione della capacità di concentrazione.
La “corsa allo smart working” che comporta il più delle volte una richiesta di disponibilità h24 mina l’autonomia con cui il lavoratore svolge la propria prestazione lavorativa generando frustrazione, ansia generalizzata, oltre che mancanza di interazione tecnica e sociale con i colleghi.
In un mondo iper-veloce, in cui bisogna fare tutto e subito, in cui la velocità di esecuzione di un lavoro è la conditio sine qua non di ogni attività odierna; non ci deve sorprendere la grande diffusione di problematiche inerenti l’utilizzo disfunzionale della tecnologia.
L’utilizzo dei social e del web ha subito un aumento progressivo, con manifestazioni cliniche o sub/cliniche come internet, smartphone/social e tablet addiction; ossia fenomeni consistenti nell’uso eccessivo e compulsivo di tali strumenti che generano un flusso di informazioni e di modalità di interazione infinite; ampliando la socialità indiretta creando un continuum negativamente pervasivo tra la vita lavorativa e privata.
Quali possono essere le modalità di manifestazione del tecnostress in ambito lavorativo?
La validazione italiana della scala del tecnostress di Tarafdar e colleghi (2007) e Ragu-Nathan e colleghi (2008), proposta da Molino e colleghi (2020), descrive:
- Il tecno-sovraccarico; riferito a tutte quelle situazioni in cui le ICT contribuiscono ad aumentare i carichi di lavoro e a indurre i soggetti a lavorare più velocemente (Savić, 2020);
- La tecno-invasione; ovvero l’impossibilità di separare adeguatamente vita lavorativa e vita privata in virtù dell’interferenza delle ICT nella quotidianità dei soggetti.
- La tecno-complessità; cioè la percezione del lavoratore di non avere competenze ed esperienze sufficienti per affrontare la difficoltà delle nuove tecnologie.
Risulta fondamentale sottolineare come diversi studi sul tecnostress abbiano fatto luce sulle conseguenze che i diversi tecnostressors possono indurre a livello psicologico (ansia, tensione comportamentale, tecnofobia); cognitivo (affaticamento mentale, disturbi della memoria, difficoltà di concentrazione: Arnetz & Wiholm, 1997; Çoklar & Sahin, 2011); organizzativo (minore produttività, minore soddisfazione sul lavoro).
Concludendo, risulta indispensabile al fine di prevenire le manifestazioni sopracitate del tecnostress, attuare delle strategie di prevenzione e sensibilizzazione ad un uso consapevole e moderato della nuove tecnologie sia in ambito lavorativo che sociale.
A livello individuale, lavorando con l’aiuto step by step di un professionista della salute mentale esperto del mondo digitale; mentre a livello organizzativo, diminuendo il numero di richieste poste ai lavoratori e implementando supporto psicologico e di formazione sul corretto utilizzo delle ICT.
Articolo cura della Dott.ssa Arianna Muscolino e dal Dott. Antonino La Tona.