Se Giorgio De Chirico avesse vissuto tanto a lungo da poter diventare un gamer avrebbe sicuramente apprezzato ICO. questo videogioco è stato infatti uno dei primi a essere considerato una vera e propria opera d’arte, ispirato in particolare alla corrente della pittura metafisica. Avventura fantasy in 3D creata dall’omonimo Team ICO nel 2001, questa piccola chicca per PlayStation 2 non aveva all’epoca riscosso particolare successo; salvo poi essere riscoperta (e rimasterizzata) in virtù delle sue qualità artistiche e narrative. Se volete saperne di più su questo piccolo capolavoro, potere dare un’occhiata all’articolo di Valentina.
Al contrario della maggior parte delle avventure di quegli anni, dal gameplay frenetico e dalla trama complessa, ICO è caratterizzato dall’essenzialità e dalla semplicità. La trama vede un ragazzo con le corna (chiamato proprio ICO) e una ragazza intenti a fuggire da un misterioso castello abitato da pericolose ombre. La colonna sonora è minimale, e i personaggi sembrano appena abbozzati, costituiti da poligoni ben visibili. Ma allora perché questo gioco è così efficace visivamente?
Innanzitutto, il castello nel quale è ambientata la storia è un richiamo clamoroso alle opere di De Chirico, di cui Fumito Ueda (l’autore del videogioco) è fervido ammiratore. Grandi stanze vuote, alti soffitti e giardini silenziosi esprimono un grande senso di solitudine e angoscia, le stesse emozioni che la pittura metafisica del pittore italiano voleva trasmettere. La copertina del gioco è poi un omaggio a uno dei quadri più famosi di De Chirico, ovvero “Nostalgia dell’infinito” del 1913.
“Un’opera d’arte deve sempre superare i limiti dell’umano senza preoccuparsi né del buon senso né della logica”
– Giorgio De Chirico.
La fortezza rappresenta la sofferenza dei due protagonisti attraverso luoghi contorti, claustrofobici o immensi, senza che ci sia bisogno di servirsi di chissà quali dialoghi o cut scene (quasi assenti). Eliminati tutti gli elementi “superflui” ai fini di una narrazione cruda e concisa, il videogiocatore si trova di fronte a un mondo onirico, lontano dalla vivacità e dal movimento di ciò che ci circonda nella vita reale. Le architetture imponenti ma sfocate permettono di concentrarsi non tanto sullo scenario in sé, quanto di arrivare a immaginare l’esistenza di qualcosa al di là dello schermo, più vicino al sogno che alla realtà.
Un altro elemento fondamentale riguarda l’uso dei colori: così come nei dipinti della corrente metafisica, si evidenzia un contrasto netto tra le zone in luce, limpide e luminose, e quelle in ombra, imprecise e indefinite. I protagonisti si ritroveranno a fuggire da questa oscurità, con l’obiettivo di liberarsi dalla prigionia e dalla staticità angosciante del castello.
“Esiste un livello di realismo che si può raggiungere solamente attraverso l’immaginazione”
– Fumito Ueda.
Durante l’avventura capiterà spesso di risolvere enigmi e collaborare con la nostra compagna (chiamata Yorda), ma il fattore interessante è che i due protagonisti non parlano la stessa lingua. Questo elemento, oltre a essere molto curioso, permette di rivedere completamente il concetto di “dialogo”. I personaggi interagiscono tra loro con la gestualità e le espressioni, cancellando così l’aspetto verbale. Interessante anche la presenza di un tasto da tenere premuto per tenere per mano la ragazza, in modo da farci seguire avendola sempre vicina.
Tutte queste peculiarità della narrazione mettono in evidenza un altro concetto caro alla corrente pittorica della metafisica: il solipsismo. Esso è un termine che spiega come l’individuo sia in grado di confermare con assoluta certezza solo la propria esistenza, e quella di nessun altro. Per tutta la durata dell’avventura il giocatore avrà l’impressione che non esistano altri esseri viventi al di fuori dei due protagonisti; essi sono considerati quasi come un’unica entità in lotta contro le ombre. Il castello diventa ancora più opprimente, negando ai due ragazzi la possibilità di incontrare altra vita e concedendo solo di viaggiare con l’immaginazione.
Ueda si dimostra quindi con questo videogioco un grande ammiratore della pittura e della poetica metafisica. ICO ha lo scopo di porre l’attenzione sull’essenza al di là della realtà e della staticità delle forme, dando modo al giocatore solo di immaginare; proprio come nei quadri metafisici. E quale può essere il modo perfetto per omaggiare questa corrente artistica, se non citando intelligentemente il suo esponente di spicco? Infatti, il nome del protagonista è stato ricavato proprio dalle ultime lettere del suo cognome: Giorgio De Chir-ICO.