Hideo Kojima e il peso del futuro

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In occasione dell’opening alla Summer Game Fest, organizzata da Geoff Keighley durante il periodo dell’E3, Hideo Kojima ha concesso un breve scambio di vedute proprio con il presentatore in riferimento al suo modo di creare videogiochi e di come sia cambiato dopo l’arrivo del Covid-19. Il famoso director nipponico ha affermato che in passato ha sempre creato con uno sguardo rivolto a ciò che sarebbe accaduto da lì a 5,10,20 anni cercando di trasmettere le sue ipotesi all’interno dei suoi videogiochi. Con la pandemia, ha aggiunto, parte del futuro ipotizzato da Death Stranding, si è tramutato in realtà fin troppo presto rispetto a quanto aveva previsto.

 

 

Nonostante quanto espresso direttamente dalla bocca di Kojima sia chiaramente il suo pensiero, la mia prima reazione a queste parole è stata di totale sdegno. Non tanto perché non fossi d’accordo con lui, la tipologia di conversazione non rendeva nemmeno possibile scendere nei dettagli, quanto perché mi sembrava, e mi sembra tuttora, che il focus sul pensiero di Kojima sviluppatore si ormai traslato verso la “previsione del futuro” piuttosto che sulla creazione di belle opere d’arte.

Intendiamoci, è innegabile che Hideo Kojima abbia più volte, incredibilmente, predetto avvenimenti futuri e delineato scenari che si sono rivelati presenti anche a 20 anni di distanza, ma questo è stato sempre considerato, da chi scrive, una conseguenza del trattare certe tematiche o al più una volontà secondaria. Invece da quella intervista traspare l’intento di trattare il creatore di Metal Gear come una sorta di guru spirituale, luce guida per gli anni a venire, riducendo l’attenzione verso Kojima a una specie di devozione aprioristica, espressa da un culto di fedeli che aspettano la prossima, impensabile, rivelazione sul futuro, sotto forma di videogioco. 

Hideo Kojima

Una delle previsioni d’impatto di Kojima è proprio quella sullo sviluppo nucleare di piccole nazioni, espressa dal Presidente Baker (1998)

 

A livello di marketing è evidente che, date le tematiche di Death Stranding, si voglia far leva proprio sulla capacità di anticipare quanto poi è accaduto durante la pandemia con le persone costrette a rimanere a casa e una schiera di rider sempre più numerosa a far loro consegne di ogni tipo. La questione è espressamente di marketing perché, dal mio punto di vista, Hideo Kojima non crea realmente partendo da profezie sul futuro né, soprattutto, è corretto quando si sviluppa un’opera iniziare da tali presupposti. Tutto questo si ripercuote su di lui sotto forma di un grande peso di aspettative rispetto alla visione che implementerà nel suo prossimo gioco, come se per forza debba essercene una e si rischia di prostituire la creazione di belle storia e la propria volontà di esprimere qualcosa di rilevante a una strutturazione forzata intorno a tematiche di prossima, o relativa futura, attualità.

Il problema non sta tanto nell’identificare una previsione in ciascuno dei titoli da lui creati (anzi si potrebbero riempire libri e libri a riguardo) quanto, come affermo poco sopra, credere che sia questo l’unico focus e perno centrale intorno al quale ruota tutto quanto il suo processo creativo. È una questione relativa soprattutto alla percezione che abbiamo in quanto pubblico piuttosto che a un fatto concreto, ma è innegabile che questo possa diventare un peso sia per Kojima che per coloro i quali vogliono approcciarsi criticamente ai suoi lavori. Non basta inserire una previsione, seppur lungimirante e veritiera, per creare qualcosa di memorabile, ecco perché il punto focale dovrebbe rimanere sempre la qualità del racconto e, per i videogiochi, l’armonizzazione fra la struttura ludica e quella narrativa.

Non è un caso che lo stesso Kojima, a seguito delle parole che citavo a inizio articolo, abbia poi aggiunto la volontà di cambiare il suo approccio creativo (mi ripeto ma non credo fosse mai stato davvero quello poco prima espresso) in favore di uno sviluppo che coniughi l’aspetto dell'”intrattenimento” con quello di tematiche profonde che insegnino qualcosa. In effetti, se osserviamo la storia produttiva del creator nipponico, possiamo evidenziare come la saga di Metal Gear Solid, fino alla sua quarta iterazione, nel 2008, sia stata all’insegna di una concretezza pregna di riferimenti all’attualità o all’immediato futuro espresse da trame che, nonostante la vastità delle tematiche, rimangono puntuali e compiute. A partire da Metal Gear Solid Peace Walker ma soprattutto con Metal Gear Solid V: The Phantom Pain e Death Stranding, si può notare immediatamente una maggiore astrattezza, una più grande teoricità, quasi filosofica nello sviluppo delle narrazione che sembra passare da una comprensione unitaria e puntuale a una percezione di significato più emotiva e intuitiva. Non so quale sarà il prossimo lavoro di Hideo Kojima ma posso immaginare che proseguirà con questa strada, magari cercando di integrare novità dal punto di vista degli aspetti ludici pur mantenendo strutture narrative ad ampio respiro, astratte e filosofiche.

Hideo Kojima

Il libro è una raccolta di commenti di Kojima alle sue opere preferite viste come meme da tramandare alle prossime generazioni.

 

In questo contesto, il peso rivestito dall’aspettativa sulla prossima previsione del “maestro”, non deve giocare alcun ruolo. Eppure, se questa è ormai la visione del proprio pubblico, il rischio di rimanere imbrigliati in questa connotazione creativa c’è. Un po’ come se per il prossimo lavoro di Quentin Tarantino non ci aspettassimo la presenza dei suoi dialoghi caratteristici e un’almeno minima presenza di gore e splatter.

A questo proposito, è interessante leggere direttamente le parole di Kojima, testimoniate nel libro “Il gene del talento e i miei adorabili meme”:

La mia longeva serie di videogiochi Metal Gear Solid festeggerà il suo anniversario nel 2012. Ogni volta che ne parlo sui media, dico sempre “Questo sarà l’ultimo Metal Gear a cui lavoro”, e il senso della mia affermazione è molto simile a quello delle parole di Lehane all’inizio dell’articolo: ogni storia ha una fine, e lo stesso vale per gli scrittori. Ogni autore desidera concludere come vuole le proprie storie, prima dell’epilogo della propria vita. E allora, perché mai continuare a lavorare sulla stessa serie? […] Una storia non finisce finché il desiderio dei fan non smette di ardere. Nessun autore è immortale, ma allo stesso modo, nessun autore può voltare la schiena ai propri ammiratori.

(Settembre 2011)

È proprio in virtù di queste parole che affermo che l’aspettativa nei confronti delle prossime profezie rischia di diventare più un peso che un tratto distintivo e volontario e che, rifacendomi a quanto espresso in altri luoghi del libro, Kojima non crea davvero partendo da questi presupposti quanto dalla volontà di trasmettere qualcosa.

Il leit motiv del libro è, infatti, quello relativo ai meme“, un concetto chiave della poetica Kojimiana fin dai primi Metal Gear Solid. Proprio come il gene trasmette un’informazione di generazione in generazione e questa informazione ci connota dal punto di vista biologico, il meme rappresenta l’equivalente del gene per quanto riguarda le informazioni culturali. Tutto ciò che una cultura immagazzina e tramanda alle prossime generazione è un meme. Ogni opera d’arte, ogni prodotto culturale, ogni riflessione antropologica e sociale è un meme da poter consegnare alle successive generazioni. Non tutto chiaramente è degno di essere tramandato, anzi Kojima ritiene che, parlando di opere, solo il 10% ha una vera valenza e dignità. Per questo un creatore ha il dovere di compiere la propria riflessione e chiedersi cosa voglio trasmettere ai miei figli?. La stessa riflessione che troviamo brillantemente espressa in Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty e in tutto il corpus videoludico Kojimiano.

Ecco, io credo che il vero motore creativo di Hideo Kojima sia proprio la risposta a quella domanda, la volontà di tramettere qualcosa e insegnare qualcosa sotto forma di meme culturali e vere e proprie opere da poter tramandare ai propri figli. Ciò ha sicuramente un peso maggiore della mera previsione sul futuro (che incidentalmente è inevitabile compiere) e ha una portata immensamente più ampia.

Il prossimo gioco di Hideo Kojima, senza dubbio, sarà una fonte importante di meme e di riflessioni da compiere insieme a lui come pubblico che compartecipa della fruizione dell’opera. D’altronde, come lui stesso rivela, “meme” è composta da me+me.

 

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