Nell’acclamato videogioco horror The Evil Within siamo spaventati dall’elemento stesso che è in grado di farci provare la paura: il cervello.
In questo survival horror del 2014 impersonifichiamo il detective Sebastian Castellanos, il quale dovrà risolvere un caso di omicidio all’interno di un istituto di igiene mentale, il Beacon Mental Hospital.
Durante l’avventura si viene a conoscenza di come l’ambiente di gioco non sia la realtà (perlomeno quella in cui vivono i personaggi), bensì una sorta di universo parallelo e orrorifico creato dalla mente di Ruvik, l’antagonista del gioco.
Ruvik è discendente di una ricca famiglia, rimasto orribilmente sfigurato anni prima a causa di un incendio doloso. Dopo questo evento traumatico, il ragazzo ha iniziato a svolgere segretamente strani esperimenti, arrivando a stringere un patto con il direttore del Beacon. In questo modo egli ha avuto accesso diretto, nel corso degli anni, a una serie di cavie umane fornite proprio dall’istituto. È arrivato così a costruire lo STEM, un macchinario che unisce in una sola più menti umane. A causa di ciò, Sebastian e gli altri personaggi del gioco sono stati intrappolati tutti all’interno del cervello di Ruvik, in balia delle creature terrificanti ideati da lui stesso. Se vi interessa qualche informazione in più in merito all’universo di questo gioco, vi consiglio l’articolo di Giulio.
La trama del gioco è molto efficace, ma un aspetto particolarmente curioso è dato dal già citato STEM.
Questa macchina è formata da un computer centrale, collegato tramite dei cavi alle “vittime”. Esse sono immerse in alcune vasche colme di liquido in uno stato comatoso. L’aspetto dello STEM non è casuale: il game designer Shinji Mikami (creatore anche della saga di Resident Evil) ha preso ispirazione dalla teoria filosofica e fantascientifica del “Cervello in una vasca”.
Il concetto di Cervello in una vasca è una visione ipotetica della realtà proposta dal filosofo Hilary Putnam nel 1981. Secondo l’autore, il mondo che ci circonda è una costruzione mentale fittizia, una sorta di simulazione nella quale viviamo. Putnam ipotizza che un’entità superiore abbia estratto a ciascuno di noi il cervello, lo abbia immerso in una vasca di liquido e lo abbia connesso a un computer. In questo modo, è questo macchinario che si occuperebbe di fornire all’individuo impulsi elettrici identici a quelli ricevuti da un cervello normale. Il cervello, perciò, si troverebbe a sperimentare una realtà simulata. Le esperienze sono quindi consce e percepite come reali, ma non sono legate al mondo esterno.
«Il computer è così abile che se la persona cerca di alzare il braccio la risposta del computer farà sì che “veda” e “senta” il braccio che si alza […]. Magari l’universo consiste solo di macchinari automatici che badano a una tinozza piena di cervelli, programmato per dare a tutti noi un’allucinazione collettiva».
Secondo Putnam, in questo modo perderemmo ogni certezza relativamente alla realtà esterna, alla nostra stessa esistenza e al libero arbitrio. Chi ci conferma che non siamo tutti cervelli in una vasca?
Ma, così come Sebastian riesce a risvegliarsi e distruggere lo STEM, anche per la teoria di Putnam sembra esserci un “lieto fine”. L’autore arriva in conclusione ad auto-confutarsi: se fossimo veramente cervelli in una vasca non avremmo la consapevolezza di vivere in queste condizioni di cervelli immersi. E soprattutto non ci domanderemmo se le sensazioni che proviamo siano ordinarie e normali. Non avremmo infatti alcun dubbio di vivere una vita canonica. L’ipotesi del cervello in una vasca fa dunque riferimento a un mondo ipotetico del tutto diverso da quello reale, evidenziando un contesto assai improbabile.
Dopotutto, vedendo quanto siano mostruosi certi nemici affrontati dal detective Castellanos, non è poi così male sapere che la teoria del Cervello in una vasca sia solo ipotetica.