Capita spesso che dopo molto tempo passato in un videogioco (soprattutto quelli in prima persona) si entri in uno stato di particolare simbiosi con il personaggio principale del videogioco a tal punto da avvertire una sorta di immedesimazione con esso tale per cui le sue vittorie diventano le nostre vittorie, così come le sconfitte, i desideri, il coraggio e la paura.
Come si spiega questo fenomeno di immedesimazione da un punto di vista puramente psicologico?
L’orientamento psicoanalitico pone alla base di questo fenomeno i concetti di identificazione e proiezione, propriamente definiti come meccanismi di difesa che regolano le relazioni dell’individuo con il mondo esterno e partecipano alla costruzione identitaria dell’individuo.
Nel senso generale del termine, l’identificazione fa riferimento ad un processo psichico che prevede un modellamento della nostra identità a partire da tratti e caratteristiche appartenenti ad un soggetto esterno. Va dunque immaginata come una sorta di immedesimazione ideale verso un oggetto esterno dal quale si acquisiscono tratti e caratteristiche esterne che si integrano alla propria identità, facendole propriamente nostre. La proiezione, invece, prevede un investimento delle proprie emozioni su un soggetto esterno a sé. Combinati insieme questi due processi psichici, si instaura una sorta di legame emotivo in una relazione tra due entità che integra il trasferimento psicologico di attributi identitari da una all’altra identità.
Trasportando tali concetti al mondo del gaming, accade dunque che il giocatore vive una sorta di trasposizione dell’identità reale verso un’identità virtuale (quella dell’avatar). Questa entità virtuale è concepibile dunque come una rappresentazione grafica di aspetti del proprio Sé che C. Rogers (1951) divide in: Sé reale (quello che siamo) e Sé ideale (come vorremmo essere).
In parole più semplici?
Riducendo all’essenziale, possiamo dire che per il lasso di tempo in cui giochiamo è come se una parte della nostra identità si incorporasse nell’avatar virtuale e dunque tutte le azioni che facciamo compiere al personaggio del gioco sono un riflesso della nostra identità. In pratica, è come se noi stessi fossimo immersi nel gioco. Facciamo un esempio: un gamer molto timido e cauto nella vita reale riflette la propria personalità attraverso uno stile di gioco particolarmente prudente in un FPS.
Bisogna sottolineare che il grado di identificazione e la proiezione profusi nel gioco dipendono dalla tipologia di avatar a disposizione: gli avatar ad estensione (che si costruisce e sviluppa da zero) rispetto agli avatar alter ego (già costituiti da caratteristiche pre-fissate e limitate) favoriscono maggiormente l’immedesimazione nel protagonista del videogioco.
Gli esperti psicologi suggeriscono dunque di considerare “il personaggio virtuale come una propria proiezione nell’agire, una creatura con la quale ci si immedesima mediante una certa traiettoria e attraverso un tempo definito dalle aspirazioni personali per ciò che si vuole il personaggio sia e diventi (fatte salve le limitazioni delle sue capacità, naturalmente, e le risorse che il progettista del gioco mette a disposizione)” (J.P. Gee, 2007).
L’immedesimazione nel videogioco come crescita educativa
Secondo questa interpretazione psicologica, anche la scenografia del gioco ricopre un ruolo importante, soprattutto trasportata in chiave educativa. L’ambientazione virtuale diventa dunque quello che gli psicoanalisti definiscono uno “spazio transizionale”, ovvero uno spazio immaginario che si pone a metà tra il mondo reale e quello interiore. Una dimensione in cui si sperimentano aspetti del proprio Sè, senza temere le conseguenze reali (Turkle, S., 1999).
Il videogioco acquisisce dunque le caratteristiche di uno spazio fantastico all’interno del quale il gamer immedesimandosi migliora come persona. Ad esempio, lo stesso gamer molto timido di prima può dar vita ad una forma del Sé ideale ed impersonare un coraggioso guerriero che affronta pericolose sfide ed ottiene l’approvazione dei suoi simili, rinforzando positivamente così la propria autostima (come accade in Elden Ring ad esempio). Questa caratteristica di potenzialità eleva il videogioco a strumento educativo particolarmente prezioso per mezzo del quale è possibile assistere ad una crescita personale e maturazione psicologica (ad esempio Minecraft per i bambini).
Allo stesso tempo, ammoniscono gli esperti, un’immedesimazione nel videogioco ( come nei casi RPG in prima persona) può diventare anche un fattore di rischio per l’amplificazione di tratti ansiosi, depressivi o violenti della nostra personalità (Allison, S.E., & et al., 2006).
Lo psicologo esperto di videogiochi si conferma dunque una figura imprescindibile per approcciarsi a questo mondo in misura regolata e trarne tutti i vantaggi che è in grado di offrire.
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