Il tema delle differenze e dei conflitti entici è sempre stato un argomento delicato e fin troppo caldo. Spesso quando se ne parla si raschia di radicalizzarsi e quindi di non trattarlo adeguatamente. Ad esempio capire le cause dei conflitti e i possibili rimedi, anche apparentemente insoliti. Infatti vi è un’associazione tra conflitto etnico e videogiochi. Ma partiamo dal principio.
Perché facciamo la guerra?
Soprattutto nell’ultimo periodo si sta assistendo ad un aumento delle tensione e conflitti, alla luce delle notizie e dei recenti sviluppi. Ne sono un esempio la guerra in Ucraina, tra Palestina e Israele, l’accentuarsi dei colpi di stato in Africa e in generale il diffondersi di ideologie e politiche sempre più marcate e divisive. Si arriva dunque spesso a conflitti terribili tra non solo popolazioni e culture differenti ma anche tra grippi sociali. Ma perché ci spingiamo fino ad una guerra senza frontiere? Una possibile risposta prova a fornirla la psicologia sociale.
Secondo la quale, spesso, alla base degli scontri tra diverse culture ma appunto anche tra gruppi sociali (come dei tifosi ecc..) ci potrebbero essere valori, credenze, interessi divergenti e poca conoscenza reciproca. Questi aspetti possono accrescere le differenze percepite, spingere ad agire in modo violento e alimentare l’odio tra il proprio gruppo di appartenenza (ingroup) e i gruppi visti come esterni e con cui non ci identifica (outgroup). Questo in quanto il gruppo ha un ruolo chiave per lo sviluppo di una delle componenti chiave per l’uomo, la propria identità.
Come, infatti, sostenuto da Tajfel e Turner (1979) attraverso la teoria dell’identità sociale, parte dell’identità (quella sociale appunto) si sviluppa grazie alla consapevolezza di appartenere ad un gruppo sociale. Con cui condividiamo credenze, valori e così via. Inoltre, nel processo di identificazione è centrale la valutazione e il significato emotivo attribuito a tale appartenenza. Dunque, pur di mantenere una percezione positiva e proteggersi da ciò che minacciata parte della propria identità e del proprio gruppo, si possono sviluppare dei forti pregiudizi, atteggiamenti negativi e odio nei confronti dell’outgroup.
I videogiochi: uno strumento di pace per il conflitto etnico
Fino ad ora si è trattato come il conflitto tra culture e gruppi possa nascere a causa dei pregiudizi, dei bias e della mancata conoscenza reciproca. Questi ultimi punti, quindi, potrebbero essere aspetti su cui si potrebbe agire per appianare le tensioni e i conflitti. Infatti, già da tempo lo psicologo statunitense Gordon Allport (1954) tramite la teoria del contatto da lui introdotta, ipotizza che favorendo la relazione e la conoscenza tra gruppi si possano ridurre i pregiudizi e gli stereotipi.
In merito, i nuovi strumenti oggi a diposizione possono essere molto utili ed efficaci per interventi simili. Soprattutto considerando alcuni aspetti che devono caratterizzare il contatto intergruppo affinché sia ottimale. Allport indica, infatti, che l’incontro debba essere caratterizzato da una relazione cooperativa e positiva, dal sostegno e dal perseguire obiettivi in comune.
Secondo la letteratura scientifica, proprio i videogiochi possono rappresentare strumenti efficaci per quanto sostenuto poco prima. Per esempio, in una ricerca si è evidenziato come videogiocare in modo cooperativo con un membro dell’outgroup favorisce la riduzione dell’ansia intergruppo e dei pregiudizi (Stiff & Kedra, 2020).
Conflitto etnico e videogiochi: Peacemaker
I videogiochi, sia quelli definiti Serious Games che quelli commerciali, possono essere usati come mezzo per diffondere narrazioni culturali al fine di mostrare la varietà, la ricchezza e del mondo e delle varie culture. Promuovendo dunque l’interculturalità, l’inclusività, il riconoscimento e il rispetto della diversità (Shliakhovchuk & García, 2020).
Inoltre, tra i più grandi vantaggi risulta dei videogiochi vi è quello di essere un luogo sicuro dove acquisire conoscenze culturali. Un esempio di un videogioco Serious Games che calza a pennello, considerando i recenti sviluppi in Medio Oriente, è PeaceMaker. Si tratta di un gioco dove si può ricoprire il ruolo del presidente palestinese o del primo ministro israeliano, nel mentre è presente un conflitto tra i due popoli. Dovendo poi attuare una gestione politica e delle risorse in un momento molto delicato.
Il gioco risulta utile per comprendere la complessità che caratterizza i conflitti, i punti di vista e le sofferenze altrui. Favorendo dunque la riduzione degli atteggiamenti negativi su un popolo considerato nemico (Alhabash & Wise, 2014). Gli esempi di videogiochi però non si limitano solo a PeaceMaker, traviamo infatti il mio amato Oblivion. Quest’ultimo può aiutare ad ampliare le nostre conoscenze in merito alle culture e farci provare sulla nostra pelle cosa vuole dire trovarsi in conteseti culturali differenti. Inoltre, anche le nuove tecnologie oggi a disposizione e adoperarti dalla psicologia digitale sono efficaci per gestore i conflitti. Tra i quali possiamo trovare la realtà virtuale e quella aumentata, come avremo di approfondire.
BIBLIOGRAFIA
Alhabash, S., & Wise, K. (2015). Playing their game: Changing stereotypes of palestinians and israelis through videogame play. New Media & Society, 17(8), 1358-1376. doi:http://0-dx.doi.org.opac.unicatt.it/10.1177/1461444814525010
Allport, G. W., Clark, K., & Pettigrew, T. (1954). The nature of prejudice.
Shliakhovchuk, E., & Muñoz García, A. (2020). Intercultural Perspective on Impact of Video Games on Players: Insights from a Systematic Review of Recent Literature. Educational Sciences: Theory and Practice, 20(1), 40-58.
Stiff, C., & Kedra, P. (2020). Playing well with others: The role of opponent and intergroup anxiety in the reduction of prejudice through collaborative video game play. Psychology of Popular Media, 9(1), 105.
Turner, J. C., Brown, R. J., & Tajfel, H. (1979). Social comparison and group interest in ingroup favouritism. European journal of social psychology, 9(2), 187-204.