The Walking Dead: siamo tutti uguali davanti agli zombie.

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In vista dell’uscita della nuova serie videoludica di “The Walking Deaddella Telltale Games, abbiamo pensato di analizzare nel dettaglio (e limitando al minimo gli spoiler) il ruolo dei personaggi appartenenti a minoranze o gruppi discriminati all’ interno della serie (se volete conoscere di più su questo videogioco, vi consiglio di leggere l’articolo “The Walking Dead: una bomba emotiva” scritto qualche tempo fa da Andrea Zanacchi).

La più famosa avventura grafica della Telltale Games ha sempre cercato di trattare con rispetto i personaggi presenti nel gioco. Sarà stata colpa dell’apocalisse zombie, del vivere costantemente nel pericolo o della necessaria soddisfazione dei più basilari bisogni per la sopravvivenza; insomma i personaggi di “The Walking Dead” non sembrano influenzati dalle differenze. Si ammazzano tra di loro, questo sì, ma senza apparente discriminazione.

 

Cominciamo dalla prima serie di “The Walking Dead” e parliamo dei protagonisti: Lee e Clementine.

 

Un uomo adulto che si prende cura di una bambina di otto anni lasciata sola in mezzo ai non morti. Chi potrebbe mettere in discussione le buone intenzioni di Lee? Fortunatamente nessuno.
Anche se negli episodi iniziali alcuni personaggi si pongono dubbi sulla relazione dei due protagonisti, questi quesiti vengono preso abbandonati. Lee e Clementine pian piano formano una vera e propria famiglia, la cui forza va ben oltre l’assenza di legami di sangue tra i due.

 

Larry

Larry è uno dei primi personaggi oppositivi incontrati nel gioco. Burbero, scontroso ed aggressivo, dimostra da subito scarsa fiducia nei confronti di Lee, finendo spesso per litigarci ed attaccarlo personalmente. Larry sembrerebbe mostrarsi molto bene come qualcuno che potrebbe attaccare Lee con epiteti razzisti. Ma, nonostante il personaggio sembri rispecchiare lo stereotipo di colui che ha una mentalità chiusa, non vengono mai fatti uscire dalla sua bocca insulti a sfondo razziale. Solo insulti generici.                                 

               

Kenny

Kenny sembra essere la controparte buona di Larry. Per quanto anche lui risulti essere testardo e, alcune volte, al limite della scontrosità, si dimostra un importante membro del gruppo ed un alleato essenziale per Lee.
Anche se sembra essere uno di quei classici padri di famiglia americani con un background abbastanza stereotipico (in un episodio chiede a Lee se per caso fosse capace di scassinare una serratura, facendo supporre per il fatto che sia nero), non dimostra comportamenti discriminatori nei confronti degli altri.

         

 

Christa e Omid

Lei, una donna forte e sicura di sè, e lui, amichevole e dotato di spirito, formano una delle poche coppie presenti nel gioco (oltre a Kenny e sua moglia Katya).
Christa risulta essere il membro “forte” della coppia, è infatti lei che si prende cura spesso di Omid nei momenti di difficoltà. Omid sembra dipendere molto dalla propria compagna, anche a scapito di passare come “damigella da salvare” per la coraggiosa Christa.
Aggiungendo a questi elementi il fatto che loro due rappresentano la prima coppia videoludica in cui lei è una donna afro-americana e lui ha origini persiane, come trattano i produttori del gioco questo tipo di relazione? Dando loro un ruolo non limitato a confini di genere o appartenenze etniche. Sia Christa che Omid avrebbero potuto ricoprire qualsiasi etnia e/o genere e i loro ruoli non sarebbero mutati.

Evitando ogni possibile spoiler della trama, questi sono i principali personaggi che più fanno pensare a come la prima serie di The Walking Dead sia riuscita a non limitare il gioco a visioni stereotipiche e dettagli discriminatori.
The Walking Dead dimostra di essere proprio un bel gioco, non solo per il fatto di essere stato premiato con più di novanta premi Game of the Year, ma anche perché sembra essere un gioco per tutti, in cui tutti i videogiocatori possono vedere un po’ di sè stessi nei personaggi della narrazione, nessuno escluso.
I produttori avrebbero potuto puntare su personaggi più “sicuri”, per esempio con protagonisti bianchi o limitando la diversità di etnie a ruoli di nicchia, ma sembrano aver voluto rischiare creando un ambiente di gioco inclusivo. Scelta che sembra essere azzeccata.

 

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